Devo ringraziare l’attento Alessandro Gilioli (“E questo no, grazie“) per aver attirato la mia attenzione su un argomento che, sebbene di importanti dimensioni , qui da noi in Italia sembra tanto trascurabile da parlarne poco o niente, anche se le trattative sono già in corso dallo scorso luglio e il Presidente Renzi abbia addirittura assicurato proprio ieri a Obama che si arriverà ad una firma non molto oltre la fine del prossimo semestre di presidenza italiano.
Il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership: Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti) è, secondo la Commissione Europea per il Commercio, un accordo con “l’obiettivo di rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici per facilitare l’acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Stati Uniti, progettato per incoraggiare la crescita e la creazione di posti di lavoro. Sempre secondo questo ente, “Ricerche indipendenti mostrano che il TTIP potrebbe far aumentare:
L’economia europea di €120 miliardi;
L’economia americana di €90 miliardi;
L’economia del resto del mondo di €100 miliardi.
Tutto bene quindi? Parrebbe di sì, ma il mai abbastanza ringraziato sito Sbilanciamoci.info è andato a curiosare e ha scoperto alcuni aspetti non proprio entusiasmanti. All’articolo del luglio scorso, “Libero scambio Usa-Ue, un accordo a perdere“, Anna Maria Merlo ne ha fatto seguire recentemente un secondo dall’altrettanto eloquente titolo “Il trattato intrattabile“, dove così conclude: “In un contesto in cui gli stati stanno perdendo terreno, il Ttip mira a limitare il più possibile le barriere non tariffarie (quelle tariffarie sono già quasi inesistenti), favorendo di fatto le grandi imprese, in un commercio mondiale caratterizzato da una grande concentrazione (i primi dieci operatori Usa controllano il 96% dell’export del paese, nella Ue le prime dieci società esportatrici ne controllano l’85%).” In sintesi, si tenderebbe a facilitare ogni genere di rapporto commerciale, travalicando i regolamenti protezionistici nazionali anche in settori come la sanità, la cultura, l’acqua. In più, i sospetti circa un accordo che limiterebbe l’autonomia dei singoli Stati su argomenti fondamentali sono acuiti dalla segretezza con cui le trattative vengono condotte da entrambe le parti.
Le conseguenze che l’accordo potrebbe avere sono state descritte ancora più chiaramente da Mario Pianta (sempre su Sbilanciamoci.info) nell’articolo del 25 gennaio scorso dal preoccupante titolo “Il patto atlantico dei capitali“, che inizia così: “Un comune decide che le mense scolastiche acquistino prodotti locali a “chilometri zero”. Un paese – l’Italia – vota in un referendum che l’acqua dev’essere pubblica. Un continente – l’Europa – pone restrizioni all’uso di Organismi geneticamente modificati (Ogm) in agricoltura. Tra poco tutto questo potrebbe diventare illegittimo.” Il seguito lo trovate più sotto.
Converrete che non rimane che essere d’accordo con Gilioli che è molto opportuno e necessario saperne di più di questa faccenda, prima, per non trovarsi poi – come avvenuto col fiscal compact, con la frittata fatta.
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Qui di seguito il testo integrale dell’articolo di Mario Pianta*. Il grassetto è mio.
IL PATTO ATLANTICO DEI CAPITALI – 24/01/2014
Un comune decide che le mense scolastiche acquistino prodotti locali a “chilometri zero”. Un paese – l’Italia – vota in un referendum che l’acqua dev’essere pubblica. Un continente – l’Europa – pone restrizioni all’uso di Organismi geneticamente modificati (Ogm) in agricoltura. Tra poco tutto questo potrebbe diventare illegittimo. Il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership), oggetto di discussioni segrete tra Usa e Commissione europea, prevede che le commesse pubbliche non possano privilegiare produttori locali, che gli investimenti delle multinazionali siano consentiti e tutelati anche nei servizi pubblici (acqua, sanità, etc.), che la regolamentazione non possa limitare i commerci, anche quando ci sono rischi per l’ambiente o la salute. E se un governo tiene duro, sono pronti i meccanismi di “arbitrato” che possono costringere gli stati a pagare alle multinazionali l’equivalente dei mancati superprofitti.
Si tratterebbe di un colpo di stato. L’annullamento della politica di fronte all’assoluta libertà dei capitali, non di commerciare – quella c’è già – ma di entrare in ogni attività, ogni ambito della vita, con la garanzia di fare profitti. L’annullamento della democrazia intesa come possibilità di una comunità di decidere i propri valori, le regole condivise, le politiche da realizzare. L’annullamento dei diritti dei cittadini e delle responsabilità collettive – come quella verso l’ambiente – che si frappongano alla trasformazione in merce del mondo intero.
Il commercio è uno dei temi su cui i paesi membri della Ue hanno già trasferito completamente la sovranità a Bruxelles: è la Commissione a negoziare gli accordi all’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc) o i trattati bilaterali come il Ttip. Ma senza poteri significativi del Parlamento europeo e con il potere delle lobby delle multinazionali che detta le politiche europee, la Ue ha praticato in questi anni la versione più estrema e irresponsabile del liberismo. Come nel caso dell’Unione monetaria, il passaggio di poteri sul commercio è un pessimo esempio di come l’integrazione europa porti a politiche che favoriscono solo i capitali e danneggiano le persone, il lavoro, l’ambiente – dentro e fuori l’Europa, come mostrano gli effetti negativi dei trattati di libero scambio sui paesi in via di sviluppo.
Il Ttip è un “Trattato intrattabile” che va fermato al più presto. Siamo ancora in tempo, un progetto analogo – l’Ami – era già stato sconfitto nel 1998. Ma servirebbe una discussione attenta che ancora non c’è. Servirebbe una protesta di massa contro quest’ultimo, estremo sussulto di quel liberismo che ci ha portato a sei anni di depressione economica. Servirebbero sindacati che non si pieghino a nuove distruzioni di posti di lavoro, consumatori che boicottino le mutinazionali più aggressive, partiti che si ricordino, per una volta, di difendere la democrazia. Discutere di elezioni europee – da oggi al prossimo maggio – significa discutere soprattutto di questo.
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Mario Pianta è professore di Politica economica all’Università di Urbino ed è stato fellow alla Columbia University, all’European University Institute, alla London School of Economics e all’Université Sorbonne. L’ultimo libro di cui è co-autore è “Innovazione tecnologica e sviluppo industriale nel secondo dopoguerra” (Laterza, 2007).
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