Tag Archives: porcellum

Legge elettorale: promesse, impegni e chiacchiere

5 Giu

Chi ha detto:

  1. “Vogliamo dimezzare subito il numero e le indennità  dei parlamentari  e sceglierli noi con i voti, non farli decidere a Roma con gli inchini al potente di turno” (18 ottobre 2010);
  2. “Occorre una legge elettorale per scegliere direttamente gli eletti  e un tetto di tre mandati parlamentari, senza eccezioni” ( 3 aprile 2011);
  3.  “L’importante è dare ai cittadini la possibilità di scegliere liberamente, non necessariamente di incasellarsi in destra o sinistra. Comunque la pensi, puoi scegliere chi votare di volta in volta in base alla personalità di chi si candida, delle idee che esprime, del programma” (7 novembre 2012); 
  4. “La nuova legge elettorale consenta ai cittadini di scegliere i parlamentari in modo libero, come succede nei Comuni. I partiti devono consentire alla gente di scegliersi le persone, perché un cittadino possa guardare in faccia i propri rappresentanti. Poi se fa bene lo conferma, se fa male lo manda a casa e magari i politici proveranno l’ebbrezza di tornare a lavorare, che non è un’esperienza mistica, la fanno tutti gli italiani e possono farla anche i politici che perdono le elezioni” (26 aprile 2012);
  5. “Firmo per cancellare la vergogna del Porcellum, un meccanismo per cui non importa essere bravi o avere voti, basta essere fedeli e obbedienti al capo corrente e si va in Parlamento. La classe parlamentare è fatta di dirigenti cooptati, cioè messi lì per andare a fare i parlamentari tanto non c’è bisogno dei voti, perché i voti li prende la lista. Io credo che questo sistema non vada bene”(16 settembre 11) ?

 

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I racconti, le storie brevi, sono come quegli sguardi lanciati da una finestra aperta che permettono di vivere quanto accade giù nella strada, nella vita di tutti i giorni, di immaginare i pensieri dell’ignoto passante o il dialogo dell’altrettanto ignota coppia mentre vengono percorsi i pochi metri che la visuale consente.
In questi dieci racconti c’è quasi sempre Roma, come sfondo o protagonista, ma i personaggi, con le loro personalità, le manie, le loro storie personali, potrebbero esistere ovunque: per conoscerli, e conoscere le loro storie, basta affacciarsi a questa finestra.

http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/racconti/322551/la-finestra-aperta-3/

 

Sindaci “a condizione che”.

29 Mag

Il significativo pseudonimo mi impedisce purtroppo di complimentarmi direttamente con l’autore di questo breve articolo che ha il pregio di dimostrare, una volta per tutte, la deriva autoritaria che ha ormai travolto ogni limite democratico dei partiti e dei movimenti che ancora si agitano disordinatamente sulla scena della politica italiana. N.b. Il neretto è tutto mio.

Sindaci nelle mani delle segreterie di partito

La legge che prevede l’elezione diretta dei sindaci dei comuni con oltre quindicimila abitanti fu approvata dalle Camere sull’onda di due referendum in materia elettorale, del 1991 e del 1993. I giovani di oggi ricordano poco o nulla, ignorano o quasi chi sia Mario Segni, che quell’ondata referendaria promosse con tenacia e testardaggine sarda, trasformando l’iniziale irrisione delle forze politiche in un’adesione tanto massiccia quanto calcolata ed autoconservativa. Il carro del vincitore si affollò come non mai di migranti e rifugiati politici di qualsiasi provenienza e mediocre prospettiva. Rimase a terra, orgoglioso del suo carattere controcorrente, il solo Bettino Craxi, tra i cui difetti non rientrò mai quello del muoversi per convenienza al seguito di altri. Assieme alla legge chiamata Mattarellum, ma ben più di questa,la legge sui sindaci iniettò nel pigro e comodo proporzionalismo del nostro ordinamento dosi massicce di spirito maggioritario, non disgiunte da un’evidente e non dissimulata tendenza presidenzialistica: che lì, al livello dei sindaci, si arrestarono, dopo avere influenzato l’elezione dei presidenti di regione. Non a caso da quel giorno chiamati pomposamente governatori, a pedissequa emulazione dei presidenzialissimi Stati Uniti. Che la ventata maggioritaria sia stata subita, anzichè promossa dalle forze politiche, lo rivelò la deriva partitocratica che, con una legge elettorale regressiva, portò la coalizione berlusconiana a confinare la sovranità degli elettori nell’adesione passiva ed umiliante ad un intangibile elenco di persone confezionato dalle segreterie dei partiti. Elenco da prendere o da lasciare per intero: con l’effetto della recisione chirurgica di qualsiasi legame diretto tra elettori ed eletti. Rappresentati e rappresentanti, da allora, non si conobbero più. MarinoCampidoglioIl legame diretto è rimasto, sulla carta integro, tra i cittadini ed il proprio sindaco, ed ha il significato di trasferire il potere sull’eletto e sulla sua sorte dal partito che lo ha candidato agli elettori che lo hanno votato. Con una deroga: la via per riprendere il controllo da parte del partito è prevista e disegnata, ma richiede la trasparenza di un dibattito pubblico e di una decisione in sede di consiglio comunale. Procedura ben diversa da quella adottata, per fare un esempio, dal partito democratico per sbarazzarsi dell’ultimo sindaco eletto,con una motivazione generica, indimostrata e soggettiva; ed attraverso atti singoli e privati dei propri docili consiglieri. Ancora più differente, quella procedura, dalle scomuniche con finale espulsivo in uso disinvolto, anche nei confronti di sindaci, eletti presso il movimento cinquestelle, ad opera di soggetti o organismi del tutto anonimi e giuridicamente clandestini. Nel più plateale disprezzo per le istituzioni. Eppure, se la legge sull’elezione diretta non piaceva, bastava che qualcuno proponesse di cambiarla, cercando una maggioranza che peraltro non si sarebbe mai configurata. Perché violare una legge, e tanto più una legge “popolare”, è più facile, silenzioso e meno compromettente che non dichiarare di volerla cambiare e agire di conseguenza. A meno di due settimane dal voto, non vi è alcuna garanzia che Raggi, Giachetti, Meloni e Marchini- i possibili sindaci della capitale, stando ai sondaggi -, una volta eletti siano al sicuro da atti di forza dei rispettivi partiti. Si preferisce far credere ai cittadini che, almeno nel caso dei sindaci, la politica concede loro quello che ha tolto nell’elezione di deputati e senatori: anziché mostrare che, di quel potere generosamente riconsegnato, la chiave deve rimanere ben stretta nelle mani dei partiti. Che oggi hanno l’occasione per assicurare che il sindaco eletto lo sia, per quel che li riguarda, per l’intera durata del mandato. A scanso di abusi. Così come i candidati hanno la simmetrica occasione per dichiarare sospesa, per l’identica durata, la loro dipendenza dai partiti di appartenenza. È troppo chiedere, agli uni ed agli altri, un gesto che ridia un minimo di credibilità ad una politica in debito di legittimità?

Gianfranco Pasquino: 10 No al referendum costituzionale

21 Mag

Ecco l’appello per il No al referendum costituzionale di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’università di Bologna, già sottoscritto da Carlo Galli, Marco Valbruzzi e Maurizio Viroli.

“Noi crediamo profondamente in una democrazia così intesa, e noi ci batteremo per questa democrazia. Ma se altri gruppi avvalendosi, come dicevo in principio, di esigue ed effimere maggioranze, volessero far trionfare dei princìpi di parte, volessero darci una Costituzioneche non rispecchiasse quella che è la profonda aspirazione della grande maggioranza degli italiani, che amano come noi la libertà e come noi amano la giustizia sociale, se volessero fare una Costituzione che fosse in un certo qual modo una Costituzione di parte, allora avrete scritto sulla sabbia la vostra Costituzione ed il vento disperderà la vostra inutile fatica” (Lelio Basso, 6 marzo 1947, in Assemblea Costituente).

1. Il NO non significa immobilismo costituzionale. Non significa opposizione a qualsiasi riforma della Costituzione che sicuramente è una ottima costituzione. Ha obbligato con successo tutti gli attori politici a rispettarla. Ha fatto cambiare sia i comunisti sia i fascisti. Ha resistito alle spallate berlusconiane. Ha accompagnato la crescita dell’Italia da paese sconfitto, povero e semi-analfabeta a una delle otto potenze industriali del mondo. Non pochi esponenti del NO hanno combattuto molte battaglie riformiste e alcune le hanno vinte (legge elettorale, legge sui sindaci, abolizione di ministeri, eliminazione del finanziamento statale dei partiti). Non pochi esponenti del NO desiderano riforme migliori e le hanno formulate. Le riforme del governo sono sbagliate nel metodo e nel merito. Non è indispensabile fare riforme condivise se si ha un progetto democratico e lo si argomenta in Parlamento e agli elettori. Non si debbono, però, fare riforme con accordi sottobanco, presentate come ultima spiaggia, imposte con ricatti, confuse e pasticciate. Noi non abbiamo cambiato idea. Riforme migliori sono possibili.
io-voto-no

2. No, non è vero che la riforma del Senato nasce dalla necessita’ di velocizzare il procedimento di approvazione delle leggi. La riforma del Senato nasce con una motivazione che accarezza l’antipolitica “risparmiare soldi” (ma non sarà così che in minima parte) e perché la legge elettorale Porcellum ha prodotto due volte un Senato ingovernabile. Era sufficiente cambiare in meglio, non in un porcellinum, la legge elettorale. Il bicameralismo italiano ha sempre prodotto molte leggi, più dei bicameralismi differenziati di Germania eGran Bretagna, più della Francia semipresidenziale e della Svezia monocamerale. Praticamente tutti i governi italiani sono sempre riusciti ad avere le leggi che volevano e, quando le loro maggioranze erano inquiete, divise e litigiose e i loro disegni di legge erano importanti e facevano parte dell’attuazione del programma di governo, ne ottenevano regolarmente l’approvazione in tempi brevi. No, non è vero che il Senato era responsabile dei ritardi e delle lungaggini. Nessuno ha saputo portare esempi concreti a conferma di questa accusa perché non esistono. Napolitano, deputato di lungo corso, Presidente della Camera e poi Senatore a vita, dovrebbe saperlo meglio di altri. Piuttosto, il luogo dell’intoppo era proprio la Camera dei Deputati. Ritardi e lungaggini continueranno sia per le doppie letture eventuali sia per le prevedibili tensioni e conflitti fra senatori che vorranno affermare il loro ruolo e la loro rilevanza e deputati che vorranno imporre il loro volere di rappresentanti del popolo, ancorche’ nominati dai capipartito.

3. No, non è vero che gli esponenti del NO sono favorevoli al mantenimento del bicameralismo.

Anzi, alcuni vorrebbero l’abolizione del Senato; altri ne vorrebbero una trasformazione profonda. La strada giusta era quella del modello Bundesrat, non quella del modello misto francese, peggiorato dalla assurda aggiunta di cinque senatori nominate dal Presidente della Repubblica (immaginiamo per presunti, difficilmente accertabili, meriti autonomisti, regionalisti, federalisti). Inopinatamente, a cento senatori variamente designati, nessuno eletto, si attribuisce addirittura il compito di eleggere due giudici costituzionali, mentre seicentotrenta deputati ne eleggeranno tre. E’ uno squilibrio intollerabile.

4. No, non è vero che e’ tutto da buttare. Alcuni di noi hanno proposto da tempo l’abolizione del CNEL. Questa abolizione dovrebbe essere spacchettata per consentire agli italiani di non fare, né a favore del “si’” ne’ a favore del “no”, di tutta l’erba un fascio. Però, no, non si può chiedere agli italiani di votare in blocco tutta la brutta riforma soltanto per eliminare il CNEL.

5. Alcuni di noi sono stati attivissimi referendari. Non se ne pentono anche perché possono rivendicare successi di qualche importanza. Abbiamo da tempo proposto una migliore regolamentazione dei referendum abrogativi e l’introduzione di nuovi tipi di referendum e di nuove modalità di partecipazione dei cittadini. La riforma del governo non recepisce nulla di tutta questa vasta elaborazione. Si limita a piccoli palliativi probabilmente peggiorativi della situazione attuale. No, la riforma non è affatto interessata a predisporre canali e meccanismi per una più ampia e intensa partecipazione degli italiani tutti (anzi, abbiamo dovuto registrare con sconforto l’appello di Renzi all’astensione nel referendum sulle trivellazioni), ma in particolare di quelli più interessati alla politica.

6. No, non è credibile che con la cattiva trasformazione del Senato, il governo sarà più forte e funzionerà meglio non dovendo ricevere la fiducia dei Senatori e confrontarsi con loro. Il governo continuerà le sue propensioni alla decretazione per procurata urgenza. Impedirà con ripetute richieste di voti di fiducia persino ai suoi parlamentari di dissentire. Limitazioni dei decreti e delle richieste di fiducia dovevano, debbono costituire l’oggetto di riforme per un buongoverno. L’Italicum non selezionerà una classe politica migliore, ma consentirà ai capi dei partiti di premiare la fedeltà, che non fa quasi mai rima con capacità, e di punire i disobbedienti.

7. No, la riforma non interviene affatto sul governo e e sulle cause della sua presunta debolezza. Non tenta neppure minimamente di affrontare il problema di un eventuale cambiamento della forma di governo. Tardivi e impreparati commentatori hanno scoperto che il voto di sfiducia costruttivo esistente in Germania e importato dai Costituenti spagnoli è un potente strumento di stabilizzazione dei governi, anzi, dei loro capi. Hanno dimenticato di dire che: i) è un deterrente contro i facitori di crisi governative per interessi partigiani o personali (non sarebbe stato facile sostituire Letta con Renzi se fosse esistito il voto di sfiducia costruttivo); ii) si (deve) accompagna(re) a sistemi elettorali proporzionali non a sistemi elettorali, come l’Italicum, che insediano al governo il capo del partito che ha ottenuto più voti ed è stato ingrassato di seggi grazie al premio di maggioranza.

8. I sostenitori del NO vogliono sottolineare che la riforma costituzionale va letta, analizzata e bocciata insieme alla riforma del sistema elettorale. Infatti, l’Italicum squilibra tutto il sistema politico a favore del capo del governo. Toglie al Presidente della Repubblica il potere reale (non quello formale) di nominare il Presidente del Consiglio. Gli toglie anche, con buona pace di Scalfaro e di Napolitano che ne fecero uso efficace, il potere di non sciogliere il Parlamento, ovvero la Camera dei deputati, nella quale sarà la maggioranza di governo, ovvero il suo capo, a stabilire se, quando e come sciogliersi e comunicarlo al Presidente della Repubblica (magari dopo le 20.38 per non apparire nei telegiornali più visti).

9. No, quello che è stato malamente chiesto non è un referendum confermativo (aggettivo che non esiste da nessuna parte nella Costituzione italiana), ma un plebiscito sulla persona del capo del governo. Fin dall’inizio il capo del governo ha usato la clava delle riforme come strumento di una legittimazione elettorale di cui non dispone e di cui, dovrebbe sapere, neppure ha bisogno. Nelle democrazie parlamentari la legittimazione di ciascuno e di tutti i governi arriva dal voto di fiducia (o dal rapporto di fiducia) del Parlamento e se ne va formalmente o informalmente con la perdita di quella fiducia. Il capo del governo ha rilanciato. Vuole più della fiducia. Vuole l’acclamazione del popolo. Ci “ha messo la faccia”. Noi ci mettiamo la testa: le nostre accertabili competenze, la nostra biografia personale e professionale, se del caso, anche l’esperienza che viene con l’età ben vissuta, sul referendum costituzionale (che doveva lasciare chiedere agli oppositori, referendum, semmai da definirsi oppositivo: si oppone alle riforme fatte, le vuole vanificare). Lo ha trasformato in un malposto giudizio sulla sua persona. Ne ha fatto un plebiscito accompagnato dal ricatto: “se perdo me ne vado”.

10. Le riforme costituzionali sono più importanti di qualsiasi governo. Durano di più. Se abborracciate senza visione, sono difficili da cambiare. Sono regole del gioco che influenzano tutti gli attori, generazioni di attori. Caduto un governo se ne fa un altro. La grande flessibilità e duttilità delle democrazie parlamentari non trasforma mai una crisi politica in una crisi istituzionale. Riforme costituzionali confuse e squilibratrici sono sempre l’anticamera di possibili distorsioni e stravolgimenti istituzionali. Il ricatto plebiscitario del Presidente del Consiglio va, molto serenamente e molto pacatamente, respinto.

Quello che sta passando non è affatto l’ultimo trenino delle riformette. Molti, purtroppo, non tutti, hanno imparato qualcosa in corso d’opera. Non è difficile fare nuovamente approvare l’abolizione del CNEL, e lo si può fare rapidamente. Non è difficile ritornare sulla riforma del Senato e abolirlo del tutto (ma allora attenzione alla legge elettorale) oppure trasformarlo in Bundesrat. Altre riforme verranno e hanno alte probabilità di essere preferibili e di gran lungamigliori del pasticciaccio brutto renzian-boschiano. No, non ci sono riformatori da una parte e immobilisti dall’altra. Ci sono cattivi riformatori da mercato delle pulci, da una parte, e progettatori consapevoli e sistemici, dall’altra. Il NO chiude la porta ai primi; la apre ai secondi e alle loro proposte e da tempo scritte e disponibili.

da il Fattoquotidiano.it, 14 maggio 2016

Italicum: dal Porcellum al Porcellinum

4 Mag

Italicum: ovviamente Ignazi lo dice molto meglio di me, ma la sostanza è la stessa. Fa schifo.

Italicum IGNAZI

Una legge indecente e una classe politica sorda

5 Dic

Uno dei punti più bassi e maleodoranti della nostra storia repubblicana: la legge elettorale di Calderoli e il tempo impiegato per dichiararla incostituzionale, mentre per più di otto anni i partiti facevano finta di non sentire e prendevano per il culo gli elettori . Vedremo quanto ci metteranno ora per vararne una nuova e quale porcheria saranno capaci di architettare. Poi si stupiscono e fanno gli offesi, osano parlare di antipolitica.

Leggetevi questo post di Claudio Lombardi su civicolab.

Il capolavoro di un sistema malato

Dunque da otto anni la nostra democrazia è regolata da una legge elettorale incostituzionale. Leggi, nomine, cariche tutto è viziato dall’incostituzionalità. Migliaia di parlamentari eletti in tre legislature, le decisioni che sono state assunte, le risorse di cui ha disposto la classe politica negli ultimi otto anni alla luce della sentenza della Corte Costituzionale sono viziate e bollate come frutto di una violazione della Costituzione.

Questo è il capolavoro che è stato fatto sull’onda di una “conquista” della politica da parte di avventurieri senza scrupoli che hanno maneggiato le istituzioni e la legalità come strumenti per il loro potere e per il loro arricchimento.

Non bisogna mai dimenticare che il marchio di infamia della legge porcata lo porta il centro destra italiano guidato da Berlusconi che ha generato la peggior classe dirigente che l’Italia abbia mai avuto.

Purtroppo l’invenzione di quella legge elettorale ha fatto comodo anche ai partiti di opposizione che si sono guardati bene dal muovere una guerra senza quartiere per imporne l’abrogazione. Hanno traccheggiato per anni tra convegni, dichiarazioni e retorica senza mai imboccare la strada di un’azione chiara. Fino all’ultimo le chiacchiere hanno sostituito l’iniziativa politica e al massimo hanno prodotto disegni di legge da depositare in Parlamento sapendo che non sarebbero mai stati discussi.

La sentenza della Corte Costituzionale di oggi condanna un’intera classe politica alla vergogna.

Anche Fabrizio Barca favorevole al sistema uninominale a doppio turno

9 Nov

Ho appena pubblicato questo post  relativo all’appello per una legge elettorale basata su uninominale a doppio turno e scopro che anche Fabrizio Barca ne parla positivamente nel suo blog. Mi fa molto piacere, ma allo stesso tempo temere che non sarà la strada che si seguirà: in questo Parlamento il buon senso mi pare scarseggi. Come anche il senso del dovere.

Per un sistema uninominale a doppio turno

Pubblicato anche su Lettera 43

Ci sono diversi motivi per aderire all’ appello lanciato da Giovanni Sartori, Luciano Bardi, Piero Ignazi e Oreste Massari per un sistema uninominale a doppio turno, e già firmato da molti studiosi.

Tra questi motivi ce n’è uno che sento particolarmente vicino al nostro bisogno di elettori che vogliono continuare a votare: questo sistema “rinsalda – come argomentano i proponenti – con il voto a un candidato nel collegio uninominale, il rapporto tra elettori e rappresentanti, superando le liste bloccate, ma senza le degenerazioni insite in un sistema con preferenze”.

L’attuale legge elettorale ha prodotto danni riconosciuti da tutti, c’è veramente poco da aggiungere a quanto si ripete da sette anni. Un’irresponsabilità che il ricorso alle primarie, come nel caso del Pd, non risolve, anche quando – e purtroppo così nel Pd spesso non è stato – la competizione delle primarie avvenisse sui contenuti e non fosse pilotata da guerre di apparati e fazioni. Infatti, solo quando conosciamo il nome, il cognome, il viso della singola persona che ci rappresenta in Parlamento possiamo incalzarla e farla sentire responsabile verso il “nostro” collegio (anche se non l’abbiamo votata).

Nell’aderire all’ appello dobbiamo però avere presente che non esiste sistema elettorale, come non esiste forma di governo, che ci regala l’esito desiderato di un buon governo in Italia. Non esiste la soluzione “semplice” che da venti anni inseguiamo. E’ complesso governare. Sono complessi i rapporti fra società e politica. E’ complessa e plurale la richiesta di rappresentanza.

La complessità è un dato di fatto e va accettata per poterla governare. Non esiste un principio semplificatore che possa riportarla per magia dentro la lampada. Non c’è un unico elemento d’ordine che ci possa salvare da questo nostro destino, sia esso di natura istituzionale o legato alla riforma elettorale o al sogno del ritorno di un partito pesantissimo (con la P maiuscola) o alla comparsa di una leadership salvifica.

C’è invece un metodo di governare partecipativo, che torni a coinvolgere i cittadini, soprattutto fra un voto e l’altro, quando la “politica” viene disegnata, attuata, verificata (magari!), contestata, modificata. Di questo metodo, che ho discusso in questi mesi con migliaia di cittadini, e che continuerò a discutere con chi voglia praticarlo, la proposta elettorale dell’appello è parte significativa.

 

Nessuno che gli abbia mai chiesto scusa

21 Ott

Sto parlando di Prodi. E nessuno che abbia mai chiesto scusa agli elettori per gli errori, anche tragici, commessi da allora in avanti. Questa è la sintesi che mi sento di fare quando mi viene da pensare o si parla della dirigenza del Pd dello stesso periodo. Non è pessimismo o eccesso di spirito critico: basta leggere i giornali, ascoltare la tv, discutere con gli amici: sono ancora tutti lì, a dare il loro parere, spesso non richiesto e a continuare a ignorare le istanze dei cittadini, i loro elettori.
Tanto per fare qualche esempio, nel frattempo si sono tenuti stretto il Porcellum e stanno ora meditando come stravolgere la Costituzione.

Romano Prodi non avrebbe fatto nessuna delle due cose. Oggi ci servirebbe uno come lui.
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Dal sito di Romano Prodi.

Il più grande errore e la più grande delusione della mia vita

Prodi: «Delusione della vita? Il Pd non mi ha mai difeso»

Articolo di Giuseppe Vittori su l’Unità del 17 ottobre 2013

«L’errore politico che rimprovero nella mia vita è di non aver fatto un partito dopo la notte delle primarie del 2005. Non l’ho fatto perché volevo unire e non dividere», a dirlo è Romano Prodi, in un libro di Marco Damilano, Chi ha sbagliato più forte (Laterza), dedicato alla vicenda del centrosinistra in questi vent’anni.

Prodi ripercorre con amarezza la storia dell’Ulivo. «Quando la cosa ha cominciato a marciare, i partiti misero le mani avanti sostenendo che senza la loro capillare organizzazione non ci sarebbe stata possibilità di vittoria. Nelle riunioni iniziali, talvolta senza ostilità, si chiariva continuamente che io ero un mandatario dei partiti. E la destra diceva che io ero la maschera di D’Alema in quanto egli rappresentava la parte più forte della tradizione dei partiti. Ogni volta che si è presentata una novità nella politica italiana per i partiti l’opzione più comoda è stata dire: la forza però è nostra».

Un atteggiamento che secondo Prodi non è mai venuto meno. «Questo spiega, ad esempio, la difesa di fondo del Porcellum – prosegue il Professore – mantenuto in vita perché, pur essendo indifendibile, ha il grande vantaggio di garantire la fedeltà degli eletti, un sistema molto buono per un leader, se non avesse il difetto di fargli perdere le elezioni… È il grande errore che si è perpetrato in tutti questi anni, una mentalità che ripete: rimanga il partito, perdano tutti coloro che cercano vie nuove. Meglio perdere le elezioni che perdere il partito. Pareggiarle è ancora meglio».

Ma naturalmente nei ricordi e nelle riflessioni di Romano Prodi ce n’è anche per il centrodestra e per Silvio Berlusconi. «Contro di me è stata schierata una Commissione parlamentare, la Telekom Serbia, poi la Mitrokhin: sono stati acquistati parlamentari. Putin una volta scherzando mi ha detto: “Dovevi dirmelo che eri del Kgb, avremmo fatto insieme cose bellissime!”. Si riferiva al caso Mitrokhin, evidentemente».

Tutto inutile. «Non sono riusciti a farmi fuori», annota il Professore. «Credo che anche questo, oltre alle due sconfitte elettorali, abbia spinto Berlusconi dopo il voto del 2013 a dichiarare a Bari che avrebbe cambiato Paese in caso di una mia elezione al Quirinale», prosegue. «La mia più grande delusione però non è arrivata da lui. Ovunque quando qualcuno dall’esterno ti attacca la tua organizzazione ti difende: è una regola elementare. Nei miei confronti non c’è stata una parola di difesa arrivata dalla mia parte dopo l’attacco di Berlusconi di Bari. È stata questa la mia più grande delusione».

Legge elettorale: Giachetti vs Letta (per me ha ragione Giachetti)

1 Ott

Dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio circa la legge elettorale e la posizione del deputato Pd Roberto Giachetti, quest’ultimo ha pubblicato la risposta sul suo sito e che viene integralmente riportata qui sotto. Risposta che mi trova perfettamente d’accordo: sono ormai sette anni che i partiti rinviano allegramente la sostituzione dell’attuale oscena legge con una degna di questo nome. La mozione di Giachetti andava in questa direzione e pertanto doveva essere sostenuta. Non averlo fatto è stato un errore (blando eufemismo), che sommato al mostruoso progetto di revisione costituzionale ha di fatto costruito un nuovo muro tra politica ed elettori. Cioè noi cittadini.

Caro Enrico non ci siamo.

Foto articolo

Roma, 30-09-2013

Siccome il mio amico Enrico Letta oggi mi chiama direttamente in causa, penso sia doveroso da parte mia uscire dall’amaro riserbo di queste ore e dire poche cose.

Io non so cosa voglia in questo momento Grillo. Ho visto superficialmente la proposta di riforma elettorale del Movimento 5 Stelle e mi sembra forse peggiore del Porcellum. Solo qualche giorno fa lo stesso Grillo ha detto che a questo punto è meglio tornare a votare con l’attuale legge elettorale. Sì, bene, questo è vero. Ma non è tutto. Io penso che in politica, al di là delle dichiarazioni (sono anni che inseguiamo dichiarazioni roboanti sulla volontà di cancellare il Porcellum), delle buone o delle cattive intenzioni, contano i fatti.

Ed i fatti purtroppo parlano chiaro: quando più di quattro mesi fa 100 deputati di quasi tutti i gruppi misero a disposizione del Parlamento la possibilità di passare dalle parole ai fatti, cioè di cancellare il Porcellum, Letta chiese al Pd di votare contro quella mozione, ponendo sostanzialmente una questione di fiducia; il Pd si sottomise a quella richiesta e quella mozione fu votata solo da Sel, dal Movimento 5 stelle, dal deputato PDL Martino e dal sottoscritto. Questi sono i fatti. Avrei tanto voluto che i fatti stessero in altro modo. Oggi non saremmo in queste condizioni ed in questa trappola.

Oggi Enrico, per replicare a Grillo, spiega che il Pd non era contro nel merito ma sul metodo. Mi viene da sorridere: l’accusa sarebbe quella che 4 mesi fa occuparsi di legge di salvaguardia sarebbe stata un’accelerazione impropria visto l’avvio del percorso delle riforme istituzionali. A prescindere da ogni valutazione sul concetto di accelerazione, dopo anni in cui si chiacchiera inutilmente di abolizione del Porcellum, anche in questo caso parlano i fatti. Stoppare quella iniziativa è servito solo a farci trovare nell’attuale situazione d’impasse. Oggi tutti mi spiegano che per cambiare il Porcellum non ci sarebbero i numeri e che quindi si potrà fare solo qualche correzione (legata ai possibili interventi della Corte Costituzionale) e quindi, addirittura, peggiorare l’attuale legge elettorale. Non so se sarà così ma certamente questo ragionamento vale per l’oggi.
Il 28 maggio vi erano le condizioni per farlo e se non lo si è fatto è perché Letta, Franceschini, Finocchiaro vertici del PD non hanno voluto. La conseguenza, temo di non sbagliarmi, è che torneremo a votare con questa legge o con una peggiore senza aver per lo meno garantito quello che tutti gli italiani si attendono: scegliere i propri rappresentanti. Ed i primi responsabili di questo siamo noi. Occorre dirlo.

Un’ultima osservazione. A sentire il Presidente del Consiglio sembrerebbe che al Senato sia imminente l’approvazione di un testo di riforma della legge elettorale su cui vi sarebbe una sorta di largo accordo. Temo che abbia informazioni sbagliate. A due mesi dallo scippo del dibattito da parte del Senato stiamo ancora in alto mare. Anzi nei prossimi giorni ci è stato annunciato che avremo un “pillolario”, cioè una serie di punti su cui verificare convergenze. Ancora lontano appare un testo vero sul quale magari votare. Cioè siamo più o meno al punto di partenza. Una fotografia molto simile a quella che abbiamo visto nello scorcio della precedente legislatura.

Lettera aperta al nuovo Presidente della Consulta, Gaetano Silvestri

20 Set

Congratulazioni di tutto cuore, Presidente e sinceri auguri di buon lavoro. Ce n’è una bella mole che l’attende, ma gli italiani si aspettano da lei e dalla Corte che presiede soprattutto e prima di tutto che si ponga fine allo sconcio dell’attuale legge elettorale.

E’ con vero sollievo degli elettori che nelle sue dichiarazioni si è letto quello che tutti sanno, a partire da coloro che siedono nelle aule parlamentari: quella legge è un vero insulto al buon senso, all’equanimità, alla democrazia e ha prodotto innumerevoli danni all’Italia, rendendola ingovernabile e squalificando la figura dei nostri rappresentanti in Parlamento.

Il Paese non può più aspettare: lei lo sa e lo ha confermato quando ha dichiarato che c’è una tendenza a scaricare sul potere giudiziario decisioni che il potere politico non riesce a prendere.  Nella vita di una nazione ci sono momenti in cui i cittadini che ne hanno a cuore le sorti si assumono responsabilità anche gravose per contribuire a risolvere le crisi. Questo è uno di quei momenti e la Corte Costituzionale, per l’alto compito che assolve da sempre con serenità, saggezza e spirito di servizio, ha la possibilità di prendere quelle decisioni che inducano finalmente il Parlamento a legiferare, come è (in questo caso si dovrebbe dire “sarebbe stato”) suo compito.

Buon lavoro, Presidente. L’accompagnano, con i suoi colleghi, i migliori auspici dell’Italia che nonostante tutto ancora resiste e non si rassegna.

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