Quale correlazione logica tra questi tre punti? La risposta del Guardian in un commovente appello
Nel 1968, in Inghilterra, il governo laburista presentò una proposta di legge, il Race Relations Act, che avrebbe vietato rifiutare di fornire una casa, un impiego o i servizi pubblici a una persona sulla base del colore della sua pelle o della sua appartenenza etnica o nazionale. Nello stesso periodo si verificò un’ondata di immigrati da paesi del Commonwealth, in particolare West Indies e Kenia.
Tutto ciò condusse un uomo politico di raffinata e vasta cultura come Enoch Powell a profetizzare per il suo paese un futuro di problemi razziali e rivolte urbane simili a quelle che stavano avvenendo negli Stati Uniti che avrebbero condotto alla prevalenza di una maggioranza di colore e alla perdita dell’identità nazionale.
I suoi ribollenti discorsi contribuirono non poco alla rinascita di gruppi di ispirazione neonazista e alla diffusione di un razzismo più o meno pronunciato che faceva perno su un sentimento oscuro quanto irrazionale: il timore dello straniero. Che toglie il lavoro, delinque, ruba, fa paura.
Sono passati cinquant’anni. Chi frequenta oggi l’isola britannica può testimoniare come l’integrazione sia un fatto. Stanno a dimostrarlo, a parte alcune eminenti figure come quella del sindaco di Londra, Sadiq Khan, gli innumerevoli esempi che popolano la vita quotidiana: sono impiegati, dirigenti, medici, operai, infermieri, addetti ai servizi, senza i quali l’intera economia britannica soffrirebbe. Si può quindi affermare che per la grandissima parte degli inglesi si tratta di un timore pressochè scomparso, salvo che per un vago sentimento di sospetto, sempre e comunque pronto a riemergere alla prima occasione.
In Italia non abbiamo un Powell (paradossalmente ci sarebbe quasi da dolersene, considerando il deplorevole livello di preparazione e cultura dei leader dell’attuale opposizione), ma un certo razzismo sopravvive. Forse non raggiunge l’asprezza manifestata in altre parti del mondo, tuttavia si realizza in modi altrettanto odiosi.
Per esempio, nel lavoro. Badanti, domestici, braccianti, manovali, fattorini, stallieri, muratori: tutti i lavori più umili rifiutati dagli italiani sono di pertinenza degli immigrati. Nel Rapporto 2019 Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia prodotto dal Ministero del Lavoro leggiamo (pag.17) che: In tutti i paesi OCSE la ripartizione professionale dei lavoratori immigrati è molto diversa da quella dei lavoratori nativi. Nel 2017 questa differenza è rimasta elevata soprattutto nei paesi del Sud dell’Europa (Figura 10). L’indicatore di dissomiglianza indica quanti immigrati dovrebbero cambiare lavoro per determinare la stessa distribuzione occupazionale dei nativi. In Italia e in Grecia un lavoratore immigrato su tre dovrebbe cambiare professione per avere un lavoro simile a quello dei lavoratori autoctoni. La media Ocse è del 17,3%. Se la dissimilarità occupazionale è leggermente migliorata tra il 2012 e il 2017 in molti paesi – per esempio, in Grecia, Svizzera e Portogallo – è invece rimasta inalterata in Italia nello stesso periodo.
Nei paesi OCSE il 18% dei lavoratori immigrati svolge lavori considerati di bassa qualifica (“occupazioni elementari”), contro l’11% delle persone autoctone (Figura 11). Nell’UE le proporzioni sono rispettivamente 20% e 8%. Nella quasi totalità dei paesi OCSE i lavoratori immigrati si concentrano su professioni poco qualificate. In Italia, come in altri paesi del Sud dell’Europa, il tasso di concentrazione è ancora più elevato: il 30% degli immigrati in Italia svolge occupazioni elementari, contro l’8% dei lavoratori nati in Italia.
Questo per quanto riguarda la qualità dell’occupazione. Ma c’è una discriminante in più: la retribuzione di un immigrato è significativamente inferiore a quelle di un italiano di nascita. Scriveva non molto tempo fa il magazine Vita: “Ma c’è una bella differenza tra il lavoro degli italiani e quello degli stranieri. Mentre la retribuzione media mensile dichiarata dagli occupati italiani è di 1.356 euro, quella degli stranieri scende a 965 euro, pari al 30% in meno (-371 euro). Eppure gli immigrati producono quasi il 9% del Pil nazionale, pari a 127 miliardi di euro (prendendo in considerazione l’anno 2015). Lavoro pagato poco e alta produttività. Ecco perché, secondo diversi commentatori, i migranti hanno salvato dal fallimento centinaia di imprese italiane.”
Nella Premessa del citato Rapporto queste aspetti vengono ribaditi: “preoccupano evidenze come la concentrazione in profili esecutivi e quindi in livelli salariali più bassi, i ritardi dell’occupazione femminile o l’incidenza degli infortuni. Sfuggono, poi, alla certezza di queste statistiche, ma non certo all’attenzione di questo Ministero, le piaghe dell’irregolarità e dello sfruttamento. Sono criticità sulle quali bisogna intervenire, nell’interesse di tutti. Lavorare con dignità e diritti, in sicurezza, qualificarsi ed esprimere a pieno le proprie potenzialità, guadagnare di più, conciliare vita privata e professionale… Tutti presupposti irrinunciabili per la realizzazione personale come per la crescita del Paese, quel “progresso materiale o spirituale” al quale la nostra Costituzione chiama a concorrere tutti i cittadini, anche i nuovi.” C’è ancora molto fare, quindi, per una completa integrazione, per contrastare la disparità di retribuzioni e diritti degli immigrati e soprattutto per combattere il persistente quanto strisciante razzismo nostrano.
Ben consapevole dello stesso fenomeno nel Regno Unito, il quotidiano inglese The Guardian ha realizzato questo magnifico e commovente video (*) che ha il grande merito di far riemergere la questione nella giusta prospettiva: è un appello al riconoscimento degli innegabili meriti di questa parte della popolazione nella drammatica evenienza della pandemia. Nè più, nè meno che in Italia. Senza il lavoro, l’impegno e il sacrificio di tanti immigrati, sarebbe stato ben più arduo fronteggiarla. Badanti, domestici, braccianti, manovali, operai, addetti ai servizi, sono stati – e sono tuttora – tra gli oscuri protagonisti che hanno consentito lo svolgersi della nostra vita quotidiana mentre in prima linea combattevano infermieri, medici, assistenti sanitari.
E continueranno a farlo, silenziosamente quanto responsabilmente.
(*) Versione con sottotitoli in italiano:
Videopoesia di The Guardian su immigrazione e pandemia
Tag:Enoch Powell, immigrati, Lavoro, pandemia, razzismo, retribuzioni, The Guardian
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