Tag Archives: Costituzione

NO.

14 Set

Piaccia o no, la nostra è una repubblica parlamentare e la Costituzione è disegnata sulla democrazia rappresentativa.
Mi rendo conto che per i tifosi del sì, quelli che sbraitano di parlamentari nullafacenti e hanno preso contatto con la Costituzione in questi giorni per la prima volta, siano concetti astrusi, ma questo è.

Intervenire sulla Carta manomettendola brutalmente – non diversamente da quanto fu fatto nel 2005 con la riscrittura infelice del Titolo V – è non solo rischioso, ma peggio.
Per modificarla occorrono le menti brillanti di giuristi, intellettuali e politici come quelli che vi lavorarono per due anni con passione e spirito di servizio nel 1946. Invece oggi bastano i beneficiati da una indecente legge elettorale che votano a comando rispondendo a stimoli pavloviani.

27 dicembre 1947: la Costituzione è realtà

Nessun rispetto neppure per il Parlamento – il luogo dove dovrebbero incontrarsi i migliori tra i cittadini: ma questo è l’esito di una campagna sotterranea che per anni ha puntato a squalificarlo.

La vera casta, i capipartito che non hanno mai inteso attuare la Costituzione, consapevoli dei fragili e risibili motivi addotti a giustificazione dello scempio (il risparmio, la maggiore efficienza, il confronto con altri parlamenti) hanno recentemente sganciato quella che credono possa essere l’arma finale: la caduta del governo Conte qualora vinca il NO.

E qui è la loro miseria: quella minaccia non ha alcun senso perché il pericolo consiste casomai nel risultato delle elezioni regionali e quella sconfitta – se dovesse verificarsi – sarà solo una loro responsabilità.

#IovotoNO consapevolmente e orgogliosamente.

A chi mi chiede perché voterò NO al referendum

19 Ago

Semplice: perché non c’è uno solo dei motivi dei sostenitori del sì che – a esser buoni – sia convincente.
Spiego perché, ma prima però devo fare una premessa.

Il 15 luglio 1946 l’Assemblea Costituente che reggeva le sorti dell’Italia istituì la Commissione per la Costituzione composta di 75 membri. C’erano le menti più brillanti della cultura e della politica italiana che operarono suddivisi in tre sottocommissioni (diritti e doveri dei cittadini, organizzazione dello Stato e rapporti economici e sociali), mentre un comitato di redazione fu incaricato di coordinare I loro lavori. Le discussioni furono appassionate e competenti: ognuno dei partecipanti era consapevole del momento storico, tutti erano spinti dal fervente e disinteressato desiderio di ricostruire l’Italia e darle una Carta che avrebbe consentito al nostro Paese di recuperare la dignità smarrita sotto il fascismo e ripresentarsi al mondo.

La Costituzione, legge fondamentale dello Stato, fu il frutto di una straordinaria opportunità che vide tutte le forze politiche collaborare generosamente. È una macchina ben disegnata, solida, ma allo stesso tempo delicata: non si può pensare di sostituirne impunemente un pezzo senza considerare i contraccolpi che l’intera struttura riceverebbe. Come in una macchina, non puoi sottrarre una ruota dentata sostituendola con una più economica biella senza conseguenze nel breve o nel lungo periodo. Basti pensare alla sciagurata riforma del Titolo V attuata troppo frettolosamente dal centro-sinistra nel 2001.
La nostra Costituzione viene generalmente  definita democratica e programmatica, per la rilevanza data alla sovranità popolare e perché offre un programma che dovrà essere reso effettivo dal Parlamento e dalle forze politiche. Va sempre ricordato, infatti, che la nostra è una repubblica parlamentare ispirata alla democrazia rappresentativa. È il Parlamento che disegna e definisce i provvedimenti legislativi, affidandone l’attuazione al governo. Ecco perché il mito della ‘governabilità’ nato in questi ultimi decenni stride con l’impianto costituzionale.

Perché, invece, molti la ritengono inadeguata? A mio avviso c’è in questo un inganno. Sono i principali attori della vita politica, i partiti, che si dimostrano inadeguati ogni giorno di più. Rileggiamo l’art. 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”  Ma i partiti, di proprietà e non, si sono trasformati in macchine di potere e basta ricordare come fu gestita la questione del finanziamento – bocciato dal referendum e resuscitato con I “rimborsi elettorali” – o la nefanda legge elettorale, che contribuisce in gran parte ad affollare il Parlamento di figure di assai scarsa qualità, per preparazione e solidità morale (salvo le scarse quanto lodevoli eccezioni): le liste dei candidati vengono predisposte in funzione della loro fedeltà, non dell’esperienza e della competenza sottraendo al popolo – sovrano solo a parole – la facoltà di scegliere i propri rappresentanti.

E ora torno al punto, iI minacciato taglio dei parlamentari. In sintesi, a favore del taglio si adducono tre principali argomenti.
1. La riduzione dei costi della politica.
2. Lo snellimento dell’intero processo legislativo.
3. Equiparare il numero dei parlamentari a quello degli altri Paesi.


Sul primo punto il M5s si è spinto a dichiarare addirittura un miliardo di risparmio, salvo poi rimangiarselo chiarendo che occorreranno dieci anni per ottenerlo, trattandosi di 500 milioni a legislatura. Vabbe’.

Sta di fatto che qualcuno più affidabile come L’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli ha ricondotto il risparmio a 285 milioni nei cinque anni, facendo notare che “il vero risparmio per lo Stato deve essere calcolato al netto e non al lordo delle imposte e dei contributi pagati dai parlamentari”. Solo un piccolo particolare, eh?
Resta tuttavia una domanda: ma non sarebbe stato più semplice (e redditizio per le casse dello Stato, visto che si ha tanto a cuore il risparmio) ridurre di un terzo indennità e rimborsi spese dei parlamentari? Tanto per la cronaca, si tratta mediamente di 13-14.000 euro al mese al netto delle tasse.

Sul secondo punto verrebbe da sorridere pensando alle menti semplici che lo hanno faticosamente elaborato, se non fosse che nel retroterra di questo concetto dev’essere salda l’idea che la discussione su un provvedimento legislativo o, ancora peggio, il fruttuoso e democratico confronto delle idee sia tempo perso. Quindi obiezioni, osservazioni, critiche, emendamenti sono da ridurre il più possibile. Il Parlamento deve diventare, contraddicendo l’impianto fondativo dei costituenti, un centro decisionale cioè un luogo dove si approva bovinamente quanto deciso altrove. Questa è una vecchia idea di Berlusconi che aveva addirittura proposto di far votare solo i capigruppo delle due Camere, ma l’ipotesi ebbe vita breve. Il giovane Casaleggio l’ha ripescata e fatta propria, spingendosi pericolosamente ben più avanti:“In futuro il Parlamento non servirà più”. Il taglio su cui voteremo dovrebbe quindi essere il primo passo in questa direzione?

Quanto al terzo punto si potrebbe rispondere con una semplice domanda: ma cosa ce ne frega di come sono strutturati I Parlamenti degli altri Paesi, con altre culture, altre storie alle spalle, altre Costituzioni? Per quanto interessante, non sarebbe però una risposta adeguata per cui rinvio al Dossier A.C. 1585-B (Riduzione del numero dei Parlamentari – Elementi per l’esame in Assemblea) predisposto dagli Uffici studi di Camera e Senato. Riporto qui solo due tabelle, relative alla rappresentanza dei parlamentari in rapporto alla popolazione. Per fare solo un esempio, oggi in Lombardia un senatore  rappresenta 198.043 cittadini: con il taglio prospettato diventerebbero 313.097. Nella circoscrizione Lombardia 1 un deputato rappresenta attualmente 95.147 cittadini: dopo il taglio passerebbero a 152.235.

 

 

 

 

 

 

 

 


Quindi un Parlamento sempre più distaccato dal popolo, sempre più torre d’avorio dove i nostri pseudo-rappresentanti saranno sempre più ostaggio dei vertici dei partiti che li hanno nominati in funzione della loro fedeltà (o dovrei dire servilismo? Ricordatevi il voto per Ruby nipote di Mubarak) per sottoporli poi alla beffa del nostro voto: la sovranità popolare si esprime solo nella scelta del partito, non in quella di chi ci dovrebbe rappresentare.

Infine. Nessuno si è ancora peritato di rispondere come verrà gestita la questione delle Commissioni delle due Camere, di come e quando adeguarne i Regolamenti interni, di come verranno ridisegnate le circoscrizioni e i collegi, quando – soprattutto – ci verrà data una legge elettorale degna di questo nome e rispettosa della Costituzione. Se il NO non dovesse sfortunatamente prevalere ci ritroveremo un Parlamento intrappolato in un pasticcio inestricabile.

E ora, votate NO.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giornali: quale confine tra titoli fuorvianti e bufale?

30 Apr

Leggo La Repubblica da prima ancora che uscisse il primo numero per una condizione professionale che mi dette accesso ai numeri di prova. E da allora non ho più smesso.  Si comprenderà allora il mio disagio nel constatare che qualcosa sta cambiando nella linea di rigorosa aderenza e interpretazione dei fatti che contraddistinguono  il mio giornale.

Devo anche ammettere che in passato ci fu qualche incidente di percorso: ricordo ad esempio l’ingiustificata quanto forsennata campagna contro il sindaco Marino. Ma lo considerai un fatto isolato. Ultimamente, invece, ho notato più volte qualcosa di stonato, qualche forzatura stridente che mi ha spiacevolmente meravigliato. 
L’ultimo caso è di ieri. C’è un titolo in seconda pagina: La Consulta avvisa il Governo “La bussola è la Costituzione, che attira la mia attenzione. Leggo, e apprendo che (il riferimento è alla relazione sul bilancio del 2019 della Presidente Cartabia): “Un avviso [a Conte] arriva anche da Marta Cartabia…Cartabia parla di frangente drammatico nella storia del Paese e dell’umanità’ e indica nella Costituzione ‘la bussola necessaria per navigare nell’alto mare aperto dell’emergenza e del dopo-emergenza’….Molti lo leggono come come un richiamo a Conte, anche se l’ufficio stampa della Corte definisce ‘fuorviante’ una lettura della relazione riferita a vicende politiche di questi giorni.”

Sono andato allora a leggermi la relazione integrale della Presidente Cartabia e ho trovato invece quanto segue: “La Repubblica ha attraversato varie situazioni di emergenza e di crisi di straordinaria necessità e di urgenza … che sono state affrontate senza mai sospendere i diritti costituzionali, ma ravvisando al suo interno gli strumenti idonei a modulare i principi costituzionali in base alle specifiche contingenze: necessità, proporzionalità, bilanciamento, giustiziabilità e temporaneità sono i criteri, con cui, secondo la giurisprudenza costituzionale, in ogni tempo deve attuarsi la tutela sistemica e non frazionata dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, ponderando la tutela di ciascuno di essi con i relativi limiti …“ e più avanti  “ …la Costituzione non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali, e ciò per una scelta consapevole, ma offre la bussola necessaria per navigare per” l’alto mare aperto” dell’emergenza e del dopo-emergenza … In tale frangente … merita particolare attenzione il principio della leale collaborazione – il risvolto istituzionale della solidarietà”.

dav

La faccio breve: dove sarebbe ‘l’avviso’ a Conte? Ma soprattutto, quale attinenza tra le frasi della Cartabia e il titolo disinvoltamente sparato che a questo punto si può ben definire fuorviante, così come l’ufficio stampa della Corte ha definito certe interpretazioni date al testo originale? O siamo addirittura già al confine con la ‘bufala’ (traduzione di ‘fake news’ oggi di moda)?

Ci sono giornali che purtroppo fanno dell’esasperata e talvolta sguaiata interpretazione di comodo di fatti e dichiarazioni – in aperto spregio della verità e dell’intelletto dei rispettivi lettori –  la loro ragione di vita. Si sa benissimo a chi mi riferisco. La Repubblica non può permettersi di scadere a quei livelli.

REP Cartabia2AGGIORNAMENTO.
Parziale e obliqua rettifica di Repubblica di oggi, 1° maggio, ma a pag 6 e senza alcun riferimento all’ingannevole citazione di ieri.

Difendere (a parole) la Costituzione facendo (indirettamente) i propri interessi

29 Apr

A scanso di equivoci dichiaro ufficialmente che l’avvocato Conte non rappresenta politicamente un mio punto di riferimento.

Ciò premesso, dichiaro altrettanto ufficialmente che sono però francamente stufo di questi improvvisati alfieri della Costituzione, politici per convenienza che attaccano Conte perché si tarda a riaprire aziende, ristoranti, stadi, chiese, bar, discoteche, perché non si dà il via alla “ripresa”. Loro, che la Costituzione hanno cercato di brutalizzarla a proprio vantaggio, se la rileggano la Costituzione, la meditino, che si sciacquino la bocca prima di nominarla.
E non provino a mettere in opera le loro losche manovre da scantinato contro il governo: farlo cadere in questo momento rappresenterebbe il loro suicidio politico, la fine una volta per tutte delle loro smodate e ingiustificate ambizioni, ma per l’Italia sarebbe il disastro.

Affiancati e incoraggiati da Confindustria, alta finanza, CEI, Confcommercio, Coldiretti, club calcistici e compagnia cantando, sbraitano a vanvera ma all’unisono sventolando bilanci in perdita e preconizzando scenari di fame e distruzione del tessuto eonomico e imprenditoriale del Paese.

Proprio loro che non si sono scandalizzati quando si chiudevano gli ospedali pubblici per favorire la sanità privata, che non hanno mai alzato un sopracciglio davanti al cinico sfruttamento di operai, precari, fattorini, badanti, braccianti, manovali, migranti, il grande popolo degli ultimi. Improvvisamente scoprono che a questi bisogna pensare, a dargli lavoro.  Perché si torni il prima possible alla “normalità”, che invece non deve tornare perché è in quella “normalità” che si celano alcuni dei cancri del nostro Paese, l’evasione fiscale, la sicurezza sul lavoro,  i diritti negati, la corruzione.

I migliori tecnici ed esperti hanno valutato tutti i possibili scenari successivi ad una frettolosa riapertura non all’insegna della massima prudenza: il nemico, il virus, è ancora sconosciuto, è infido, possiede capacità di reazione ancora ignote. Non si può combattere al buio con un avversario tanto potente quanto inafferrabile, almeno per ora. Occorre la massima cautela perché una seconda ondata del virus metterebbe definitivamente in ginocchio la sanità pubblica, perché  i morti ad oggi sono troppi, perché non vogliamo continuare a contare le bare per il tempo a venire.

Lasciamo lavorare in pace il Governo. Conte non ha, per nostra fortuna, meschini interessi di partito da difendere: agisce in buona fede nell’interesse dei cittadini, cioè di quelli come lui. Aspettiamo piuttosto che si dia avvio allo studio delle iniziative per la ripresa e confrontiamoci su queste: se davvero pensiamo che c’è l’occasione per ricostruire l’Italia questa è la strada.

 

 

 

 

 

Referendum: perché NO

25 Feb

Dal sito del Coordinamento per la democrazia costituzionale, copio e  riporto le risposte alle più ovvie e banali obiezioni che oggi si riscontrano.
La verità è che la legge che propone il taglio dei parlamentari è solo fatta coi piedi, perché non tiene conto delle sciagurate conseguenze che comporterebbe se approvata dal Referendum del 29 marzo.
Ecco perché ribadisco che bisogna respingere l’ennesimo proditorio attacco alla Costituzione, andare a votare e votare NO.

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FAQ sul referendum costituzionale del 29 marzo sul taglio dei parlamentari

Come è noto FAQ è un acronimo inglese (Frequently Asked Questions) che indica l’esistenza di domande frequenti che vengono poste attorno a una determinata questione. Qui ci riferiamo agli interrogativi che possono sorgere in una cittadina o in un cittadino che deve decidere come votare nel referendum che gli pone la secca domanda: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n.240 del 12 ottobre 2019?» Per tale referendum le operazioni di voto si svolgeranno domenica 29 marzo 2020, dalle ore 07:00 alle ore 23:00. Al quesito noi risponderemo No sulla base di molteplici motivazioni e argomentazioni che qui cerchiamo di riassumere per linee essenziali (B) immaginando di controbattere alle affermazioni (A) di coloro che sono favorevoli alla promulgazione della legge.

A: E’ perfettamente inutile andare a votare, tanto il quorum non verrà raggiunto e quindi la legge entrerà in vigore.

B: E’ falso perché nei referendum su modifiche della costituzione non è previsto alcun quorum, a differenza che nei referendum abrogativi di leggi ordinarie. Pertanto qualunque sia il numero dei votanti ciò che conta sarà il confronto tra il numero dei No e quello dei Sì. Se i No saranno in numero maggiore la legge non verrà promulgata quindi non entrerà in vigore.

A: La vittoria del Sì è sicura perché l’orientamento prevalente è ostile ai parlamentari e così ci dicono i sondaggi

B: Nessuno può predire con sicurezza chi vincerà. Se bastassero i sondaggi (fatti da chi? Come? Con quali metodi? Con quanti intervistati?) allora sarebbe persino inutile fare le elezioni politiche, perché il risultato si saprebbe già prima. Ma soprattutto, per quanto potente sia stata la propaganda qualunquista e populista gestita dalle forze dominanti, il corpo elettorale italiano si è già espresso in due occasioni contro proposte di revisione costituzionale che prevedevano tra le altre cose la riduzione del numero dei parlamentari. E le ha bocciate entrambe con una partecipazione al voto superiore alla metà degli aventi diritto, cioè il quorum, per quanto questo non fosse necessario in quelle consultazioni, dimostrando così una convinta volontà di difendere il testo costituzionale. Ci riferiamo al referendum che si svolse il 25 e 26 giugno 2006 in merito ad una proposta di legge avanzata dal centro-destra in cui era prevista una Camera composta da 518 deputati (in luogo dei 630 attuali) e un Senato di 252 senatori (in luogo degli attuali 315, considerando solo quelli elettivi, cioè al netto dei senatori a vita che sono cinque, cui va aggiunto il/i senatore/i di diritto e a vita ex Presidente/i della Repubblica). Il secondo caso è costituito dal referendum sulla proposta di legge Renzi-Boschi tenutosi il 4 dicembre del 2016. Anche in questa occasione si recò alle urne la maggioranza degli aventi diritto e la proposta venne bocciata. Questa, tra le altre cose, prevedeva di lasciare la Camera inalterata ma di modificare profondamente la composizione e il ruolo del Senato, prevedendo un organo composto da 95 membri elettivi di secondo grado, cioè eletti dai Consigli regionali o provinciali autonomi, tra i consiglieri regionali e i sindaci del territorio.

A: Sì ma questa volta non sono state neppure raccolte le firme per fare indire il referendum

B: Non c’è nulla di strano. Anche per il referendum del 2016 fu così. L’articolo 138 della Costituzione prevede tre possibilità per promuovere il referendum: un quinto dei membri di una Camera (in questo caso la richiesta è stata fatta da 71 senatori) o cinque Consigli regionali o cinquecentomila elettori. Ognuno dei tre è sufficiente e valido per indire il referendum costituzionale.

A: Bisogna votare sì perché i parlamentari in Italia sono troppi.

B: E’ falso. L’unico serio criterio per giudicare sul numero dei parlamentari è guardare al rapporto fra membri del parlamento e abitanti. Se facciamo un raffronto fra i paesi dell’Unione europea, considerando i componenti della Camera cosiddetta bassa – non potendo confrontare i dati del Senato perché troppo differenti da paese a paese sono le regole per la formazione e funzionamento della camera cosiddetta alta, laddove esiste – constatiamo che attualmente quel rapporto in Italia è pari a 1,0. Un valore che ci colloca a fianco dei paesi maggiori, ma sotto la maggioranza degli Stati membri della Ue che hanno un numero di parlamentari nettamente superiore. Se andasse in vigore la legge su cui verte il referendum tale rapporto scenderebbe allo 0,7% e collocherebbe l’Italia all’ultimo posto dei paesi della Ue. Espresso in numeri tale rapporto scenderebbe da un deputato ogni 96.006 abitanti a un deputato per 151.210 abitanti.

A: La riduzione del numero dei parlamentari non incide sulla rappresentanza, anzi la rende più autorevole.

B: Completamente falso. Se si riduce il rapporto fra cittadini e parlamentari si incide profondamente sulla rappresentanza politica, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Perché si realizzi una vera rappresentanza politica, bisogna che i singoli parlamentari abbiano una relazione reale e continua con i problemi del territorio in cui è avvenuta la loro elezione e dei cittadini che ci vivono, nonché un rapporto costante, non limitato al momento del voto, con i propri elettori. Meno sono gli eletti e più difficile è realizzare quel rapporto. Questo inevitabilmente nuoce all’azione dei parlamentari sul piano qualitativo perché riduce la possibilità di una conoscenza dei problemi concreti. Quindi la rappresentanza politica ne risulta peggiorata.

A: La qualità del lavoro parlamentare non dipende dal numero di chi lo svolge ma dalle capacità dei parlamentari

B: Se si riducono del 37% il numero dei parlamentari la situazione si aggrava anziché risolversi. La scarsa qualità politica dei membri di un parlamento deriva dalle modalità della loro selezione. Se si svuotano di funzione i partiti, se si smantellano i luoghi di iniziativa sociale nel paese, cioè se si abbattono i corpi intermedi tra i cittadini e le istituzioni, come si è fatto in questi anni in Italia, vengono meno le possibilità di una vera selezione, maturata sul territorio, nelle lotte sociali, nel dibattito politico. Se i candidati vengono scelti con un “mi piace” cliccando un tasto del computer è ovvio che si ottiene un insieme di eletti di scarsa qualità. A questo vanno aggiunte le pessime leggi elettorali, tutte viziate da incostituzionalità che si sono succedute nel nostro paese. Infatti i cittadini non hanno avuto voce in capitolo né nella composizione delle liste, né nella scelta dei candidati. Le liste sono fatte dalle segreterie dei partiti, ridotti a un guscio vuoto, e i cittadini non possono esprimere preferenze. Così abbiamo un parlamento di nominati, non di eletti. La nuova proposta di legge elettorale che è stata recentemente presentata alla Camera non modifica queste condizioni. Anzi le peggiora, alzando persino la soglia di sbarramento al di sotto della quale non si può accedere alle camere, il famoso quorum (per la Camera si passerebbe dal 3% al 5%, per il Senato vi sarebbe un’ulteriore possibilità di accedervi, se si ottiene il 15% in almeno una regione). In questo modo si impedirebbe l’ingresso in Parlamento a intere forze politiche che esistono nella società, tagliando drasticamente la rappresentanza politica e la vita democratica del paese. Oltre a questo ogni parlamentare per risultare eletto, a causa della diminuzione complessiva dei membri del Parlamento, dovrebbe ricevere ben più voti che nella situazione attuale. Noi invece siamo per una legge elettorale proporzionale pura, cioè senza distorsioni maggioritarie.

A: Ma con una legge proporzionale i cittadini non saprebbero il giorno dopo le elezioni chi governa il paese e non lo potrebbero determinare

B: Questa logica è già stata respinta nei due referendum di cui abbiamo già parlato, del 2006 e del 2016. E’ la logica dei sistemi elettorali maggioritari o di quelli misti con forti distorsioni maggioritarie. Si vorrebbe fare prevalere il principio della governabilità su quello della rappresentanza. E’ una logica pericolosa, che porta inevitabilmente a concentrare il potere in poche mani, a sistemi oligarchici, a democrature, come si suole dire nel linguaggio degli studiosi delle istituzioni, a soluzioni post e anti-democratiche. Ed è una soluzione fallimentare, come dimostrano le vicende dei governi italiani e di altri paesi negli ultimi anni, nonché la “transumanza” di eletti da un gruppo all’altro e la creazione di nuovi gruppi politici e parlamentari senza passare dal vaglio elettorale. Infatti un governo solido può nascere solo se la rappresentanza politica, ovvero l’insieme del Parlamento, è composta in modo corretto ed è espressione non fittizia (come avvenuto con le ultime leggi elettorali) della volontà popolare. Solo se la divisione dei poteri è ben chiara, quello legislativo del Parlamento, quello giudiziario della Magistratura, quello esecutivo del Governo. Già ora quest’ultimo prevarica gli altri, in particolare il Parlamento con la pratica costante dei decreti legge. Nello stesso tempo, proprio perché il nostro paese fa parte dell’Unione europea – nella quale il ruolo del Parlamento europeo, che viene eletto su base proporzionale, viene poi ridimensionato dallo strapotere delle istituzioni non elettive – bisogna difendere la centralità del Parlamento nel nostro modello democratico perché possa anche essere di riferimento ad una democratizzazione delle istituzioni europee.

A: In ogni caso bisogna che il Parlamento operi in modo efficiente e produttivo e tutti sanno che in meno si lavora meglio.

B: Del tutto falso. Non solo perché un parlamento che non rispecchi la corretta rappresentanza politica dei cittadini, farebbe solo gli interessi di quelle forze politiche che sono riuscite a entrarci. Ma anche perché il nostro Parlamento lavora molto attraverso le Commissioni permanenti, che alla Camera sono 14, al Senato 12, cui vanno sommate le importantissime Giunte, le Commissioni speciali, quelle bicamerali. Ogni parlamentare deve partecipare a una delle commissioni permanenti, le quali possono lavorare in tre modi: in sede referente, votando emendamenti e testi e portando il testo finale alla discussione dell’Aula; in sede redigente, votando gli emendamenti e lasciando all’Aula solo il voto dei singoli articoli e quello finale; in sede legislativa, potendo licenziare la legge senza passare dall’Aula. Se si riducono i parlamentari è evidente che si consegna nelle mani di pochi, prevalentemente dei maggiori partiti, poteri enormi, compreso quello della legiferazione diretta. Qualcuno dice: diminuiremo il numero delle commissioni. Ma in questo modo viene meno il principio della competenza nella materia delle singole commissioni. Quindi si peggiora la qualità e gli esiti del lavoro parlamentare.

A: Poche chiacchiere, riducendo il numero dei parlamentari si risparmia soldi pubblici

B: Ridicolo. Secondo calcoli di organismi qualificati la riduzione dei parlamentari porterebbe a un risparmio di appena lo 0,007 del bilancio dello stato. Non sono diversi i calcoli degli stessi uffici studi del Parlamento. Il che si tradurrebbe in un risparmio annuo per famiglia pari a 3,12 euro annui, ossia 1,35 euro a cittadino. Qualche centesimo in più di un buon caffè bevuto in piedi al banco. La democrazia ha i suoi costi e quando funziona sono sacrosanti. Vale ben di  più di un caffè una volta all’anno.  Se si vogliono ottenere risparmi di spesa veramente consistenti basterebbe, per esempio, abolire gli acquisti degli aerei di guerra F35, il che favorirebbe la causa della pace. Del resto non può funzionare se le si tolgono le risorse anche economiche necessarie. Il nostro compito non è restringerla ma ampliarla, rendendo più viva e attiva la partecipazione dei cittadini, difendendo, rendendo più trasparenti e accoglienti quei corpi intermedi, cioè le varie forme di associazione politica, sindacale, culturale con cui intrecciare democrazia diretta e delegata. Come si vede il nostro No è carico di significati che vanno nel senso della difesa e dell’estensione della democrazia, unendosi anche al No al progetto di autonomia differenziata di alcune regioni del Nord che minerebbe l’unità del paese e produrrebbe quella che è stata giustamente chiamata “la secessione dei ricchi”.

 

Lettera a quattro amici

24 Feb

Cara Giulia e cari Andrea, Mattia e Roberto, 
ho apprezzato la vostra sincera risposta (dubbi inclusi: sono poche le cose più umane del dubbio) alla lettera firmata da Moni Ovadia e dai suoi (e vostri) autorevoli amici. E mi son detto che essa meritava una riflessione sul futuro che stiamo andando a incontrare, un futuro che in gran parte andrà costruito insieme. 

Permettetemi solo di osservare, prima di tutto, che il termine ‘esperimento’ con cui modestamente definite le Sardine poteva andar bene all’inizio, nelle prime piazze, ma oggi è superato. Le Sardine sono diventate un modo di pensare, di essere cittadini consapevoli e responsabili, un modello cui far riferimento. Come dite bene più avanti, da idea sono diventate un sentimento.

Ora, di questo sentimento e di cosa farne se ne parlerà a Scampia (coronavirus permettendo). Lasciatemi però dire che mi avete già rassicurato anticipando che non pensate ad un’organizzazione rigida su modelli che hanno fatto il loro tempo. Sono d’accordo con voi. Un sentimento non può, per la  sua stessa natura, essere ingabbiato in norme anelastiche, non può e non deve avere perimetri. Però può essere guidato, curato, affinato per farlo crescere e irrobustire, aiutato a maturare e diventare adulto. Non un ‘cambiamento’ quindi, ma un’evoluzione.

La sensazione che ho avuto è che verrà proposto un modello di base cui ogni entità locale potrà  ispirarsi, libera di articolarsi ed esprimersi secondo le rispettive priorità, esperienze, competenze, ma sempre pronta a rispondere agli appelli sui grandi temi del Paese, come nel caso degli ignobili decreti sicurezza. Se ho intuito correttamente, a completamento occorrerà una sorta di portavoce (non necessariamente una sola persona) che abbia la funzione di fare sintesi, stilare documenti, relazionarsi con gli altri gruppi.

 Mi è anche piaciuta molto la vostra affermazione che ribadisce l’intenzione di lavorare per “stimolare la partecipazione alla vita democratica del Paese”. La partecipazione è ciò di cui abbiamo più bisogno per ricostruire un reale senso del dovere civico.

Facciamo un passo indietro. Circa quarant’anni fa Berlinguer denunciava l’allarme costituito da una “questione morale” in rapido declino, appello rimasto inascoltato. Da allora, l’aggiungersi del combinato disposto di una scuola che non sa crescere i cittadini di domani e gli ultimi decenni di governi miopi, abulici, nel migliore dei casi incapaci di guardare – i più lungimiranti – oltre il domani, di partiti e leader rivolti a curare i propri interessi e non il bene comune, di un Parlamento affollato di (fatte salve le ahinoi poche nobili eccezioni) quaquaraquà, di  figure pallide e senza spessore, alcune addirittura platealmente inabili a esprimere un concetto in un corretto italiano: tutto questo ha allontanato un sempre maggior numero di cittadini dalla politica. È così nata l’antipolitica che ha avuto come prima conseguenza la rassegnazione, poi l’indifferenza, infine l’assenteismo. Un disastro. Tuttavia ha sempre covato sotto la cenere  un sano dissenso, purtroppo fine a sè  stesso: penso ai girotondi, al popolo viola, a Se non ora quando: tutti movimenti che portarono la gente in piazza in nome dell’antiberlusconismo ma poco altro riuscivano a esprimere e proporre. Infatti si sono tutti dissolti nell’illusione di strutture gerarchiche e formalismi che li hanno rapidamente condotti alla fine.

Questo sproloquio  non solo per la mia vanità ma per ricordare in quale quadro storico, politico, sociale si sono finalmente materializzate le Sardine con lo straordinario successo che sappiamo. Col richiamo al rispetto e all’amore per la Costituzione, all’antifascismo, alla politica corretta ed educata, senza insulti e ringhii. E sono rimasto sedotto, come è successo alle centinaia di migliaia tra chi è sceso in piazza e chi condivideva ma non aveva potuto partecipare. Sì, perché (ne sarete consci) bisogna considerare che coloro che si sono esposti fisicamente possono rappresentare solo la punta di un iceberg di cui si ignorano le reali dimensioni. 

Le Sardine sono state il catalizzatore liberatorio di un magma che ribolliva nascosto contro il populismo sguaiato e contro un modo di far politica ormai imballato come un motore che non riesce a trasmettere potenza alle ruote; ma di quella materia incandescente ce n’è ancora tanta (pensiamo solo agli indecisi) che va raccolta e correttamente incanalata. Quel popolo chiede una risposta ai grandi temi trascurati per anni (lavoro, istruzione, ricerca, disuguaglianze e via dicendo) e occorre prestarvi attenzione perché la politica é credibile solo se affronta le sfide a viso aperto. 

Oltre a tutto questo, ci sono però anche le questioni scomode, sulle quali non si può serenamente sorvolare. Il referendum del 29 marzo è una di queste. Come si fa a sottacerla? Come si fa a evitare di dire che l’attacco al sacrosanto principio di rappresentanza approvato da una schiera di minus habentes è assolutamente sconsiderato? Che avremmo un Parlamento ridotto ai minimi termini e facilmente manipolabile dai leader e che tuttavia manterrebbe intatti poteri e prerogative, dall’elezione del Presidente della Repubblica alle modifiche della Carta? Occorre prendere posizione per il NO, amici miei, anche se costerà qualcosa in consenso.

E quell’altro sciagurato progetto delle autonomie differenziate? Non posso immaginare che le Sardine intendano assumere le sembianze delle tre scimmiette: costi quel che costi, anche la simpatia di Bonaccini, dovremo schierarci e dire a voce alta che così non ci piace. E avremo persone come Elly Schlein al nostro fianco, ne sono certo.

Infine, un modesto suggerimento. Vedo che esiste già un calendario delle manifestazioni organizzate dai gruppi locali. Aggiungiamoci gli  anniversari che sono la storia del nostro Paese e che ci vedranno di nuovo nelle piazze: l’8 marzo, il 25 aprile, il 1° maggio, il 2 giugno.

Grazie per la pazienza, se siete arrivati fin qui senza mandarmi a quel paese. 
Buon lavoro e un caro saluto da una sardona che non demorde.

Piero

P.s. Anche se non ci conosciamo, amici per me lo siete davvero.

Miniguida rapida al Referendum costituzionale del 29 marzo.

20 Feb

Il Referendum è stato indetto su Decreto del Presidente della Repubblica del 28 gennaio 2020, dal titolo “Indizione del referendum popolare confermativo della legge costituzionale, recante: «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvata dal Parlamento”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 23 della serie Generale del 29 gennaio 2020.
È un Referendum costituzionale ed è il quarto nella storia della nostra Repubblica.

1. NO quorum.
Non essendo un referendum abrogativo, non è richiesto il quorum (la metà più uno dei voti espressi dagli elettori aventi diritto al voto). Indipendentemente dal numero dei votanti, pertanto, la riforma costituzionale proposta non sarà promulgata se i NO rappresenteranno la maggioranza dei voti validi.

2. Su cosa si vota.
Il referendum sottopone agli elettori la legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvata dal Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019.

3. Cosa dispone la legge costituzionale sottoposta a Referendum.

La legge è composta di quattro articoli. Il primo modifica l’art. 56 della Costituzione e riduce il numero dei deputati dagli attuali 630 a 400. Il numero dei deputati eletti nella Circoscrizione Estero passa da 12 a 8.

L’art. 2 modifica l’art. 57 della Costituzione, riducendo il numero dei senatori da 315 a 200 e quelli eletti nella Circoscrizione estero da 6 a 4. Inoltre, il numero minimo dei senatori per ogni Regione passa da 7 a 3. Le due province autonome di Trento e Bolzano vengono equiparate alle altre Regioni, ottenendo tre senatori a testa. 
L’art. 3 modifica il secondo comma dell’Articolo 59 della Costituzione aggiungendo un periodo: “Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque“.
L’art. 4, infine, stabilisce l’entrata in vigore delle nuove disposizioni di legge: esse “si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore“.

4. Quando si vota.
Domenica 29 marzo, dalle 7 alle 23. Seguirà lo scrutinio delle schede elettorali dopo aver accertato il numero dei votanti.

5. Il testo del quesito referendario.
Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?“.

 

 

 

 

 

 

Care Sardine

4 Dic

Care Sardine, 
devo riconoscere che ho un debito con voi e voglio ringraziarvi pubblicamente.
Mi avete fatto constatare che, nonostante tutto e l’età, ho fatto bene a non rassegnarmi, a continuare a indignarmi ed agire, a pensare e sperare che qualcosa sarebbe successo, che non si poteva continuare così, che prima o poi qualcuno si sarebbe alzato in piedi e avrebbe gridato: “Ehi, ma cosa state facendo?” a quelli che stavano rubando perfino le ultime briciole del vostro domani di giovani.

Quelli, i potenti e le caste in cui si sono raccolti, credevano che dopo avervi somministrato la quotidiana dose di favole e bugie vi sareste accontentati di qualche boccone di concessioni, mentre avrebbero continuato indisturbati come squali a nuotare nei loro interessi e nei privilegi che si sono attribuiti e a saccheggiare barbaramente il vostro futuro,  Quelli che credevano di avervi narcotizzato a vita con facebook, con le playstation, con Amici, con i jeans firmati. Quelli che credevano che identificandovi come la generazione post-ideologica non avreste più potuto essere contaminati da ideali che speravano archiviati, dimenticando pericolose parole come ‘dignità’, ‘solidarietà’, ‘legalità’, roba da facinorosi sovversivi del secolo scorso. Quelli che pensavano di avervi soddisfatto concedendovi diritti da loro stessi delimitati in precedenza, dimenticando che i diritti dei giovani non hanno confini, sono tutto e sono di tutti.

Loro non sapevano e non avrebbero potuto mai capire che la sete di sapere, di essere migliori, di futuro, di felicità del dare (tutto quello cui loro hanno rinunciato in nome del più turpe potere) è qualcosa che anima ogni individuo al di là di sé stesso: non avrebbero mai immaginato le piazze piene della gente che crede in voi, che traboccano di emozioni, di canti, di energie e commozione. Loro credevano, dopo avervi marchiato per sempre come la generazione che sa solo rassegnarsi o fuggire, credevano – non sapevano – che reagire quando non c’è più nulla da perdere fosse un’illusione, non un riscatto. Perché loro hanno avuto, cioè no, si sono presi tutto in tutti i modi possibili e vogliono ancora di più, vogliono dominare il vostro domani con regole che appartengono solo alla loro convenienza. Loro, quella minoranza legata da una reciproca intesa che punta all’impunità per sempre, credevano che mai adolescenti e giovani avrebbero avuto l’intelligenza per capire che ora o mai più, ora e prima che si possa diventare come loro, ottusi e ciechi, chiusi nei loro palazzi fatti di egoismo, di avidità, di sete di potere.

Credevano insomma che, mantenendovi nell’apparente sicurezza di un mondo colorato fatto di promesse, sogni e ignoranza, non avreste ugualmente imparato, non avreste conosciuto le lezioni della storia, non avreste avvertito le sollecitazioni che nascono dal diritto di ognuno a determinare il proprio futuro, del senso del dovere che pervade ogni essere umano, del diritto al perseguimento della felicità, come invece insegnano secoli e secoli di storia dell’umanità.  Pensavano che il dettato della Costituzione repubblicana non avrebbe potuto contagiarvi, che non vi sarebbe mai passata per le mente l’dea di una Politica con la P maiuscola, intesa come bene di tutti.

Loro credevano tutto questo. Ma ora sono davanti alle loro responsabilità, sono loro a non avere un futuro. Non sanno che la vostra allegria, il vostro entusiasmo, la vostra fantasia li seppelliranno. In tanti siamo con voi, siamo molti di più di quanti noi stessi immaginiamo, siamo la maggioranza che vuole un’Italia migliore, che non vuole più vergognarsi quando si parla con uno straniero. Fategli rimangiare la loro arroganza, la loro presunzione, la loro prepotenza. Ragazzi miei, mandateli via.

Voi, i liberi cittadini di cui questa Italia è orgogliosa, avete il diritto – e prima ancora il dovere – di esigere  tutti i vostri diritti. Ora.

P.s. Ci  vediamo il 14 dicembre a piazza san Giovanni.
Iscrivetevi QUI: https://www.facebook.com/events/2440221479578185/

 

 

Il silenzio assordante delle sardine

21 Nov

C’é in Italia una maggioranza pacifica e silenziosa che nonostante tutto non si rassegna, resiste, si indigna. E, quando ritiene che si sia superato ogni livello di civile confronto, reagisce.


Sono quelli  che pretendono, perché ne avrebbero semplicemente il diritto, uno Stato semplice e giusto. Uno Stato che sappia indicare le vie dello sviluppo invece di limitarsi a gestire l’oggi, talvolta male e con interventi contraddittori o, peggio, di comodo per pochi. Uno Stato per cui il faro sia costituito dalla questione morale, dal senso del dovere, dal riconoscimento del merito, per cui trasparenza e legalità non siano solo parole. Uno Stato che sappia creare lavoro investendo nella salute, nell’istruzione, nella messa in sicurezza del suolo, nella valorizzazione del patrimonio storico, nella difesa del paesaggio, nell’energia verde. Uno Stato che combatta la burocrazia ottusa che perseguita il cittadino e soffoca l’iniziativa privata.

Questi italiani credono sinceramente nel dettato della Costituzione. Credono nel rispetto reciproco, nella tolleranza, nella solidarietà. E credono nella laicità dello Stato.

Sono contro la corruzione dilagante, l’evasione fiscale portata agli estremi, i privilegi di pochi, le rendite di posizione, l’arroganza del potere, l’ingiustizia sociale. Combattono ogni giorno la discriminazione in ogni sua forma, che sia il colore della pelle, l’orientamento sessuale, la religione professata. Condannano le disuguaglianze che nascono dalla povertà, dalla precarietà, dal lavoro nero, da quello gratuito nascosto dietro l’apprendistato. Vogliono forze armate che difendano il territorio, non che combattano guerre lontane mascherate ipocritamente da missioni di pace. E vogliono una legge elettorale che garantisca l’espressione di tutte le componenti della società e la possibilità di scegliere direttamente il proprio eletto, affinchè il Parlamento torni ad essere realmente luogo di discussione.e di elaborazione delle leggi.

Uno Stato semplice e giusto per cambiare il volto della politica. Perché la politica torni ad ascoltare ed agire in conseguenza, come accade in democrazia.
Non mi pare che si chieda molto.

25 aprile: la storia siamo noi, ma dobbiamo meritarcela

26 Apr

Sono brutti momenti per l’Italia. L’incertezza economica e politica, il futuro problematico, gli errori passati che si riflettono drammaticamente sull’oggi, gli avversari all’interno come all’esterno. Senza andar molto lontano, soprattutto quelli interni: la corruzione, l’evasione fiscale, l’impreparazione di certi vertici, un populismo becero e sguaiato, la brutale negazione di principi basilari che hanno da sempre fatto grande l’Italia, come la tolleranza e l’accoglienza. E poi, recente, lo scellerato tentativo di riaffermazione di una destra violenta e facinorosa che non si rassegna ad essere stata sconfitta per sempre il 25 aprile del 1945.

Ecco perché diventa improvvisamente importante, addirittura vitale, la memoria. Che non è solo ricordo ma è patrimonio di tutti noi, è la nostra storia di cui dobbiamo essere tutti testimoni orgogliosi. La nostra storia afferma che il 25 aprile non è un derby, come ha volgarmente dichiarato qualcuno che così non onora certo il suo doppio ruolo di rappresentante dello Stato e uomo di governo che ha giurato sulla Costituzione.

Il 25 aprile è la memoria reverente della Liberazione dell’Italia da un regime tirannico e odioso che promulgò le leggi razziali, soffocò la democrazia e con una decisione criminale ci condusse in una guerra insensata e sanguinosa che portò, alla fine, a uno scontro fratricida.
Da quel 25 aprile ci fu donata la Costituzione, la Repubblica, la libertà di pensiero. E per questo molti, troppi, pagarono con la loro vita.

Di questa memoria dobbiamo essere grati e rispettosi. Perché, come ricordò Vittorio Foa a un fascista che concionava di una ‘parità’ tra i morti dell’una e dell’altra parte, “se aveste vinto voi io sarei oggi in galera, ma abbiamo vinto noi, e lei può dire quello che vuole”. Infatti. I tristi epigoni del fascismo possono dire quello che vogliono proprio grazie alla democrazia e alla Costituzione repubblicana, ma non possono permettersi di infangare quello che è forse il momento più alto della nostra storia, quando fu possibile riscattare l’onore e la dignità che sembravano persi per sempre.

A porta s. Paolo, ieri, ho visto qualcosa che mi ha davvero rincuorato. Non è stato solo lo spettacolo delle bandiere, il medagliere dell’ANPI, i cartelli, la gente seria e commossa, l’incredibile folla partecipe non solo fisicamente. Quello che mi ha aperto il cuore è stato ammirare le decine, le centinaia di giovani entusiasti e certi dei loro ideali, che affollavano il corteo e poi la piazza e con i loro slogan goliardici (uno per tutti “Lega, Salvini, e lascialo legato”) hanno strappato anche un sorriso. E giovani così hanno sfilato in tutta Italia, allegri, consapevoli e presenti nonostante a scuola questa nostra storia recente non venga insegnata come si dovrebbe.
Sono loro i testimoni che da oggi sarà il 25 aprile tutti i giorni. Ma per tenerlo sempre a mente, anche noi – come ci suggerisce questo breve filmato accompagnato dalla canzone di De Gregori (guardatelo, è emozionante) – dovremo ogni volta fermarci a leggere le targhe che ricordano stragi, esecuzioni, episodi, martiri, combattenti,

sdr_vivid

donne e uomini che hanno fatto questa nostra storia gloriosa e meditare sul prezzo doloroso che pagarono perché fossimo liberi.
La storia siamo noi, ma dobbiamo meritarcela.

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