Con questa seconda puntata (la prima è qui) si completa il racconto pubblicato per celebrare oggi, 21 aprile 2017, il 2770° anniversario della fondazione di Roma. Se voleste leggerlo per intero, lo troverete qui:
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Il venerdì nero di Roma (2)
- Un minuto dopo, in via del Tritone, la berlina dell’editore de Il Messaggero si ferma davanti all’edificio del giornale per far scendere gli occupanti, ma non può accostare al marciapiede per la siepe di motorini ivi parcheggiati. Come d’abitudine, fa sosta in doppia fila ma dietro ad essa si forma l’usuale fila di mezzi e in particolare dei taxi che non possono attraversare il Traforo che, come detto, è bloccato dall’altra parte. Di conseguenza il traffico si paralizza fino a piazza Colonna, già sofferente per i fatti di piazza Venezia.
- All’inizio di via Veneto, un’ambulanza soccorre un noto e anziano alto prelato che ha avuto un malore nell’elegante suite di un grande albergo, ma il plotoncino di suorine che lo conforta intralcia i soccorsi mentre si scatenano i salaci commenti degli astanti. Malauguratamente, la personalità viene riconosciuta da alcuni fotografi che accorrono e si crea un assembramento che ferma il traffico in salita verso Porta Pinciana. Dall’altra parte della strada un automobilista che assiste alla scena si distrae e tampona l’auto che lo precede, scende – forse per giustificarsi – ma viene affrontato con violenza dall’investito, ne nasce una rissa, le auto provenienti dal Muro Torto non trovano sfogo e in alcuni secondi il blocco arriva a piazzale Flaminio, già in pessime condizioni per i passeggeri della metro riemersi dalla stazione.
- Più distante, nella zona di piazza Bologna, si apre una voragine in via Morgagni. I vigili cercano di deviare il traffico su viale Regina Margherita che non è però in grado di assorbire il volume improvviso ed imprevisto. Anche qui il traffico rallenta fino all’arresto totale.
Le conseguenze immediate.
Questi gli episodi principali, ma se ne contano a dozzine in quel maledetto intervallo di pochi minuti, quasi fossero stati concentrati ad arte da una mente perversa. Il risultato fu che il centro storico raggiunse la paralisi totale intorno alle 11.45, paralisi che contagiò velocemente i quartieri limitrofi; come un’onda anomala dilagò verso le zone più periferiche, straripò oltre il Grande Raccordo Anulare e si sparse sulle consolari, raggiungendo le colline dei Castelli ad est ed il litorale a ovest.
Ma in quei primi momenti stava per sopraggiungere un altro problema: il traffico telefonico di chi era rimasto bloccato si era sommato a a quello tradizionale e il risultato dell’abnorme volume di messaggi e conversazioni fu il black out totale delle comunicazioni. Allertata la Protezione Civile, radio e tv interruppero le trasmissioni per diffondere appelli alla popolazione di non muoversi per nessun motivo e dare assistenza a chi ne avesse avuto necessità. Un secondo problema fu l’assistenza a malati e bisognosi di cure, poiché con le ambulanze ferme divenne impossibile il trasporto e le emergenze in breve si moltiplicarono: i più esposti erano i cardiopatici, come pure i pazienti in dialisi e tutti quelli sottoposti a cure periodiche nei day hospital. Commovente fu il caso della barella allestita lì per lì per una partoriente portata a braccia da via Nomentana fino all’ospedale Pertini con gli improvvisati barellieri che quando esausti venivano sostituiti sul posto da volontari. Si venne a costituire così una catena umana che restò in servizio per quasi ventiquattro ore consecutive, consentendo di salvare alcune vite. Non sempre andò bene: furono registrati almeno due casi di decessi nelle ambulanze bloccate e non è possibile fare una stima di quanti ebbero a soffrire per la mancanza di cure tempestive. Da tutti gli ospedali medici e infermieri si inoltrarono nel traffico sventolando lenzuola con sopra dipinta grossolanamente una croce rossa e prestarono l’indispensabile soccorso a molti sfortunati. I bambini degli asili e delle scuole costituirono un caso a parte, essendo impossibile il rifornimento, tranne per quegli istituti, pochi purtroppo, già approvigionati e quelli che avevano una dispensa propria. In questo caso la popolazione fu invitata ad assistere i piccoli portando loro cibi preparati a casa e una nobile gara si scatenò tra le donne che raccolsero l’invito.
I funerali sorpresi dalla paralisi costituirono un altro problema non da poco, comunque inferiore a quello che si ebbe con i deceduti nelle abitazioni, anche se per fortuna non si era in estate. Fu allora disposto che nei casi più urgenti i corpi fossero trasportati nei magazzini frigoriferi dei supermercati. Di questa incombenza, come di altre altrettanto delicate, furono incaricati pompieri e le forze dell’ordine, altrimenti inoperose. Un secolare problema della città, l’immondizia, assunse aspetti drammatici e non furono pochi i roghi che si accesero in varie parti dell’Urbe, aumentando rischi e pericoli. Ci sarebbe poi da narrare degli episodi minori, per certi versi anche divertenti, come ad esempio quello dell’anziano incontinente che fu sorpreso ad urinare al riparo della portiera dell’auto e che stava per essere multato da una severa vigilessa che però tornò sui suoi passi quando l’uomo le chiese se in famiglia non si fossero mai verificati casi di prostatite, evidentemente cogliendo nel segno.
La soluzione.
L’unità di crisi che fu insediata d’urgenza nel primo pomeriggio si trovò così ad affrontare un’emergenza mai accaduta prima d’allora. I primi provvedimenti furono: 1. La requisizione di tutti i natanti sul Tevere, inclusi i barconi ormeggiati. Il fiume fu l’unica via che consentì spostamenti di uomini e mezzi. 2. Il presidio rinforzato di tutte le centrali elettriche e telefoniche. 3. L’utilizzo di tutte le frequenze riservate delle forze armate. 4. L’ordine perentorio a tutti i cittadini di conservare a casa i rifiuti fin quando la situazione non si fosse sbloccata. Ancora alle 21 circa, infatti, nulla consentiva una sia pur labile previsione ottimistica e il bollettino diramato verso la mezzanotte confermava il perdurare della paralisi. La notte trascorse così, con molti che riposarono nelle auto per non abbandonare il mezzo e ciò che conteneva, bagagli o merci, ignari delle tragiche ipotesi che si stavano prospettando sulle loro teste. Si stava infatti facendo lentamente strada, all’interno del sopradetto comitato, il progetto di una soluzione drastica, cinica, ai limiti dell’assurdo: far evacuare tutti gli occupanti dei mezzi fermi, invitandoli a salire ai piani superiori degli edifici e coprire il mare di lamiere con un’immensa colata di cemento e asfalto. Per quanto folle, la proposta trovò dei sostenitori tra gli industriali del settore e la lobby loro espressione si adoperò in ogni modo per sostenerla, arrivando al punto di utilizzare argomenti come la soluzione ‘più ecologica’. Per fortuna ci fu chi seppe resistere e verso l’alba l’alternativa presentata dal gruppo oppositore prese piede, cominciarono i contatti internazionali e già verso mezzogiorno il piano d’azione cominciava ad assumere una forma.
La soluzione fu rappresentata dal più vasto, massiccio ed eterogeneo schieramento di elicotteri che mai si fosse visto fin’allora. Tutti i mezzi di aviazione, esercito e marina sarebbero stati solo l’avanguardia di uno stormo gigantesco formato dai velivoli delle forze armate di tutta Europa, cui presto si unirono anche quelli degli Stati Uniti (agevolati dalla presenza delle VI flotta nel Mediterraneo e delle basi militari in Italia), di Russia e man mano di decine altri stati. I primi a muoversi furono i giganteschi Chinook dell’esercito. Imbragati gli autobus che costituivano l’ostacolo maggiore in punti nevralgici con l’aiuto dei genieri dell’Esercito e dei valorosi e onnipresenti vigili del fuoco, li trasportarono poi in spazi predisposti. Dapprima negli stadi (il bel prato dell’Olimpico da poco rizollato fu distrutto in poco tempo) e poi nelle campagne, in aree agricole semideserte. Gli elicotteri adibiti al salvataggio si occuparono invece degli infermi, trasportati a mano sui terrazzi degli edifici. Nella seconda fase si passò ai camion e ai furgoni e già si poté cominciare, sia pur cautamente, a liberare piccole aree del centro storico della città. Il terzo giorno fu emanato un avviso che invitava i proprietari delle auto abbandonate a presentarsi presso il loro veicolo: quelle non reclamate furono rimosse dallo sforzo finale congiunto dei carri attrezzi e di volontari giunti da tutta Italia e, nei casi estremi, da potenti trattori che le ammucchiarono in punti prestabiliti. 96 ore dopo l’inizio della tragedia, Roma ricominciò ad essere in buona parte percorribile, sia pur tra mille cautele.
Conclusioni.
Le statistiche demografiche mostrarono un inatteso picco di crescita delle nascite l’anno successivo. L’ovvia spiegazione fu che i romani intrappolati nelle auto e nelle case avevano comunque trovato il modo di passare il tempo. Non ci sono, invece, statistiche sugli amori nati e cessati nell’occasione, ma si può presumere che siano rimasti nella norma. I danni e le sofferenze subite da imprese e cittadini furono incalcolabili: si pensi solo alle derrate andate a male, alle giornate di lavoro perse, all’enorme massa di mezzi distrutti.
C’è invece un grande risvolto positivo, come spesso accade, nelle tenebre del dramma. Ed è la enorme, inattesa e commovente gara di generosità che i romani seppero mettere in atto. Fu la riscoperta di una dote dimenticata o fatta dimenticare dagli egoismi e dai meschini interessi che avevano travolto la Repubblica negli ultimi cinquant’anni e si chiama solidarietà. Tutto il Paese, l’Europa, il mondo intero fecero a gara per schierarsi a difesa della Città Eterna. Un patto fu scritto tacitamente da tutti: mai più si sarebbe dovuta verificare una tragedia di questo genere e fu indifferibile una drastica soluzione: Roma sarebbe diventata la prima città pedonale del mondo e il trasporto pubblico gratuito sarebbe stato l’unico mezzo di locomozione. Inoltre, autobus, minibus, camion, furgoni, qualunque mezzo sarebbe stato ammesso nell’area cittadina in numero limitato e solo se alimentato a energie alternative pulite.
Su questa base e sull’esempio che la città seppe dare a tutto il Paese, è nata la nuova Italia, quella che in questi dieci anni ha saputo rilanciarsi e promuoversi attraverso una nuova collaborazione tra cittadini e istituzioni, tra politica e pubblica opinione, basata sul senso del dovere e sul rispetto reciproco.
Ecco, in questo preciso momento le sirene hanno finalmente iniziato a suonare e ricordano come da una immane tragedia un popolo abbia saputo ritrovare sé stesso e i propri valori.
(2. Fine)
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Nota: questo racconto fa parte della raccolta pubblicata nel libro “La finestra aperta” che si può trovare qui: http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/racconti/322551/la-finestra-aperta-3/
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