Tag Archives: Parlamento

NO.

14 Set

Piaccia o no, la nostra è una repubblica parlamentare e la Costituzione è disegnata sulla democrazia rappresentativa.
Mi rendo conto che per i tifosi del sì, quelli che sbraitano di parlamentari nullafacenti e hanno preso contatto con la Costituzione in questi giorni per la prima volta, siano concetti astrusi, ma questo è.

Intervenire sulla Carta manomettendola brutalmente – non diversamente da quanto fu fatto nel 2005 con la riscrittura infelice del Titolo V – è non solo rischioso, ma peggio.
Per modificarla occorrono le menti brillanti di giuristi, intellettuali e politici come quelli che vi lavorarono per due anni con passione e spirito di servizio nel 1946. Invece oggi bastano i beneficiati da una indecente legge elettorale che votano a comando rispondendo a stimoli pavloviani.

27 dicembre 1947: la Costituzione è realtà

Nessun rispetto neppure per il Parlamento – il luogo dove dovrebbero incontrarsi i migliori tra i cittadini: ma questo è l’esito di una campagna sotterranea che per anni ha puntato a squalificarlo.

La vera casta, i capipartito che non hanno mai inteso attuare la Costituzione, consapevoli dei fragili e risibili motivi addotti a giustificazione dello scempio (il risparmio, la maggiore efficienza, il confronto con altri parlamenti) hanno recentemente sganciato quella che credono possa essere l’arma finale: la caduta del governo Conte qualora vinca il NO.

E qui è la loro miseria: quella minaccia non ha alcun senso perché il pericolo consiste casomai nel risultato delle elezioni regionali e quella sconfitta – se dovesse verificarsi – sarà solo una loro responsabilità.

#IovotoNO consapevolmente e orgogliosamente.

Il silenzio assordante delle sardine

21 Nov

C’é in Italia una maggioranza pacifica e silenziosa che nonostante tutto non si rassegna, resiste, si indigna. E, quando ritiene che si sia superato ogni livello di civile confronto, reagisce.


Sono quelli  che pretendono, perché ne avrebbero semplicemente il diritto, uno Stato semplice e giusto. Uno Stato che sappia indicare le vie dello sviluppo invece di limitarsi a gestire l’oggi, talvolta male e con interventi contraddittori o, peggio, di comodo per pochi. Uno Stato per cui il faro sia costituito dalla questione morale, dal senso del dovere, dal riconoscimento del merito, per cui trasparenza e legalità non siano solo parole. Uno Stato che sappia creare lavoro investendo nella salute, nell’istruzione, nella messa in sicurezza del suolo, nella valorizzazione del patrimonio storico, nella difesa del paesaggio, nell’energia verde. Uno Stato che combatta la burocrazia ottusa che perseguita il cittadino e soffoca l’iniziativa privata.

Questi italiani credono sinceramente nel dettato della Costituzione. Credono nel rispetto reciproco, nella tolleranza, nella solidarietà. E credono nella laicità dello Stato.

Sono contro la corruzione dilagante, l’evasione fiscale portata agli estremi, i privilegi di pochi, le rendite di posizione, l’arroganza del potere, l’ingiustizia sociale. Combattono ogni giorno la discriminazione in ogni sua forma, che sia il colore della pelle, l’orientamento sessuale, la religione professata. Condannano le disuguaglianze che nascono dalla povertà, dalla precarietà, dal lavoro nero, da quello gratuito nascosto dietro l’apprendistato. Vogliono forze armate che difendano il territorio, non che combattano guerre lontane mascherate ipocritamente da missioni di pace. E vogliono una legge elettorale che garantisca l’espressione di tutte le componenti della società e la possibilità di scegliere direttamente il proprio eletto, affinchè il Parlamento torni ad essere realmente luogo di discussione.e di elaborazione delle leggi.

Uno Stato semplice e giusto per cambiare il volto della politica. Perché la politica torni ad ascoltare ed agire in conseguenza, come accade in democrazia.
Non mi pare che si chieda molto.

Non voglio un Parlamento di pecore, ne ho il diritto

12 Ott

 

Di Rosatellum, rispetto per la Costituzione, per le regole e per il popolo sovrano

L’art. 72 della Costituzione dispone: 
Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale.
Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l’urgenza…..La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.”

Non bastasse, il Regolamento della Camera prescrive:
1. il voto segreto per le leggi elettorali (art. 49): Sono altresì effettuate a scrutinio segreto, sempre che ne venga fatta richiesta, le votazioni sulle modifiche al Regolamento…nonché sulle leggi elettorali.
2. che la questione di fiducia non può essere chiesta per gli argomenti per cui è previsto il voto segreto (art. 116, comma 4):
La questione di fiducia non può essere posta su proposte di inchieste parlamentari ….. e su tutti quegli argomenti per i quali il Regolamento prescrive votazioni per alzata di mano o per scrutinio segreto. (*)

La Carta prevede quindi che ci sia un “esame”, il normale e doveroso confronto parlamentare, del disegno di legge elettorale (che pur essendo ‘ordinaria’ non è una legge come le altre: viene infatti equiparata ai “disegni di legge in materia costituzionale”). Il ricorso alla fiducia non è previsto affatto: è un infimo stratagemma che è un vero e proprio insulto alla nostra Costituzione e alla sovranità del Parlamento.

Altresì, con la fiducia si chiede alla Camera di approvare una legge senza averla mai discussa in Aula, visto che non c’è stata neanche la discussione generale. Abbiamo così un Parlamento ridicolizzato ed i suoi componenti ridotti al ruolo di schiacciabottoni. Ma se lo meritano quelli che hanno eseguito docilmente e servilmente l’ordine e voteranno la fiducia: siamo noi cittadini che non meritiamo un parlamento fatto di pecore obbedienti, oggi in parte, domani quasi del tutto,  se questa legge indecente dovesse passare e nel quale la mia fiducia (e quella di molti, molti altri) si ridurrebbe quasi allo zero.

l Pd e il suo segretario (cui aggiungo il presidente del Consiglio dei ministri) hanno commesso un errore mortale: immemori della catastrofe romana dopo aver fatto decadere un sindaco democraticamente eletto, ripercorrono la strada che condusse tanti elettori a una reazione viscerale aprendo la porta del Campidoglio al populismo. Alle prossime elezioni succederà lo stesso.
I 5 stelle ringraziano e già si fregano le mani.

(*) Aggiornamento. La Presidente della Camera, Boldrini, ha chiarito in un articolo su Il Manifesto, perché non ha potuto negare il voto di fiducia. Ne prendo atto, ma resta tutta la mia indignazione per l’aver utilizzato uno stratagemma – e non una norma chiara e inequivocabile – per porre la fiducia su una legge indecente che sottrae ancora una volta al popolo il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento. Il risultato è che di tutto questo se ne avvantaggeranno il populismo più sbracato e la coppia Berlusconi-Salvini. Complimenti.

La memoria corta.

Governabilità, il nuovo totem

5 Ott

‘Governabilità’ è la nuova parola d’ordine che si aggira nei corridoi della politica. Non so quanti l’abbiano notato: una nuova parola d’ordine che viene ripetuta con più che sospettabile frequenza, vista la sua incongruità con la nuova (speriamo) legge elettorale. In suo nome, in nome della ‘governabilità’, si è infatti arrivati perfino a sostenere che il sistema elettorale deve servire a eleggere il governo. E quindi, che la legge elettorale di cui si discute dovrà essere concepita in modo da garantire la ‘governabilità’.

È un trucco. Come nel gioco delle tre carte si fa apparire una realtà che non esiste.

Andiamo per ordine. ‘Governare’ vuol dire ‘dirigere, condurre, guidare, gestire (una nave, una casa, perfino una stalla viene governata). ‘Governabilità’ è quindi l’insieme di condizioni per cui l’atto può essere realizzato. Afferma la Treccani: “Nel linguaggio della pubblicistica politica, l’esistenza di un complesso di condizioni sociali, economiche, politiche e sim., tali da rendere possibile il normale governo di un paese.” Tutto qui: non si aggiunge che la governabilità sia una condizione necessaria ed obbligata come invece, con un trucco da fiera paesana, si tenta di insinuare subdolamente nella mente degli elettori.

Non basta. Nell’intera Costituzione questo concetto – non solo la parola – è assente del tutto. Perché la Costituzione prevede tutt’altro: dispone l’irrinunciabile rappresentanza nel Parlamento cioè la presenza – in proporzione ai voti espressi – dei rappresentanti delle forze politiche attive nel paese. Dispone pertanto che il Parlamento sia liberamente (art. 48) eletto dai cittadini, dal popolo sovrano, affinché esso sia effettivamente rappresentativo della volontà degli elettori che non può essere stravolta.  È quindi la rappresentatività la principale condizione  cui deve ispirarsi la legge elettorale. Dispone infine la Carta che sia il Presidente della Repubblica a nominare il capo del governo e che esso governo debba avere la fiducia del Parlamento, essendovi subordinato. Questo – e non altro – afferma la nostra Costituzione.

È il Parlamento che controlla l’operato del governo, non il contrario: se così fosse,  non ci si dovrebbe scandalizzare  dei 314 deputati supinamente fedeli a Berlusconi (ma non leali verso il loro mandato) che si dissero convinti che Ruby era la nipote di Mubarak.

Si tenta insomma di metter da parte il dettato costituzionale per far  primeggiare una supposta e mai dimostrata prevalenza della governabilità sulla rappresentatività: progressivamente, attraverso sistemi elettorali indegni di questo nome, con liste bloccate e ingiustificabili premi di maggioranza ” i gruppi politici al potere vanno cercando di persuaderci che è più importante un governo stabile rispetto al fatto che i cittadini scelgano i loro rappresentanti liberamente e proporzionalmente secondo le loro opinioni e spesso perfino che i cittadini possano essere effettivamente i protagonisti nella scelta dei loro rappresentanti.”(1)

La legge elettorale non serve a eleggere il governo; essa deve rispondere unicamente a requisiti irrinunciabili di neutralità, affinché la rappresentanza del Parlamento sia il più possibile fedele alla volontà popolare. E per rispondere a questa irrinunciabile quanto vitale esigenza, piaccia o non piaccia  c’è solo il sistema elettorale proporzionale.

 

(1) Una falsa democrazia: governabilità vs rappresentatività
Prof. Giovanni Levi , Università Ca’ Foscari, Venezia

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In un piccolo borgo di montagna del nostro nord-est, un mondo chiuso e apparentemente quasi ostile, il giovane carabiniere Paternò si trova di fronte al duplice omicidio di due cacciatori. Paternò non è un carabiniere comune: nonostante la giovane età ha una storia alle spalle, con angoli bui che non conosce o forse non vuole esplorare. La storia si sviluppa su due piani paralleli, come la personalità di Paternò che si è evoluta su due dimensioni: quella della tragedia familiare e quella intima e personale, che si sono intrecciate fino a costruire un insieme complesso. Accade così che accanto all’indagine ne progredisca inconsapevolmente una seconda in cui Paternò insegue soprattutto due cose che non ha avuto dalla vita: giustizia e amore. Le incontrerà entrambe un poco alla volta attraverso piccole conquiste e sconfitte e alla fine riuscirà a risolvere il caso e contemporaneamente a trovare ciò che ha rappresentato la chiave nascosta della sua ricerca.

Come una casa senza finestre

 

 

 

Riforme: prima il Parlamento

29 Apr


5 PROPOSTE RIVOLUZIONARIE DA MICHELE AINIS

Oggi su Repubblica il prof. Ainis, in una lucida e rapida disamina sull’agonia dei partiti, ha lanciato cinque proposte per rivitalizzare la democrazia parlamentare con l’innesto di “un po’ di fantasia (o eresia) costituzionale.” 
Qui l’articolo originale e di qui seguito una mia (grossolana) sintesi.

  1. Affiancare al referendum abrogativo (dove va eliminato il quorum) quello propositivo. Aggiungere l’iniziativa popolare vincolante, la consultazione popolare sulle grandi opere pubbliche, varie forme di partecipazione via web dei cittadini.
  2. Prender atto che l’astensione rappresenta ormai circa la metà dell’elettorato: diminuire parallelamente gli eletti, riducendone altresì i poteri.
  3. Non più di due mandati per i parlamentari, come per i sindaci e i presidenti di regione.
  4. Revoca degli eletti immeritevoli: gli assenti oltre ogni ragionevole limite, i professionisti del cambio di casacca.
  5. Nomina di un gruppo di parlamentari mediante estrazione a sorte, costituendo un cuscinetto tra maggioranza e opposizione.
    Dice: ma rischieremmo d’inviare in Parlamento degli incapaci. E perché, ora sono tutti capaci?

Applausi. 

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I racconti, le storie brevi, sono come quegli sguardi lanciati da una finestra aperta che permettono di vivere quanto accade giù nella strada, nella vita di tutti i giorni, di immaginare i pensieri dell’ignoto passante o il dialogo dell’altrettanto ignota coppia mentre vengono percorsi i pochi metri che la visuale consente.
In questi dieci racconti c’è quasi sempre Roma, come sfondo o protagonista, ma i personaggi, con le loro personalità, le manie, le loro storie personali, potrebbero esistere ovunque: per conoscerli, e conoscere le loro storie, basta affacciarsi a questa finestra.

http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/racconti/322551/la-finestra-aperta-3/

 

 

Il Parlamento. La differenza.

22 Lug

Tutti attenti a seguire chi parla. Niente telefonini, giornali, computer, chiacchiere e gruppetti nell’emiciclo, Niente urla, offese, risse.
Il rispetto per gli elettori, i contribuenti, gli avversari, per sé stessi e per quello che si rappresenta. La consapevolezza dell’alta responsabilità affidata dalla libera scelta degli elettori. La differenza, insomma. Enorme.

#paesi civili #altri mondi

camera-dei-comuni
Per altre informazioni:

Fai clic per accedere a hofcbgitalian.pdf

https://it.wikipedia.org/wiki/Camera_dei_comuni_(Regno_Unito)

L’Italia e la legalità

2 Gen


Con tutto il rispetto, signor Presidente, a tutto questo dovrebbe pensare il Governo e il Parlamento. Temo che Lei dovrà vigilare: non li vedo molto attenti.

Dal discorso di fine anno del Presidente Mattarella.

“Negli ultimi anni è cresciuta la sensibilità per il valore della legalità.

Soprattutto i più giovani esprimono il loro rifiuto per comportamenti contrari alla legge perché capiscono che malaffare e corruzione negano diritti, indeboliscono la libertà e rubano il loro futuro.
Contro le mafie stiamo conducendo una lotta senza esitazioni, e va espressa riconoscenza ai magistrati e alle forze dell’ordine che ottengono risultati molto importanti.
Vi è, poi, l’illegalità di chi corrompe e di chi si fa corrompere.

Di chi ruba, di chi inquina, di chi sfrutta, di chi in nome del profitto calpesta i diritti più elementari, come accade purtroppo spesso dove si trascura la sicurezza e la salute dei lavoratori.

La quasi totalità dei nostri concittadini crede nell’onestà. Pretende correttezza.

La esige da chi governa, ad ogni livello; e chiede trasparenza e sobrietà. Chiede rispetto dei diritti e dei doveri.

Sono numerosi gli esempi di chi reagisce contro la corruzione, di chi si ribella di fronte alla prepotenza e all’arbitrio.

Rispettare le regole vuol dire attuare la Costituzione, che non è soltanto un insieme di norme ma una realtà viva di principi e valori.

Tengo a ribadirlo all’inizio del 2016, durante il quale celebreremo i settant’anni della Repubblica.

Tutti siamo chiamati ad avere cura della Repubblica.

Cosa vuol dire questo per i cittadini? Vuol dire anzitutto farne vivere i principi nella vita quotidiana sociale e civile.”

Assemblea pubblica promossa dal COORDINAMENTO PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE

27 Feb

I cittadini hanno il dovere di difendere la loro Costituzione.

Coordinamento Democrazia Costituzionale

Modifiche della Costituzione e legge elettorale, un disegno di accentramento autoritario ?
Difendere la Costituzione nata dalla Resistenza per impedire lo stravolgimento dei suoi valori fondamentali

LUNEDI 9 MARZO dalle ore 15 alle ore 18.30 Assemblea pubblica promossa dal COORDINAMENTO PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE
Aula dei gruppi parlamentari della Camera in via di Campo Marzio

Le pesanti modifiche della Costituzione e della legge elettorale all’esame di questo Parlamento, risultato di una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, stanno creando un serio pericolo di accentramento del potere di decisione nelle mani del Governo e la discussione parlamentare, per come avviene, requisisce di fatto le decisioni senza consentire la partecipazione dei cittadini; senza trascurare che lo stesso Parlamento è fortemente delegittimato dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha messo in mora la legge elettorale con cui è stato eletto.
Il nostro paese, colpito da una grave crisi economica, è concentrato…

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Il partito sbagliato

24 Gen

Raffaele Viglianti lascia il Pd. Lo dice nel suo blog, con un’amara lettera di saluto in cui spiega le ragioni della sua rinuncia. E a me dispiace molto, moltissimo, non solo perché comincio a non contare più quanti se ne vanno, ma perché Raffaele è stato davvero uno di quelli che non si è risparmiato. Un vero militante che ha lavorato instancabilmente, ha sacrificato tempo e soldi (suoi), ha creduto fino all’ultimo in un progetto e ora, sopraffatto dalla delusione, getta la spugna.

Confesso che capisco benissimo le sue ragioni. Anch’io sono stato fino all’ultimo dubbioso ed esitante se rinnovare o no la tessera e alla fine hanno prevalso il senso di responsabilità verso tanti altri amici e militanti, la testardaggine di non darla vinta a chi stava facendo di tutto per farmi sentire quasi un corpo estraneo, il credito di fiducia che ho accordato e accumulato negli anni senza che venisse soddisfatto.  Lo dico chiaramente: l’attuale visione del partito da parte dei vertici sembra guardare ai militanti come un utile accessorio, ma non certo come la parte viva e pulsante e la loro partecipazione (tanto conclamata nei documenti fondativi) è solo apparente.

Molto prima che nascesse l’attuale tendenza a definire ‘leader’ chi raccoglie maggior consenso dai media perché viene meglio in tv e magari ha anche il dono della parlantina sciolta condita di qualche battuta (competenze ed esperienze sono ovviamente un di più che non guasta, ma assolutamente non necessario), molto prima di questo, dicevo, il partito politico doveva comprendere i militanti al primo posto, seguiti dagli iscritti. Gli elettori venivano assai dopo, cioè quando veniva chiamata la tornata elettorale, ma completavano il quadro delle figure-chiave. Ognuna di esse rappresentava un’area: il militante l’ideale e la struttura operativa del movimento, l’iscritto l’interesse e il partito di massa, l’elettore l’emozione e l’ago della bilancia. Non lo dico mica io, l’ha scritto Duverger, ne ha parlato Weber.

Quando invece l’elettore è stato trionfalmente portato al primo posto, puntando su quella figura di leader di cui si è detto prima, è nato il partito personale, il partito “macchina di potere” come avrebbe detto Berlinguer o “pigliatutto” (come lo chiama Kirchheimer); è il partito dove il capo può tranquillamente anteporre le proprie idee (o interessi) agli ideali, mantenuti in vita artificialmente in una teca di cristallo sotto vuoto spinto: si possono solo ammirare (e rimpiangere). Questo modello di partito teorico, dove “partecipazione” viene intesa solo nel senso letterale di prender parte a un evento, a una manifestazione e null’altro, costruito su un vortice di promesse e proclami altisonanti, sul fascino mediatico,  su un vertice di comando clientelare – volto solo a manifestare fedeltà pur di mantenere i privilegi acquisiti – è l’antitesi perfetta dell’altro.

Non ha niente a che vedere col partito politico dove militanti ed iscritti, organizzati socialmente e territorialmente, provvedono ogni giorno a mantenere la causa in primo piano, stimolano l’evoluzione culturale, curano il confronto dialettico e fruttuoso delle idee, dove la passione politica si autoalimenta e dove il leader ne rappresenta la felice sintesi. Con questo modello di partito, è solo e sempre il Parlamento l’organo centrale della democrazia, il filtro tra popolo e governo, il luogo deputato a far emergere i migliori e i disinteressati, dove si discute del futuro della nazione e si creano le leggi a beneficio della collettività.

Nulla e nessuno potrà convincermi che non sia questo quello giusto e l’altro quello sbagliato.

Stefano Rodotà – I diritti che lo Stato deve restituire

14 Dic

Questo editoriale di Rodotà apparso su Repubblica ieri mi è apparso fondamentale. Per la lezione sui diritti dei cittadini che non possono più attendere oltre un Parlamento perennemente in ritardo (o, peggio, sordo e incapace), per il severo memento rivolto al Governo, perché dimostra in modo inequivocabile cosa la sinistra dovrebbe esigere, per cosa dovrebbe battersi.

I diritti che lo Stato deve restituire

SAPEVAMO che la povertà si estendeva, che dilagavano le diseguaglianze, che la percentuale della fiducia dei cittadini nelle istituzioni era precipitata al 2%. Eppure questi dati venivano considerati come pure registrazioni statistiche. Valutate alla stregua di variazioni di sondaggi e non come lo specchio di una situazione reale che rivelava quanto la coesione sociale fosse a rischio. Ora quel momento è arrivato,e bisogna chiedersi come una situazione così difficile possa essere governata democraticamente. È problema capitale per le istituzioni, che non possono ridurlo ad affare di ordine pubblico. Ma è compito pure delle forze politiche che non possono trasformare le critiche legittime nella tentazione di raccogliere consensi nella logica della spallata al sistema, della tolleranza di metodi violenti.

I cittadini si sono sentiti privati della rappresentanza, affidati alle pure dinamiche economiche, amputati dei diritti. Da qui bisogna ripartire. La provvida decisione della Corte costituzionale mette di fronte alla necessità di una legge elettorale centrata non solo sulla governabilità, ma sul recupero della rappresentanza. E la dimensione dei diritti è quella dove si fa più evidente l’ intreccio tra le varie questioni.

Torniamo per un momento a Prato, dove la drammatica morte dei cinesi non è stata causata da un semplice incendio, ma proprio alla negazione dei loro diritti. Se ad essi fossero stati garantiti un lavoro legale e la sicurezza, il diritto alla salute e quello all’ abitazione, dunque il rispetto minimo della dignità della persona, nessuno di loro sarebbe morto. Questo non è un caso eccezionale, ma la testimonianza di una separazione sempre più diffusa dell’ economia dai diritti, che trascina con sé anche quella tra politica e diritti, causa non ultima della disaffezione dei cittadini. L’ azione del Governo è in grado di colmare questa distanza?

Oggi la risposta non può che essere negativa. L’ attuale maggioranza ha come sua componente essenziale il Nuovo Centrodestra, apparso a qualcuno come una sorta di destra moderna e che, al contrario, al posto dei diritti civili pone i “valori non negoziabili”, ribaditi come irrinunciabile segno di identità. Al posto dei diritti del lavoro ha insediato una logica che ha fatto deperire le garanzie. Al posto del rispetto dell’ altro ha collocato il reato di immigrazione clandestina e l’ostinato rifiuto di allargare la cittadinanza. Al posto della legalità costituzionale vi è ancora la coda lunga delle norme che hanno distorto la legge in custode di interessi privati. Ognuno di questi casi ha nomi e cognomi, corrispondenti esattamente a quelli di esponenti della nuova forza politica. E questo è un ostacolo che continua ad impedire una esplicita strategia di uscita dalla non politica dei diritti che ci affligge da anni.

Cominciamo dalle clamorose inadempienze del Parlamento. Fin dal 2010, prima la Corte costituzionale, poi la Corte di Cassazione hanno riconosciuto che le persone dello stesso sesso, unite in una convivenza stabile, hanno «il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia». Parole che non hanno trovato ascolto nelle aule parlamentari, sì che un diritto fondamentale continua ad essere ignorato. Il silenzio, che riguarda anche il riconoscimento delle unioni tra persone di sesso diverso, è destinato a continuare? Non meno scandaloso è quanto sta accadendo a proposito dell’ accesso alle tecniche di procreazione assistita. La legge del 2004, il più scandaloso p r o d o t t o delle ideologie fondamentaliste, è stata demolita nei suoi punti essenziali da giudici italiani ed europei, ma per il Parlamento è come se nulla fosse accaduto e non vi è stato quell’ intervento che, riconducendo a ragione quel che resta della legge, è necessario per restituire alle donne l’ esercizio pieno dei loro diritti. Inoltre, è fallito per fortuna il tentativo di approvare una legge sulle decisioni sulla vita in contrasto con il diritto fondamentale all’ autodeterminazione e con la norma costituzionale che vieta al legislatore di «violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Ma non si fa nessun passo nella direzione di approvare le poche norme necessarie per eliminare ogni dubbio intorno al diritto della persona di morire con dignità. E così il diritto di governare liberamente la propria vita – il nascere, il costruire le relazioni personali, il morire – è ricacciato in una precarietà che testimonia di una vergognosa indifferenza del legislatore. Sarà mai possibile rovesciare questa attitudine?

La restaurazione della legalità attraverso i diritti investe direttamente l’ essenziale tema del lavoro, che ha conosciuto una sua “riduzione privatistica” soprattutto attraverso l’ articolo 8 del decreto 138 del 2011, dove si consente la possibilità di stipulare, a livello aziendale o territoriale, contratti collettivi o intese in deroga alle leggi. Il negoziato tra datori di lavoro e sindacati non a v v i e n e  p i ù con la garanzia della legge a tutela di diritti essenziali, ma torna ad essere affidato ai rapporti di forza, mai così “asimmetrici” come in questo tempo di crisi pes a n t i s s i m a . Questa norma d e v e  essere cancellata, così come ha fatto la Corte costituzionale dichiarando illegittime norme limitative della rappresentanza sindacale, con una decisione che ci ricorda la necessità di una legge in materia che, nella logica costituzionale, riconosca ai lavoratori i diritti strettamente connessi alla loro condizione. E la questione del reddito di cittadinanza, della quale ci si vuol liberare con qualche mossa infastidita, rappresenta una buona occasione per ripensare il tema difficile del rapporto tra lavoro, cittadinanza, eguaglianza, dignità.

Il filo è sempre quello che connette diritti e restaurazione della legalità. Lo vediamo discutendo di carcere, dove i diritti si scontrano con trattamenti inumani e degradanti e dove la responsabilità del Parlamento non si individua soltanto intorno ad amnistia e indulto, ma con la pari urgenza di incidere sulle cause del sovraffollamento, che hanno le loro radici in reati legati all’ immigrazione o al traffico di stupefacenti, all’ inadeguatezza del codice penale. Lo vediamoa proposito della tutela della privacy che, da una parte, esige maggior rigore all’ interno; e, dall’ altra, impone di non considerarla una questione “domestica”, ma un tema che imporrebbe una presenza del governo italiano in quella dimensione internazionale dove si gioca una inedita partita di legalità costituzionale. Lo vediamo nel deperimento continuo del diritto alla salute e di quello all’ istruzione.

Viviamo ormai in una situazione in cui la Costituzione è ignorata proprio nella parte dei principi e dei diritti. E lo stesso accade nell’ Unione europea, amputata della sua Carta dei diritti fondamentale, che pure ha lo stesso valore giuridico dei trattati. La simmetria tra Italia e Europa è rivelatrice. La lotta ai populismi, anche nella prospettiva delle prossime elezioni europee, passa proprio attraverso l’ esplicito recupero del valore aggiunto assicurato proprio dalla garanzia dei diritti.

Questo catalogo, ovviamente parziale, consente di coglierei nessi tra politicae società,i limiti delle impostazioni solo economicistiche, la rilevanza dei principi di eguaglianza, dignità, solidarietà. Ma serve anche a mostrare non solo l’ inaccettabilità di qualsiasi sottovalutazione dei diritti, ma pure la debolezza d’ ogni posizione che ritenga possibile separarli dalla democrazia. È vero, i diritti sono deboli se la politica li abbandona. Ma quale destino possiamo assegnare ad una politica svuotata di diritti e perduta per i principi?

STEFANO RODOTÀ

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