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Il Pd di Roma, le primarie e la sindrome dell’Okavango

12 Set

L’anno prossimo, come è noto, i romani saranno chiamati a eleggere chi succederà all’attuale sindaca Virginia Raggi, che ha già provveduto a ricandidarsi.
Finora, nessuna delle forze politiche si è espressa con i rispettivi candidati: per la precisione, non sono neppure state formalizzate le eventuali coalizioni. Sembrerebbe di stare ancora in alto mare, quindi.

Ma non è esattamente così. Anche se il momento vede tutti i partiti concentrati sull’esito delle imminenti elezioni regionali e del referendum, sottotraccia, nei corridoi o davanti a un caminetto, ovunque l’argomento dà luogo a ipotesi e discussioni, si abbozzano trattative. È sempre stato così, non c’è da scandalizzarsi più di tanto.

Cosa faranno le destre? Lega e Fratelli d’Italia esprimeranno un candidate comune? E Forza Italia? E cosa faranno le sinistre? Sapranno esprimere una coalizione che dia luogo a primarie con degne candidature per strappare il Campidoglio ai 5 stelle o contenderlo alla destra? Questi e molti altri interrogativi cominceranno ad avere qualche risposta all’indomani del 21 settembre, quando i risultati della duplice tornata elettorale saranno ufficiali e il Pd, che dovrebbe guidare l’auspicata coalizione di centro sinistra dovrà uscire dal suo poco comprensibile mutismo.

Poco comprensibile perché, come affermato nello Statuto del Partito democratico di Roma:
Art. 16. 1. Il Partito Democratico di Roma assume le primarie come elemento costitutivo della propria rappresentanza e della propria proposta politica affinché le stesse traggano legittimazione e vitalità dal rapporto diretto con i cittadini elettori.
Lo stesso identico articolo, pari pari, viene ribadito dall’art. 16, comma 1, dello  Statuto del PD – Unione regionale del Lazio, mentre l’art. 24 dello Statuto del PD nazionale dichiara che:
1. I candidati alla carica di Sindaco e Presidente di Regione vengono scelti attraverso il ricorso alle primarie di coalizione.

 Va anche precisato che lo Statuto nazionale prevede che qualora non ci sia una coalizione o la coalizione non concordi sullo svolgimento di Primarie subentrino soluzioni alternative.
Ma il punto focale è rappresentato proprio dalla necessità vitale di realizzare la coalizione per potersi confrontare adeguatamente con la grande sfida che presenta l’attuale situazione: occorre una mobilitazione generale dell’elettorato di centro sinistra, serve offrire ai romani un progetto  che guardi al futuro, proporre un programma credibile di riscatto della città, credere nell’imperativo categorico di recuperare la dignità di Capitale offesa da anni di governo imbelle. E per questo occorrono figure in grado di poter garantire gli obbiettivi per le accertate capacità, le competenze, le esperienze, le intime motivazioni. Non servono i grandi nomi di facciata che non si sa quanto possano attrarre effettivamente, servono persone che abbiano dato prova di saper fare, che abbiano la visione dei problemi della città, primo fra tutti il decentramento amministrativo.

Una buona parte di responsabilità di tutto questo ricade, va detto, sul Pd romano. Se non riuscirà ad essere protagonista nella decisione delle primarie, oppure se sarà subalterno a logiche che non appartengono alla città, se non riuscirà a rivitalizzare il suo elettorato – mortificato dall’indecente vicenda notarile – se non avrà uno scatto di orgoglio, se non saprà superare sè stesso e dare una prova d’amore per Roma, se subirà ancora una volta i meschini giochi di potere delle correnti e dei signori delle tessere, la partita si presenterà difficile (per usare un eufemismo).
Le primarie di coalizione aperte a tutto il potenziale elettorato potranno essere la dimostrazione solare che il Pd romano ha cambiato rotta di 180° e che si rivolge ai cittadini con fiducia, restituendo loro il diritto di scegliere e rispettando la loro volontà.

Foto del dr. Thomas Wagner

Sta al Pd decidere. Può tornare ad essere a Roma un grande partito protagonista o ridursi a  ricordare malinconicamente i tempi migliori restando nel piattume dei comprimari e negandosi colpevolmente la missione di guida che si era data.

Come l’Okavango, il grande fiume africano che scorre per 1600 km dall’Angola al Botswana e sfocia nel deserto del Kalahari creando una palude: unico tra tutti gli altri fiumi, non raggiunge mai il mare.

Renzi  e l’interpretazione della democrazia

3 Ott

Una sera alla festa del Pd a Testaccio, a Roma.

Se un sindaco non è capace va a casa“.
E chi lo decide? Il segretario o gli elettori?

Renzi non ha ancora capito, proprio non ci arriva, che la democrazia non si può interpretare ma si rispetta sempre, non  solo quando è lui ad avere i voti, e si rifiuta di riconoscere il clamoroso errore di Roma: il disastro romano del Pd, i 5 stelle e la Raggi in Campidoglio sono solo una sua responsabilità.

A tenergli compagnia possiamo aggiungerci lo spicciafeccende Orfini, un paio di cortigiani messi in Giunta, il gregge che si lasciò docilmente condurre dal notaio e prima ancora i dirigenti del Pd romano che fecero opposizione a Marino dal momento che salì al Campidoglio. Per esempio, D’Ausilio che commissionò un sondaggio artefatto contro Marino pagato coi soldi del gruppo consiliare Pd, Michela De Biase che lanciava anatemi contro il sindaco in una Direzione romana del partito solo pochi giorni prima di Mafia Capitale, Coratti che come presidente dell’assemblea capitolina spostava gli ordini del giorno per ostacolare l’attività della Giunta. Una bella congrega di picconatori – di cui Orfini ovviamente non si avvedeva – che dobbiamo ringraziare unitamente ai media scatenati sulla Panda rossa e sugli scontrini.

Su tutto questa primeggia la vergogna di un segretario del partito che si dichiara ‘democratico’ e che alla democrazia – cioè la sacrosanta volontà degli elettori – antepone disinvoltamente  (chissà poi perché: ma dovrà uscire prima o poi) quello che vuole lui.

http://youmedia.fanpage.it/video/al/Wbuq1OSwLgt7Gixo/u1/

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In un piccolo borgo di montagna del nostro nord-est, un mondo chiuso e apparentemente quasi ostile, il giovane carabiniere Paternò si trova di fronte al duplice omicidio di due cacciatori. Paternò non è un carabiniere comune: nonostante la giovane età ha una storia alle spalle, con angoli bui che non conosce o forse non vuole esplorare. La storia si sviluppa su due piani paralleli, come la personalità di Paternò che si è evoluta su due dimensioni: quella della tragedia familiare e quella intima e personale, che si sono intrecciate fino a costruire un insieme complesso. Accade così che accanto all’indagine ne progredisca inconsapevolmente una seconda in cui Paternò insegue soprattutto due cose che non ha avuto dalla vita: giustizia e amore. Le incontrerà entrambe un poco alla volta attraverso piccole conquiste e sconfitte e alla fine riuscirà a risolvere il caso e contemporaneamente a trovare ciò che ha rappresentato la chiave nascosta della sua ricerca.

Come una casa senza finestre

 

Un commissario scadente

24 Ott

Non è un riferimento temporale, non c’è alcuna prossima scadenza: il commissario del PD Roma Matteo Orfini è ormai scaduto definitivamente. In verità il suo incarico era giunto al termine  già un mese fa, ma uno stratagemma formale lo ha prolungato di un altro mese.
Trattenetevi comunque dal festeggiare, cari iscritti e militanti romani, perché pare che non sia finita qui: ci sono  buone  probabilità – almeno così si sente dire  – che si tenti l’ennesima acrobazia per tenerlo ancora in carica.

Sorge allora spontanea la domanda: per far cosa? Dopo la cura Orfini il Pd Roma è  un ectoplasma che ancora sopravvive solo grazie agli ideali dei pochi testardi e sinceri militanti rimasti e, purtroppo, agli interessi di chi sulle tessere (Orfini stesso tra questi) ha fondato la propria carriera politica. Orfini ha dimostrato, nei quasi due anni di gestione commissariale, assai scarse qualità di dirigente politico: doveva risanare il partito romano travolto da Mafia capitale, cacciando gli iscritti fasulli e chi grazie a loro aveva potuto conquistare posizioni, anche di rilievo, e non si è avuta notizia in merito;  doveva chiudere i cosiddetti circoli “cattivi”  dopo l’approfondita e puntuale analisi condotta da Fabrizio Barca, e ha invece chiuso e accorpato cervelloticamente;  doveva risanare la voragine finanziaria che era stata finalmente dichiarata e ancora si attendono almeno i bilanci di anni di disastrosa gestione (come della sua, d’altronde). Avrebbe anche dovuto fare un filino di autocritica circa la sua colpevole disattenzione sulla degenerazione che stava pervadendo il Pd Roma, ma se n’è ben guardato: lui, qualificato dirigente romano, non se n’era accorto (dice). Doveva, cosa più importante di tutte, rilanciare e rimotivare il partito cittadino, umiliato e demoralizzato dalla scoperta del maleodorante marciume venuto alla luce dopo anni di inutili denunce, e ha invece provocato l’abbandono in massa dei militanti; doveva riorganizzarlo e renderlo più efficiente, ma con disposizioni assurde ha costretto gli iscritti a rivolgersi, con soddisfazione, alla giustizia civile; infine, il crollo del Pd registrato alle elezioni per il Campidoglio è lì a testimoniare le sue capacità.  Non ha neppure avuto il coraggio di avviare una franca discussione nei circoli superstiti sui motivi del disastro e tantomeno di dare le dimissioni da commissario.

Per far cosa, quindi, dovrebbe ancora restare Orfini, un commissario scadente e scaduto? Per lanciare il nuovo tesseramento in base al quale convocare il congresso cittadino? Come potrebbe essere lui – ma il nuovo Statuto non offre questa opportunità – l’indispensabile autorevole, raffinato e illuminato dirigente politico cui affidare questo delicato e vitale incarico dopo un tale fallimentare bilancio? 
E annamo, su.

 

orfini-scaduto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni Caudo: la calma dei forti e l’orgia del potere

4 Mar

Dopo 11 giorni di attacchi forsennati e menzogneri la macchina del fango mediatico azionata contro il prof. Caudo si è arrestata.  Nulla ha potuto di fronte alla inoppugnabile documentazione  che l’ex-assessore all’Urbanistica della giunta Marino ha prodotto in abbondanza, nulla ha potuto contro la calma e la dignità del suo atteggiamento. L’indecente azione della macchina e dei suoi manovratori, mandanti e prezzolati manovali, ha prodotto solo un inutile e fastidioso rumore, andando poi a infrangersi stupidamente contro il solido muro dell’opinione pubblica: i romani conoscono bene chi c’è dietro e i torbidi interessi che la alimentano, quegli stessi che hanno impoverito e violentato la città più bella del mondo.

Z l'orgia del potereQuell’intreccio nauseante e ultradecennale tra politica e poteri, che ha portato ad estromettere dal Campidoglio il sindaco eletto con una maggioranza epica che quegli stessi interessi era andato a colpire senza pietà e che hanno reagito scompostamente, è venuto alla luce. E insieme le complicità di pavidi e mediocri pilotati da un altro mediocre alla patetica ricerca di qualcosa che potesse qualificarlo agli occhi del leader, fino a spingerlo a credersi padrone della città. L’orgia del potere, appunto.

Domenica 6 marzo ci sarà il primo redde rationem di una serie. Una sonora e umiliante sconfitta attende il partito che doveva sostenere il suo sindaco e invece lo ha tradito, quel partito che si dice democratico mentre calpesta la sovranità popolare, deforma la Costituzione, accetta il sostegno di personaggi inquietanti, giunge a chiudere le sue sedi che si oppongono al delirio di onnipotenza che ha invaso i suoi vertici.
Il tempo è galantuomo e sappiamo aspettare.

AGGIORNAMENTO del 4 marzo 
Una cortese segnalazione di Anna Maria Bianchi di Carteinregola mi consente di aggiungere questo sentito  commento di Edoardo Salzano, fondatore di Eddyburg, in favore di Giovanni Caudo (v. la postilla in fondo).
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Non è personale, è politica

di GIOVANNI CAUDO   03 Marzo 2016

A partire da un articolo del Corriere della sera, edizione romana, che tratta correttamente uno scandalo che gli era stato addebitato a infamante accusa di corruzione l’ex assessore della giunta Marino commenta la macchinazione di cui è stato vittima e ne trae alcune conclusioni. Con postilla.

I Piani di zona sono in apertura della cronaca romana del Corriere, è una notizia che tocca la vita di migliaia di persone. Si capisce meglio, ora, la rilevanza politica della “giungla” dell’edilizia agevolata e anche quello che abbiamo fatto in pochi mesi, dopo anni di incuria. Alla delibera del 1972, citata dal Corriere della sera, si è aggiunto negli anni un coacervo di norme contraddittorie e di cavilli. L’incertezza normativa e “la paura di liti” non ci hanno fermato e con le sentenze del TAR dell’aprile 2015 si è stabilito un punto giuridico forte a tutela degli inquilini: il contributo pubblico va scomputato dal prezzo di vendita.  Era solo l’inizio ora si deve continuare, in particolare affrontando il tema delle migliorie che gli inquilini pagano, talvolta senza neppure sapere di averle chieste.

Oggi è anche il primo giorno, dopo una decina,, in cui i giornali non si occupano di me. La notizia era che il mio nome compare nella proroga di una indagine per corruzione sulla vicenda di Palazzo Raggi. Tutte le autorizzazioni risalgono a prima del mio incarico, io sono intervenuto per sospendere la delibera di Alemanno, ho avviato l’annullamento e la riproposizione, a termini di legge, del piano di recupero. Ho chiesto al PM di essere ascoltato, confido che lo farà non appena avrà gli elementi, sono convinto che la magistratura è un argine all’illegalità e lavora per le persone oneste come me. Ma su questa notizia è partita una vera e propria campagna che infanga la mia onorabilità e il mio lavoro come assessore della giunta Marino.

Una questione personale, che in realtà si sta facendo politica. Nel replicare a contenuti diffamatori mi sono affidato agli atti, alle delibere, alle cose fatte, ai dirigenti ruotati. La stessa cifra con cui ho svolto il mio mandato: perseguire l’interesse generale guardando al merito. La normalità, ma a Roma la normalità è rivoluzionaria.

Quello che si vuole screditare è quindi un modo di lavorare. Si vuole piegare la libertà di dire no e il principio di legalità, si tratti degli inquilini dell’edilizia agevolata o di interventi privati legittimi ma avversati dai populismi. La libertà di un investitore privato ad investire, e di farlo parlando direttamente con l’Amministrazione, senza intermediari e senza chiedere il permesso ad altri.

Una città libera dai ricatti, da qualsiasi parte vengano. Una città aperta al mondo, che sappia cogliere la sfida dell’innovazione e del cambiamento. Che sappia liberarsi dalla Rendita Capitale intesa come erogazione di denaro pubblico per opere che non finiscono mai. Che favorisca la creazione di ricchezza e il suo potenziale internazionale.

Perché non chiedersi come mai gli investimenti esteri nell’immobiliare a Roma sono un decimo di quelli di Dublino? Mentre i cantieri pubblici (Vele di Calatrava, Metro C, Nuvola, Nuova Fiera di Roma) hanno divorato miliardi di euro e Roma 2024 sembra proseguire sulla stessa scia? Non sono questi argomenti per un vero dibattito pubblico mentre si sceglie il candidato sindaco? Argomenti che avrebbero interessato il mondo imprenditoriale sano e i cittadini, altrimenti rassegnati a vedere i loro figli andare via. Ma la politica si tiene lontana dai temi reali. Mi chiedo allora perché stupirsi dello scarso entusiasmo attorno alle primarie?

postilla

Giovanni Caudo ha per me, tra i suoi meriti, quello di essere tra i fondatori di
eddyburg e tra i più appassionati e costanti docenti (vorrei dire maestri) della scuola di eddyburg. Perciò con i miei amici e colleghi abbiamo reagito con indignazione alla mostruosa campagna di stampa che e stata sollevata contro di lui. 
Oggi Giovanni, con questo suo articolo (dedicato a uno degli episodi le cui colpe sono state falsamente addebitate a lui) rileva con sollievo che i giornali, nelle loro cronache romane, oggi tacciono nel gettare fango su di lui dopo una decina di giorni di calunnie. Condivido il suo sollievo (sperando che, una volta tanto, una rondine faccia primavera), come ho condiviso la sua indignazione. 
Non mi avrebbero scandalizzato critiche alla sua attività di assessore. Anch’io sono stato assessore, e sono sicuro di averne fatti molti di errori. E credo che oggi la condizione generale di chiunque si proponga di rendere migliore la citta sia diventata molto ma molto più difficile di quanto fosse ai miei tempi. Quando sono stato assessore a Venezia, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso ero parte di una squadra (di un partito) che faceva della buona urbanistica la sua bandiera. 
 Due ragioni mi hanno spinto all’indignazione. Innanzitutto, la profonda consapevolezza della onestà di Giovanni. È una consapevolezza che condivido con un vasto stuolo di persone che lo conoscono personalmente. Comprendo che non abbiano ragione di condividerla quanti non lo conoscono: i giornalisti che ne hanno scritto, e i politici che non lo hanno difeso, tranne poche, nobili eccezioni. 
La seconda ragione che mi ha indignato (e che mi induce a esserlo ancora) è il fatto che chi non lo ha difeso non ha compreso che ciò che è stato montato contro Giovanni Caudo è stato il consapevole prodotto di una macchinazione che, come ha colpito lui, poteva, e può ancora colpire chiunque. È una testimonianza attiva del livello d’imbarbarimento cui è giunta in Italia non tanto la lotta politica quanto – tenendo conto dell’humus su cui la vicenda è nata – la lotta tra bande per l’uso del territorio. 
Credo che se Giovanni si è salvato è per la tenacia e il rigore con il quale, nelle sue quotidiane “(contro)rassegne stampa” (tutte pubblicate sul sito carteinregola.it) è riuscito, giorno per giorno a dimostrare come fossero mere calunnie le accuse infamanti che gli erano state rivolte, con abbondanza di falsità e silenzi, sapientemente mescolati a mezze verità o a verità falsificate spostandole dal loro contesto. Che la politica romana abbia trascurato questo aspetto nel corso di una campagna elettorale, nella quale si discute del futuro di Roma, e che non abbia avviato una riflessione sul chi, perché e come abbia organizzato questa cospirazione, coinvolgendovi le edizioni locali delle maggiori testate nazionali è cosa che rattrista chi per vent’anni è stato cittadino romano (e.s.)

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Due lettere, ma non mi sento sconfitto

1 Dic

Sono quelle che, a distanza di pochi giorni, ho inviato al mio circolo di Ponte Milvio. Mai immaginando, dopo la prima, che avrei scritto la seconda. Ma così è la vita.
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Martedì 24 novembre 2015

Cari tutti,
la situazione del Pd romano appare pesante. I recenti fatti che hanno portato alla caduta della giunta Marino, le polemiche (anche aspre) che sono seguite, le prossime (forse) elezioni per eleggere il nostro nuovo sindaco – solo per nominare gli argomenti più rilevanti – dovrebbero indurre tutti noi a cercare vie d’uscita, proporre alternative, immaginare soluzioni che abbiano come unico obbiettivo il bene della città e del Pd.
In quest’ottica, l’iniziativa del circolo di san Basilio mi è parsa meritoria: anche se la discussione è stata a tratti aspra, ognuno – incluso l’ex-sindaco Marino – ha avuto modo di dare il proprio contributo per guardare al futuro con determinazione e un  ragionevole ottimismo.
Ciò premesso, ho pensato che il nostro circolo, che è sempre stato all’avanguardia nelle analisi come nei confronti – sempre ragionati e sereni – possa e debba far sentire la propria voce.
Non è aspettando miracolose soluzioni dall’alto dei cieli che faremmo il nostro dovere di militanti e individui pensanti. E neppure nascondendo la testa sotto la sabbia.
La rottura tra elettori e partito va sanata: noi non dobbiamo e non possiamo rassegnarci all’idea che non sarà possibile replicare lo straordinario successo di due anni fa, quando oltre al Comune furono riconquistati tutti i Municipi.
Questo il motivo per cui ritengo che sia il caso che anche a Ponte Milvio si inviti l’ex-sindaco per confrontarci con lui e trovare – insieme – le vie per ridare opportunità di rinascita a Roma e al Pd.
Chiedo pertanto una convocazione a breve termine del Direttivo per discutere la mia proposta.

Un affettuoso saluto.

Piero Filotico

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Martedì 1° dicembre 2015

Cari amici,
apprendo con amarezza che il direttivo del nostro circolo ha respinto la proposta di Marino Missirini di affrontare apertamente una franca discussione sui motivi che hanno portato all’attuale situazione di sconcerto e disagio nel partito romano. Pensavo che fosse nostro compito tentare di trovare vie d’uscita, soluzioni che abbiano come unico obbiettivo il bene del Pd e quindi di Roma.

In questa prospettiva, mi era parsa positiva l’idea di dare un nostro contributo per un progetto volto al futuro e alle prossime elezioni amministrative – come superare cioè l’impasse seguita alla caduta della giunta Marino –  confrontandoci con l’ex-sindaco senza guardare al passato, alle sue responsabilità, agli errori di tutte le parti in causa, ma invece cercando, insieme, le basi per una rinnovata unità; soprattutto mi era sembrata un’idea nel solco della tradizione del nostro circolo, da sempre un esempio di apertura verso tutte le posizioni.
Non è stato così. Non conosco i motivi che vi hanno portato a questa decisione, presa a maggioranza (anche questo un segno dei tempi? Ricordo che l’unanimità era frequente nei nostri odg) ma mi colpisce spiacevolmente il senso che c’è dietro il voto negativo: il rifiuto del dialogo.
Dovuto a cosa? Al timore di affrontare un tema scomodo, la sensazione di far qualcosa di sgradito ai vertici? Non ero presente e non avrei potuto votare, non avendo ancora rinnovato la tessera, ma per me (e non solo per me) la realtà che osservo è quella, sgradevole, di un circolo – scusate, una sezione –  che si è adeguato troppo rapidamente alla normalizzazione in corso in quel che resta del partito romano. E la conseguenza, preso atto di tutto ciò, non può che essere una.

Negli ultimi due anni ho percepito sempre più una frattura, dapprima lieve, che però andava man mano allargandosi. Dal siluramento di Prodi per il Quirinale (su cui è mancata ancora una volta una franca analisi) all’aver promosso al Parlamento consiglieri regionali maestri del consociativismo con la Polverini e mediocri funzionari del partito, dall’interessata e torbida opposizione a Marino un minuto dopo la sua elezione all’allegra imbarcata di figure discutibili e note per il disinvolto cambio di bandiera o per la provenienza da una destra faccendiera e corrotta, dal proliferare indisturbato delle correnti e delle filiere fino alla scoperta del marcio nel partito romano, è stata una discesa inarrestabile. E mai, dico mai, un confronto con la base, umiliata dal tentato coinvolgimento in una sfacciata e irreale ipotesi di correità, mai un riconoscimento dei propri errori da parte dei vertici, mai (o non ancora) un signore delle tessere espulso dal partito che aveva inquinato.
Solo per dire delle vergogne più clamorose che in un altro partito, il Pd degli ideali, il Pd che avremmo voluto, avrebbero prodotto un terremoto. Non si parla più di ‘questione morale’. Nel Pd di oggi, come ha scritto un mio amico poco tempo fa “nessuno ritiene importante condividere  uno straccio di riflessione critica e autocritica sulle motivazioni e sui processi politici e culturali che hanno portato il partito a questa disfatta morale prima ancora che politica”.

Dopo aver contribuito concretamente alla costruzione del Partito democratico, alla sua fondazione, e dopo otto anni di fedele militanza, riconosco con profondo e sincero rammarico che il tenue legame che ancora mi univa al partito si è lacerato. Debbo purtroppo ammettere che ormai il più pedestre conformismo ha preso il sopravvento e non c’è più spazio per quello che rappresentava la radice vitale del partito: il libero confronto delle idee. Mancando questo manca l’ossigeno, l’asfissìa è inevitabile: debbo lasciarvi, confortato tuttavia dalla convinzione che con molti di voi, prima o dopo, nelle battaglie per la libertà di pensiero ci ritroveremo sempre.

Con un caro saluto,
Piero Filotico

 

 

 

Il silenzio è d’oro: su Marino il Pd tace ancora

24 Ott

Prosegue, massiccio, il silenzio dei vertici del Pd romano sui motivi dell’ostracismo inflitto al sindaco Marino e per conseguenza ai romani. Non è incomprensibile: non saprebbero cosa dire oltre che ripetere che “la vicenda è chiusa” senza un perché, senza motivazione alcuna. Il che ingenera altro disagio e nuova irritazione nei militanti e nell’elettorato. Tanto che cominciano ad essere numerosi i post sui social network di sostegno al sindaco come questo “Non ho votato per Marino, ma di fronte al’indegno spettacolo che sta offrendo la politica e segnatamente il Pd domenica 25 sarò in Campidoglio”. Occhi puntati sulla manifestazione di sostegno, quindi, silenzio (1)sottolineando che il punto fondamentale resta quello della difesa di un principio fondamentale: il rispetto della sovranità popolare su cui lascia interdetti l’assenza di ogni riflessione e considerazione da parte dei media così attivi nel promuovere e sostenere la campagna contro il sindaco. Se la prova di forza che il duo Matteo&Matteo dovesse invece aver successo, Roma rappresenterà solo il primo caso in cui un sindaco viene deposto in forza degli obbiettivi (inespressi) del suo partito. E quindi  si prospettano tempi duri per i tutti i sindaci italiani, ancorché  capaci e con la fiducia dei loro cittadini, che non dovessero trovarsi docili e allineati con il potere politico di riferimento.

Torniamo a Roma. Condivido molte delle considerazioni che si possono leggere sul sito Romafaschifo e che quindi risparmio a chi mi legge. A queste, aggiungo quanto appaia chiaro che il Pd, dopo essersi appoggiato – sostenuto dai media compiacenti – alle ridicole accuse circa le spese effettuate dal sindaco, si sia finalmente reso conto della loro inconsistenza e abbia ripiegato sulla linea più sicura del ‘si fa così e basta’, vietando ai suoi esponenti qualunque dichiarazione diversa e addirittura un confronto con gli iscritti. Giovedì 22, ad esempio, erano attesi al circolo san Lorenzo sia il capogruppo Panecaldo che la consigliera Grippo, ma si son ben guardati dal presenziare. Ne è seguita una discussione serena e tutt’altro che rassegnata, che ha puntato il dito sulla colpevole assenza di una qualsivoglia analisi e discussione collettiva.

Nel XV Municipio, invece, la sub-commissaria Calipari aveva già convocato gli iscritti al Teatro Patologico, per cui ha dovuto scegliere la via dell’attacco per cercare di evitare scomode discussioni.  Dopo essersi lamentata per la scarsa partecipazione all’incontro (dimenticando che ad oggi sono neppure 130 le tessere rinnovate contro le 600 degli anni precedenti) si è scagliata contro le nomine del CdA dell’Auditorium effettuate dal sindaco Marino, ignorando che quelle stesse nomine erano state ratificate già a luglio col voto favorevole dei consiglieri Pd (parentesi: all’epoca il commissario Orfini  non aveva avuto nulla da obiettare). Di fronte alle contestazioni della platea ha allora pensato incredibilmente di criticare i militanti per non essersi mai accorti dello sviluppo della criminalità nel territorio e dell’ascesa di Carminati.  E’ stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e si sono sollevate reazioni indignate: il XV è stato sempre tradizionalmente in mano alla destra estrema e la sua riconquista alle elezioni comunali è dovuta ad una paziente e quotidiana opera di anni sul territorio per cui si sono registrati perfino attacchi fascisti alle sedi, alle auto di iscritti, denunce all’autorità giudiziaria. Queste ed altre infelici uscite della sub-commissaria hanno segnato un suo ulteriore distacco dalla realtà chiamata a guidare.

Ma la patetica Calipari è in buona compagnia. Il loquace senatore Esposito (nonché assessore ai trasporti nella giunta Marino) nell’intervista di oggi su Repubblica  dimostra ancora una volta di non disporre di argomenti e nonostante le domande postegli in modo favorevole (mi sarei meravigliato del contrario) risponde rifugiandosi in vuote dichiarazioni. Non è in grado – tal quale i suoi mandanti, Orfini in testa – di avanzare una che è una solida critica in grado di giustificare il suo brusco e perentorio voltafaccia.

Insomma, il Pd romano mostra nuovamente l’immagine di un corpo vivo, quello dei residui militanti ed elettori ancorché in buona parte disorientati e sfiduciati, ma una testa vuota di concetti e proposte che non siano legati al ‘potere per il potere’. Proprio come quei circoli che il rapporto Barca aveva indicato come pericolosi per l’evoluzione del partito nella Capitale. Poteva essere diversamente, d’altra parte? Qui ci sono due aspetti da considerare. Orfini ha fatto parte della dirigenza romana fin dai suoi primi anni in politica e quindi i casi sono due: o non sapeva nulla nel pericoloso deterioramento del partito romano sfociato nelle complicità tra molti dei suoi maggiori esponenti e Buzzi, e allora c’è da chiedersi cosa ci stesse a fare tra i vertici. Oppure sapeva e ha taciuto, sapeva e non ha mai sollevato obiezioni, neppure il sopracciglio, gli andava tutto bene e gli va bene che non se ne parli più e soprattutto che si parli d’altro. Quale che sia la risposta, c’è solo da domandarsi come possa oggi ergersi a giudice obbiettivo nella gestione commissariale che si è fatto confermare. L’altro aspetto riguarda il suo iniziale sostegno a Marino, svanito improvvisamente e immotivatamente e che nessuno riesce a spiegare.
I militanti, gli elettori, i romani hanno il diritto di sapere, capire, discutere: ma a tutto questo il Pd oppone il silenzio. Che in questo caso non è d’oro, anzi, è un silenzio un po’ maleodorante.

 

Il Pd Roma: da Mafia Capitale al metodo democratico

1 Ott

art. 49 cornice

Mafia Capitale ha imposto la bonifica del Pd romano. Ma le iniziative finora intraprese non sembrano condurre verso una soluzione assolutamente rispettosa del metodo democratico.

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Per avere un’idea di cosa stia succedendo nel e al Pd Roma bisogna risalire almeno alle primarie del 2013, quando in diversi seggi si presentarono improvvisamente elettori e candidati mai conosciuti prima, distorcendo l’esito delle votazioni. Il fatto fu denunciato da molti iscritti, anche con ricorsi alla Commissione di garanzia regionale, che furono disinvoltamente e sbrigativamente archiviati.  Ne parlarono Cristiana Alicata che fu oltraggiata e derisa da molti – tra cui un membro della CGR oggi incriminato per i fatti di Mafia Capitale, Nacamulli – e Marianna Madia  che denunciò esplicitamente “vere e proprie associazioni a delinquere sul territorio”). Naturalmente senza esito alcuno e senza che nessuno dei leader locali – tantomeno l’attuale presidente del Pd Matteo Orfini che all’epoca era già da tempo testimone, attore e protagonista della politica romana – aggrottassero appena il ciglio. Andava tutto bene. Fatto sta che coi risultati di quelle primarie fu successivamente eletta l’Assemblea e poi nominata la Direzione, rappresentando così il trionfo dei capibastone e delle correnti che imperversavano nel Pd romano, senza che nessuno, ripeto, nessuno dei vertici avesse qualcosa da obiettare. Per tutti loro era tutto assolutamente regolare.

Facciamo un passo avanti. Alla fine del 2014 esplode Mafia Capitale, buona parte del Pd romano che conta risulta inquisito e Renzi nomina Orfini commissario dopo le dimissioni del segretario Cosentino. Qui è la prima, colossale stortura: il commissario non avrebbe mai dovuto essere un romano, perché in un modo o nell’altro lambìto se non coinvolto in quella torbida rete di interessi e intrecci per cui in quegli anni non era stata presa alcuna posizione contro il malaffare interno al partito e tutto era stato tollerato, perfino la vergognosa faccenda dei fondi del gruppo consiliare Pd alla regione Lazio nel 2011.  Ma pare che a Renzi questo aspetto fondamentale sfugga o non interessi. Vabbe’.
Comunque sia Orfini accetta l’incarico e prende alcune iniziative, tra cui l’incarico a Barca di Orfinimappare i circoli per individuare quelli sani e quelli costituiti ad uso personale e la verifica degli elenchi degli iscritti del 2013 per identificare quelli fasulli: di quest’ultima se ne occupano i GD, fedeli centurioni di Orfini, e va avanti per mesi a causa della scarsità di risorse (perché non siano stati reclutati anche militanti di provata fede, anche non-GD, non è dato sapere ma si può, neppure tanto maliziosamente, immaginare). Il 9 marzo riunisce l’assemblea romana per fare il punto e, tanto per non sbagliare, proprio in apertura si rivolge a tutti gli iscritti con quella che suona come un’assurda chiamata di correità (‘Mafia Capitale non avrebbe dovuto sorprenderci, leggiamo tutti i giornali’, eccetera). (*)

Dopo di che passano i mesi senza che nulla accada e nei circoli cresce l’attesa, oltre al disagio e all’impazienza. Insomma: c’era un PD dei politicanti di mestiere e delle loro cordate, e un PD dei sinceri militanti volontari e dei circoli. Il cancro di Mafia capitale è nato e si è sviluppato nel partito delle cordate infettando poi alcuni circoli e generandone altri. La sgradevole sensazione che si percepisce è che il commissario, invece di bonificare il partito dei politicanti – cui appartiene – eliminando corrotti e collusi, prenda a pretesto l’ emergenza per normalizzare il partito dei circoli, portandolo sotto il suo controllo. E’ così che a metà maggio un gruppo di membri dell’Assemblea ne chiede al presidente Giuntella, a norma di Regolamento, la convocazione per discutere anche del congresso che Orfini ha più volte dichiarato di voler tenere entro l’anno. Assai poco ritualmente,  il commissario risponde piccato e irridente su Facebook, mentre  Giuntella – cui spetta il compito di convocarla ogni tre mesi – svicola. Insomma, comincia a delinearsi un percorso del genere ‘si fa come dico io e le regole contano se e quando mi servono’, nonostante la Commissione nazionale di garanzia, interpellata dallo stesso Orfini sulla possibilità di azzerare l’Assemblea, gli abbia chiarito per iscritto che non gli è consentito. Si fanno sempre più concrete quelle che parevano solo voci di corridoio: le iscrizioni 2013 e 2014 verranno annullate, nasceranno i circoli territoriali (15, uno per Municipio, virtuali) presidiati da altrettanti sub-commissari, i circoli esistenti – in attesa di venire chiusi o accorpati – diventeranno ‘sezioni’ senza alcuna autonomia e privati dei fondi provenienti dal tesseramento, che avverrà tramite il circolo di municipio.

La temuta occupazione viene certificata e definita con la delibera che Orfini fa approvare dalla Direzione (che non ha competenza in materia) l’11 giugno. In sintesi, come commentò all’epoca un iscritto, “somiglia tanto a un colpo di stato fatto da una corrente a discapito delle altre”, mentre un altro, più lungimirante, dichiarò che “il congresso del PD romano si è svolto ieri e lo ha vinto Orfini. Saranno lui e i suoi soci a organizzare i circoli municipali, a decidere chi li dirigerà, saranno lui e i suoi soci che maneggeranno i soldi delle tessere e che faranno le liste delle prossime elezioni. Scordiamoci l’assemblea e scordiamoci la possibilità di un congresso vero e democratico”.
Perché un vicecommissario per ogni Municipio non rappresenta, di per sé, una garanzia contro i pacchetti di tessere, anzi. Perché non sarà né un magistrato né un ufficiale dei carabinieri, ma verrà scelto nei giochi tra le cordate dei professionisti della politica per garantire gli equilibri e le pratiche di queste, la gestione delle “primarie“, i rapporti con gli eletti e così via. Più lontano dal controllo diffuso dei militanti associati nei circoli, sul territorio. E sarà grato e fedele al capo per garantirsi la rielezione o future promozioni.

La delibera, infatti, prevede non solo una modalità accentrata per il tesseramento 2015, ma una ristrutturazione permanente dell’ organizzazione territoriale che va nella direzione di una verticalizzazione, spostando poteri organizzativi e risorse dai circoli esistenti, ridefiniti come ‘sezioni’,  verso i nuovi circoli territoriali, uno per Municipio. Verso l’ alto. Mentre tutto il dibattito aperto dopo il documento di Barca dell’ aprile 2013 sullo sperimentalismo democratico, la mobilitazione cognitiva, la democrazia deliberativa, va nella direzione opposta, verso “un partito di sinistra saldamente radicato nel territorio …. animato dalla partecipazione e dal volontariato di chi ha altrove il proprio lavoro“. Ma la cosa grave e è che la delibera del commissario infrange, nelle modalità e nella sostanza, il Regolamento del Pd romano e lo Statuto nazionale. Tra le violazioni più clamorose:
– la convocazione della Direzione (che può essere fatta solo dal Presidente dell’Assemblea);
– l’aver fatto approvare una delibera non di sua competenza: la Direzione “è l’organo di esecuzione degli indirizzi espressi dall’Assemblea ed è organo di indirizzo delle politiche territoriali” mentre è  l’Assemblea che “ha competenza in materia di indirizzo della politica territoriale del Partito Democratico di Roma città, di organizzazione e funzionamento degli organi dirigenti, di definizione dei principi essenziali per l’esercizio dell’autonomia da parte dei Circoli territoriali, ambientali e on line” (articoli  5.2 e 6.1 del Regolamento di funzionamento della Città di Roma);
– l’introduzione delle cosiddette ‘sezioni’, organismi assolutamente nuovi e non previsti: lo Statuto nazionale all’Art. 14 comma 1 prevede che “I Circoli costituiscono le unità organizzative di base attraverso cui gli iscritti partecipano alla vita del partito...”;
– sempre a proposito delle nuove ‘sezioni’, lo Statuto nazionale afferma all’art. 14, comma 4 che “dovrà essere previsto almeno un Circolo territoriale di base per ogni comune superiore a cinquemila abitanti e, nei comuni con più di centomila abitanti, almeno un circolo per ogni cinquantamila abitanti.”  E come la mettiamo con le ipotizzate ‘sezioni’? Il risultato è che nei circoli e tra i militanti cresce lo sconcerto, il disagio, l’amarezza. Resta ancora la flebile speranza che l’atteso rapporto di Barca sullo stato dei circoli – che a rigor di logica avrebbe dovuto precedere e non seguire la delibera – dia un’opportunità nuova, possa costituire l’occasione per intervenire, estirpare il marcio e dimostrare, finalmente, che si può dare un deciso colpo di timone. Ma non succede nulla di tutto questo.

Accade così che alla fine di luglio due ben conosciuti e rispettati democratici, Giancarlo Ricci e Antonio Zucaro, decidano che la misura è colma: citano in giudizio (qui i dettagli) la Federazione romana e la prima udienza viene fissata per lunedì 28 settembre. Che ci sia ben più di qualcosa che non va nel partito romano è testimoniato anche dal disastro registrato nel rinnovo delle tessere: a settembre se ne contano, pare, circa 3.000 contro le 8.000 registrate l’anno precedente. E’ l’effetto di Mafia Capitale, certo, ma l’opera del commissario ha assestato un duro colpo alla collaudata rete dei circoli e alla passione di tanti sinceri e un tempo entusiasti militanti che stanno abbandonando in massa il partito. Ma non è finita qui.
Domenica 27, il giorno prima dell’udienza, in una “giornata di studio” riservata a eletti, coordinatori e altri invitati Orfini informa i partecipanti di una nuova delibera, questa, che annulla la precedente evidentemente invalida (quella per cui è stato citato in  giudizio) con la quale supera di colpo – o pensa di aver superato – tutte le osservazioni e le critiche. Perché?

Perché glielo consentono le modifiche allo Statuto nazionale approvate dall’Assemblea nazionale del 18 luglio, proposte dalla commissione di cui lo stesso Orfini fa parte e che nell’ordine del giorno assembleare apparivano così: “modifiche statutarie in adeguamento alla L. 13 del 21/2/2014” (cioè la legge sull’abolizione del finanziamento pubblico diretto). Solo che tra queste erano state introdotte anche quelle relative all’art. 17, che disciplina Commissariamenti, scioglimenti e poteri sostitutivi.
Per esempio, il comma 1 della nuova stesura prevede che invece della Direzione Nazionale sia  il Segretario nazionale stesso a poter “intervenire nei confronti delle strutture regionali e territoriali adottando, sentito il parere della Commissione nazionale di Garanzia, i provvedimenti di sospensione o revoca. Tali provvedimenti possono riguardare sia organismi assembleari sia organi esecutivi, e possono includere l’eventuale nomina di un organo commissariale”. Quindi arrivederci ad Assemblea e Direzione del Pd Roma. Il comma 3, a sua volta, prevede che “i provvedimenti di scioglimento e chiusura dei Circoli, per violazioni dello Statuto o del Codice Etico e per grave dissesto finanziario, possono essere assunti anche in deroga all’art. 14 comma 4 dello Statuto”. Pertanto, stante l’enorme debito di almeno 1,2 milioni accumulato dalla Federazione – e su cui si tace alla faccia della sbandierata trasparenza e nonostante il pieno diritto degli iscritti di sapere come sia stato accumulato – viene superato  l’obbligo di avere “nei comuni con più di centomila abitanti, almeno un circolo per ogni cinquantamila abitanti” ed automaticamente l’invenzione delle sezioni da illecita diventa lecita. “Fatta la legge, trovato l’inganno” recita un vecchio proverbio. Orfini ora può fare davvero da solo, saluti a trasparenza, partecipazione, metodo democratico.

Naturalmente nessun dettaglio viene reso noto. Anche l’esito della lunga indagine svolta sull’anagrafe degli iscritti del 2013 – come l’origine del mostruoso buco del bilancio federale – resta riservata, perché gli iscritti non hanno alcun diritto, gli è consentito solo di pagare la tessera.
Non so immaginare, francamente,  dove Orfini pensi di condurre il Pd romano. E’ abbastanza evidente che intenda dargli un’impronta esasperatamente verticistica – in questo concorde con la visione del segretario nazionale – ma poi? Tra un anno, quando cesserà la gestione commissariale, quale partito pensa si troverà, dopo aver disperso un patrimonio di cultura, esperienze, passioni? Davvero pensa di poterlo rimpiazzare con i Giovani Democratici? E come crede di poter affrontare le eventuali elezioni comunali? O pensa di mettersi in gioco lui stesso, candidandosi a sindaco? Oppure ancora ha già pronto il sostituto di Marino, un suo fedele, magari l’assessore Esposito? Bah.

Qui di seguito troverete il comunicato stampa (il neretto è mio) rilasciato da Ricci e Zucaro all’uscita dall’udienza del 28 settembre. Il giudice vuol vederci chiaro e questo è già molto. E comunque siamo solo agli inizi.

“La frettolosa approvazione, nelle scorse ore, di una nuova delibera di riorganizzazione del PD Roma, sostanzialmente identica a quella già impugnata da alcuni iscritti, non è servita a neutralizzare il procedimento giurisdizionale contro la Federazione romana – sottoposta da quasi un anno al commissariamento del Presidente Orfini – e ad eludere il giudizio cautelare promosso dai ricorrenti, Giancarlo Ricci e Antonio Zucaro.
Accogliendo le eccezioni sollevate dagli avvocati Anna Falcone e Antonio Pellegrino Lise, il giudice procedente ha, infatti, chiesto una integrazione di memorie e si è riservato in merito alla decisione di sospensiva dell’atto impugnato. Alla luce della proroga del Commissariamento e della reiterazione delle violazioni denunciate a danno dei diritti degli iscritti, nonché in dispregio delle norme statutarie e di democrazia interna, i ricorrenti non escludono di rilanciare l’azione giudiziaria estendendo l’impugnativa alle ulteriori violazioni che dovessero emergere dalle nuove decisioni commissariali. A tal fine, annunciano la costituzione di un comitato di sostegno all’azione giudiziaria e per il rispetto dello Statuto del PD e delle sue regole di democrazia interna”.

Firmato: i ricorrenti, Giancarlo Ricci e Antonio Zucaro

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(*) – Aggiornamento: mi viene opportunamente fatto ricordare il libro bianco presentato alla Festa dell’Unità nel luglio 2012  su “La criminalità organizzata a Roma”, realizzato e pubblicato dal PD Roma.

Il Pd romano, Orfini e il mugnaio di Potsdam

19 Set

Conoscerete la storia del povero mugnaio di Potsdam ai tempi di Federico il Grande di Prussia. Angariato da potenti e giudici felloni non si arrende, ha fiducia nella giustizia (“ci sarà pure un giudice a Berlino” dice per rincuorarsi) e alla fine trova un magistrato integro che riconosce le sue ragioni e la verità trionfa.
Bene, mi è servita  per parlare di una faccenda che riguarda il Pd romano e che stranamente (è ironia, eh) i giornali non hanno minimamente approfondito. Ecco, il parallelo non è poi tanto fuori luogo.
LA LEGGE E'
Alcuni militanti del PD hanno citato in giudizio la Federazione romana del Partito Democratico, chiedendo l’annullamento della delibera con cui, a seguito del Commissariamento, la Direzione del PD romano, su impulso del commissario Orfini, ha “riformato” l’organizzazione e la struttura del partito.

Non si tratta di una questione riguardante esclusivamente la vita interna del PD romano. La democrazia interna nei partiti, e in particolare in quello che detiene le leve del potere politico in questo momento, è questione che riguarda la democrazia in quanto tale, e perciò tutti i cittadini, indipendentemente dalla collocazione politica.

I ricorrenti muovono dalla convinzione che le soluzioni che il commissario Orfini sta mettendo in atto non solo non sanano le distorsioni e le aberrazioni che hanno aperto la strada a quei fenomeni, ma le stanno amplificando. Se il PD romano è diventato “brutto e cattivo”, in molte sue parti, una delle cause principali è che la partecipazione era stata soffocata e sostituita dalla logica delle filiere di costruzione del consenso che, al di là delle collusioni che non sempre si verificavano con la criminalità mafiosa, ne riproducevano le leggi di funzionamento (scambio di favori clientelari, asservimento personale, creazione di reti occulte o opache, sottratte alle regole democratiche di rapporto tra soci di una medesima organizzazione).

Chiudere i circoli, lasciandone uno ogni 200.000 abitanti (per Statuto dovrebbero essere almeno il quadruplo), espropriare e centralizzare le risorse e le responsabilità verso terzi rispondono esattamente alla logica che ha dato origine a Mafia Capitale, rischiando di portare il fenomeno alle estreme conseguenze. Con l’aggravante che le delibere adottate intervengono pesantemente sullo svolgimento del futuro congresso, condizionandone il percorso democratico e la composizione della platea congressuale. Tutto ciò, nonostante il commissario fosse stato già ammonito in precedenza dalla Commissione Nazionale di Garanzia in merito al fatto che lo Statuto “non appare consentire l’attribuzione, anche ai fini del compimento di un singolo atto, di poteri commissariali che esautorino organi politici assembleari”.

Da ultimo, non in ordine di importanza, l’iniziativa giudiziaria merita attenzione alla luce dell’art.49 della Costituzione secondo cui “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Il richiamo al metodo democratico è posto a riconoscimento e tutela dei diritti dei singoli associati rispetto alla organizzazione e alla formazione delle decisioni dell’associazione-partito cui hanno deciso di aderire. Tanto è vero che le recenti disposizioni in tema di finanziamento pubblico ai partiti, nel ribadire la natura associativa dei partiti politici, hanno dato rilievo all’osservanza del metodo democratico e confermato l’applicabilità ai partiti politici delle norme del codice civile in tema di associazioni non riconosciute. Sono perciò applicabili, come in questo caso. le norme che consentono l’impugnazione delle delibere assembleari delle associazioni e delle fondazioni.

I ricorrenti, Giancarlo Ricci e Antonio Zucaro – assistiti dagli avvocati Anna Falcone e Antonio Pellegrino Lise, del Foro di Roma – sono persone che tutto il PD romano stima e conosce per l’impegno che hanno sempre speso per raddrizzare quelle storture, per denunciarle e combatterle a viso aperto. Se anche nel PD romano non dovesse levarsi nessuna voce in loro sostegno, meritano gratitudine per un’iniziativa concepita per il bene della collettività cittadina e per rilanciare la credibilità, ai minimi storici, della politica romana. Quanto meno di quella democratica e di sinistra.

La prima udienza cautelare è già stata fissata per il 28 settembre p.v.

Penso che valga la pena di approfondire, visto che i giornali (forse per una forma di sudditanza?) non hanno dato quasi nessun rilievo alla notizia , Dal punto di vista politico la vicenda di cui si tratta inizia con la decisione di commissariare il Partito Democratico di Roma, motivata esplicitamente con l’esplodere mediatico dell’inchiesta “Mondo di mezzo”, che ha preso immediatamente il nome di “Mafia Capitale”. Il segretario del PD Roma, Lionello Cosentino, si dimette e con le sue dimissioni l’intera segreteria viene sostituita da un commissario, individuato nella persona di Matteo Orfini, che è da tempo un elemento di spicco del partito romano e svolge anche il ruolo di Presidente nazionale del Partito Democratico. Alla base della decisione del commissariamento vi è la constatazione, del tutto condivisibile, che il Partito romano non solo non è stato capace di sviluppare gli anticorpi necessari a contrastare la degenerazione corruttiva, ma si è dimostrato permeabile al malaffare e ne è stato contaminato ed è quindi necessario condurre una decisa e rigorosa azione di risanamento e di pulizia, di rinnovamento, di razionalizzazione delle risorse organizzative, avviando al contempo un graduale processo di uscita dalla gravissima crisi finanziaria.

L’azione del Commissario Orfini si caratterizza immediatamente per alcune decisioni e alcuni comportamenti:
a) affidare ai Giovani Democratici una indagine condotta per via telefonica sulla regolarità delle iscrizioni al Partito;
b) commissionare a Fabrizio Barca uno studio da condurre con metodi scientifici sullo stato dei Circoli, sul loro funzionamento, sul modo in cui svolgono l’attività;
c) dichiarare una lotta senza quartiere alle correnti e ai signori delle tessere;
d) sostenere l’attività del Sindaco Ignazio Marino e della Giunta comunale;
e) considerare, in palese contrasto con lo Statuto del PD, che con il commissariamento cessano le funzioni della Direzione e della Assemblea cittadina;
f) conseguentemente assumere su di sé tutti i poteri e sospendere di fatto ogni possibilità da parte dei Circoli e degli iscritti di partecipare democraticamente ai processi decisionali del Partito romano.

E’ su questi ultimi due punti che sorgono e si sviluppano contrasti e polemiche, di cui anche i promotori dell’azione giudiziaria sono stati protagonisti. Una efficace azione di risanamento e di pulizia deve essere nutrita di autorevolezza e di trasparenza, deve basarsi sul costante rispetto delle regole e deve ricercare il sostegno e la partecipazione attiva degli iscritti e dei militanti. La lotta alla corruzione e al malaffare non si fa restringendo o annullando gli spazi di democrazia e di partecipazione, ma anzi allargandoli il più possibile, estendendo il controllo dal basso sull’azione degli amministratori e degli eletti, ascoltando chi lavora sul territorio, è a contatto con i cittadini e discute con loro tutti i giorni.

Dicono Ricci e Zucaro: “per queste convinzioni e per sostenere queste tesi abbiamo più volte chiesto di riunire l’Assemblea cittadina, abbiamo raccolto le firme per chiederne la convocazione straordinaria, a norma di Statuto, ma le nostre argomentazioni e le nostre richieste sono state ignorate, a volte derise e fatte oggetto di commenti offensivi“.

Di fatto quindi il massimo organo rappresentativo e di direzione del PD Roma è stato completamente esautorato, e coloro che dagli iscritti hanno avuto il mandato di rappresentarli fino al prossimo congresso non hanno avuto la possibilità di discutere e di esprimersi su nessun aspetto o problema della politica cittadina. E la cosa appare tanto più grave se si  pensa alla situazione complessiva della politica a Roma, ai problemi dell’amministrazione cittadina, a quanto emerso sui rapporti tra la politica e la criminalità organizzata, alle accuse mosse a esponenti del PD eletti nelle istituzioni.

Poi, con il trascorrere delle settimane e dei mesi, si è visto che dell’indagine sulla regolarità del tesseramento condotta dai Giovani Democratici non sono mai stati diffusi e messi a disposizione degli iscritti dati ufficiali, che la lotta alle correnti e ai signori delle tessere non è mai partita, che è stata rifiutata ogni occasione di confronto e che si è soltanto perpetrata una costante e spudorata violazione delle regole statutarie, sulle quali la Commissione nazionale di Garanzia si è più volte espressa senza che il commissario Orfini ne tenesse il minimo conto. Fino ad arrivare allo scorso 11 giugno e all’approvazione da parte della Direzione cittadina del partito di una delibera che determina una radicale trasformazione dell’organizzazione del PD romano. La delibera dispone:

  1. un profondo cambiamento delle modalità di iscrizione alla Federazione di Roma e ai Circoli territoriali;
  2. che, nel territorio cittadino, non possa essere presente più di un Circolo per ogni municipio;
  3. che gli attuali Circoli siano declassati a sezioni del rispettivo Circolo municipale;
  4. anche i Circoli del lavoro, quelli di ambiente e quelli on-line sono declassati a sezioni;
  5. e infine che gli attuali Circoli, trasformati in sezioni, non abbiano più alcuna autonomia patrimoniale, e che quindi scompaia la figura del Tesoriere.

Lascio ancora la parola a Ricci e Zucaro (il neretto è mio):

“Noi sosteniamo che tale delibera è illegittima per diverse ragioni e chiediamo al magistrato di disporne l’annullamento.La nostra richiesta è basata sui seguenti argomenti:
– il Regolamento che disciplina la vita e l’attività della Federazione del Partito Democratico di Roma città afferma che soltanto l’Assemblea è l’organismo competente a discutere e decidere in materia di indirizzo della politica territoriale, di organizzazione e funzionamento degli organi dirigenti, di definizione dei principi essenziali per l’esercizio dell’autonomia da parte dei Circoli territoriali, ambientali e on-line;
– la Direzione invece è l’organo di esecuzione degli indirizzi espressi dall’Assemblea ed è organo di indirizzo delle politiche territoriali; in questo ambito di competenze la Direzione assume le proprie determinazioni attraverso il voto di mozioni, ordini del giorno, risoluzioni politiche, che sono appunto atti di indirizzo, mentre non può approvare delibere di carattere organizzativo;
– sempre nel Regolamento – che per la Federazione di Roma ha rango statutario – si dispone esplicitamente che le eventuali modifiche allo stesso sono approvate dall’Assemblea con il voto favorevole della maggioranza dei due terzi dei componenti.

L’importanza del contenuto della delibera appare con maggior evidenza se si considera che essa interviene pesantemente sull’attività propedeutica allo svolgimento del prossimo congresso, ne condiziona il percorso democratico e la composizione della platea congressuale. Ora la domanda che ragionevolmente ci si pone è la seguente: sapeva il Commissario Orfini di compiere una serie di violazioni delle norme statutarie e regolamentari, e sapeva che le sue proposte avrebbero condizionato lo svolgimento del prossimo congresso cittadino?
La risposta non può che essere affermativa e noi lo dimostriamo con una serie di documenti che supportano la nostra richiesta di annullamento della delibera. D’altra parte, lo stesso commissario Orfini si è posto il problema se è vero, come è vero,  che in data 28 aprile ha inviato una lettera alla commissione nazionale di Garanzia per chiedere: “A fronte del rilievo e della delicatezza delle problematiche esposte riguardo alla platea congressuale che nel 2013 ha, tra l’altro, prodotto l’elezione dell’Assemblea federale della Città di Roma e che è ancora in carica, si domanda alla Commissione nazionale di Garanzia del PD di valutare se sia opportuno sottoporre a quella stessa Assemblea, piuttosto che ad altri organismi, l’approvazione di nuovi regolamenti federali i quali sarebbero anche alla base della campagna di tesseramento 2015 e del prossimo congresso cittadino che porrà fine al commissariamento in atto”.
A tale richiesta la Commissione nazionale di Garanzia rispondeva affermando che lo Statuto “non appare consentire l’attribuzione, anche ai fini del compimento di un singolo atto, di poteri commissariali che esautorino organi politici assembleari”. 
Si può ben dire che il PD Roma è stato formalmente commissariato, ma in realtà è come se Matteo Orfini se ne sia appropriato, confondendo l’affidamento di una delicatissima responsabilità di direzione politica con l’attribuzione di un potere autoritario e indipendente dalle norme statutarie.
A supporto di questa affermazione richiamiamo le parole dello stesso Orfini, il quale in una intervista al Corriere della sera on line ha detto: “Ho convocato per giovedì la Direzione del PD Roma in cui approverò, come previsto dallo statuto, le nuove regole per il tesseramento”. Non ha detto “proporrò”. Non ha detto “metterò in discussione”. No, ha detto “approverò”, una dichiarazione che chiarisce oltre ogni dubbio il carattere personale di una decisione imposta dall’alto.
In conclusione, noi riteniamo che quanto accaduto configuri non soltanto una violazione delle norme statutarie e regolamentari del Partito Democratico, ma anche una violazione del codice civile e della stessa Costituzione.
Ricorrendo in giudizio, quello che chiediamo è proprio il ripristino della legalità all’interno della Federazione di Roma del Partito Democratico, legalità che è stata palesemente e gravemente violata attraverso l’adozione della delibera di cui abbiamo parlato.

Naturalmente sono assolutamente d’accordo con l’iniziativa e posso confortare Ricci e Zucaro: siamo in molti a pensarla come loro e a sostenerli. Quando un’organizzazione non rispetta le regole che si è data e per i suoi vertici vale solo l’arroganza del potere non resta che affidarsi alla giustizia, Come il mugnaio di Potsdam.

Aggiornato il 20.9.15

La regola Orfini.

15 Giu

 

Cinque regole – quelle che Concita De Gregorio illustra oggi – che debbo pensare il commissario Orfini non conoscesse. Altrimenti sarebbe di certo intervenuto anni prima, avrebbe fatto fuoco e fiamme, denunciato il malaffare (come hanno fatto la Madia o l’Alicata, per esempio), si sarebbe indignato, fatto un casino, non è così? Invece, zitto. Non sapeva.
Ecco perché ha fatto un passo in avanti e ha creato una  regola tutta sua: ignorare lo Statuto nazionale, il Regolamento del Pd Roma, la Commissione di garanzia, la partecipazione di iscritti ed elettori, la trasparenza del bilancio (oops, del debito astronomico) e quindi smantellare la rete dei circoli, buoni o cattivi non importa, fregandosene di iscritti ed elettori. Fare piazza pulita insomma. Tabula rasa. 
Evviva.

Concita PD 1

Concita PD 2

 

 

Lettera aperta (e un po’ provocatoria) a Matteo Orfini

7 Dic

Caro Matteo,

anche se non ci conosciamo, sento il dovere di avvertirti che nel caso prendessi l’insana decisione di proseguire nella lettura di questa mia lo farai a tuo rischio e pericolo, perché non ho nessuna intenzione di essere diplomatico e conciliante. E, tanto per farti capire di che pasta sono, mi piace definirmi un vecchio cane sciolto e per mentalità e personalità assai poco incline a legami, salvo che ai miei ideali e ai miei principi.

orfini-matteo
Questa lettera si divide in due parti: cosa non mi convince dell’incarico che ti è stato affidato e di cosa puoi fare per il Pd Roma. Non sono in contraddizione tra loro: se avrai pazienza vedrai perché.
Il disastro della Federazione di Roma del Pd non è un fatto di ieri e dubito che non ne fossi al corrente: tuttavia non mi risulta che tu, esponente romano di spicco, abbia mai fatto nulla per intervenire o suggerire rimedi e pertanto dovrei avere qualche dubbio sul fatto che oggi sia in grado di rimetterlo sui binari. Perdipiù, arrivi come un proconsole dotato di tutti i poteri e lo dimostri subito azzerando Direzione e Assemblea, non rispettando così lo Statuto. Cito un amico autorevole e stimato: “cominciare un’avventura così delicata e importante per il futuro del partito romano infrangendo le regole che ci governano è il modo peggiore e il più dannoso. Si perde credibilità sin dal primo giorno, e si fa un altro passo verso il baratro”.

Quali garanzie puoi dare, peraltro, a un semplice iscritto come me che da anni si mangia il fegato dinanzi alle mille porcherie registrate, note e arcinote, che le amicizie di anni non possano influire sulle tue prossime decisioni? Personalmente avrei infatti preferito un commissario australiano o eschimese, così, per capirci. Aggiungo infine che, pur salutando positivamente il fatto che Renzi ti abbia dato carta bianca per sanare la situazione perché realmente preoccupato, mi fa pensare la considerazione che non gli dispiaccia per nulla andare a occupare una’area importante dove finora non era rappresentato adeguatamente, cogliendo così due piccioni con una fava (e dove il secondo volatile assomiglia per dimensioni più ad un tacchino).

Insomma, non mi ti presenti bene. Ammetto però con tutta sincerità che forse sono prevenuto perché gli spettacoli e gli scempi cui sono stato costretto ad assistere in questi anni concorrono a farmi sospettare di tutto e di tutti fino a indurmi a pensare ad una metastasi nel partito romano così estesa e irrecuperabile che solo negli ultimi giorni mi sono deciso a rinnovare la tessera, tuttavia molto riluttante e forse per l’ultima volta.

Questa era la prima parte. Vengo ora alla seconda. Nel mio inguaribile ottimismo, voglio credere che sia ancora possibile intervenire per rimediare e suggerirti qualche mossa che potrebbe contribuirvi.
La prima considerazione è sui circoli e sugli iscritti. Si impone un severo censimento dei primi: quelli di comodo, quelli personali dei capobastone, vanno eliminati senza esitazioni. Quanto agli attuali iscritti, mi chiedo se non convenga azzerare anche il tesseramento e riaprirlo immediatamente dopo con altre regole: i nuovi vengano accettati solo se presentati da due iscritti con un’anzianità di almeno tre anni e i rinnovi siano subordinati all’approvazione de Direttivo del circolo.

Anche se ti sembrerò ovvio e pedante, ti invito a sceglierti i collaboratori con criteri che non abbiano nulla a che fare con parametri alla moda o di convenienza: meno amici e più giovani nella testa. Non è solo l’età che identifica il ‘nuovo’: occorre drammaticamente una rivoluzione dei principi e nuove prassi che irrobustiscano e facciano evolvere la coerenza. Non ci servono i politici di mestiere, ma i politici per passione e per provata competenza e meno che mai un semplice maquillage: occorre ridare vitalità, motivazione, entusiasmo, consapevolezza. Escludi quindi mogli, mariti, nipoti, cugini, amici di potenti, anche di minor rango, dai ruoli futuri; sospendi i parlamentari collusi e anche quelli sfiorati dagli scandali e lo stesso con chi rivesta una qualsiasi carica. Metti sotto attento esame chi ha osteggiato il sindaco Marino fino a esigerne l’estromissione o chiedeva senza riflettere (o riflettendo troppo) nuove elezioni. Tagliare con decisione tutti i tentacoli con il passato non è solo un obbligo morale ma soprattutto un atto necessario per recuperare fiducia e credibilità nella base.

La quale, posso testimoniarlo in quanto ne faccio orgogliosamente parte, non è né rassegnata né indifferente, pur ferita, amareggiata e delusa da quel che è sotto gli occhi di tutti e da anni di indifferenza del vertice che hanno creato una frattura che sarebbe da illusi non considerare. In sintesi, privilegia finalmente la lealtà molto più che la fedeltà, che come sai può anche essere fittizia, se non comprata. Ascolta la base, i militanti: sono loro le tue antenne sul territorio, i tuoi riferimenti con l’elettorato; consultali regolarmente, segui democraticamente e per quanto possibile quel che viene suggerito o richiesto. E se fosse qualcosa di irrealizzabile spiegane ampiamente i motivi.

Due le parole d’ordine fondamentali: partecipazione e legalità. Della prima ho appena detto. Circa la seconda non credo tu abbia bisogno di suggerimenti: è ormai l’esigenza vitale, l’esiguo diaframma tra la politica e il suo rifiuto, l’assenteismo. La questione morale, come la definì Berlinguer nel 1981, è oramai lo spartiacque tra la sopravvivenza e il futuro. Tutto, ma proprio tutto, del partito dev’essere reso pubblico: dal disastroso bilancio alle sedute della Direzione.

E quindi l’Assemblea e la Commissione di Garanzia. Spero vivamente (ma non ne ho notizia) che tu abbia azzerato anche quest’ultima, visto che non si è mai scandalizzata più di tanto per quello che è avvenuto sotto i suoi occhi. Mi piace pensare quella nuova composta da tanti Torquemada, ma forse esagero. Però la strada dev’essere quella: più intelligente, ma intransigente. Quanto all’Assemblea, penso ad una funzione provvisoria costituita dai segretari di circolo (al netto di quelli eliminati) accompagnati da due/tre membri del direttivo eletti tra loro stessi, più i Presidenti di Municipio e nessun altro. Diciamo che fatta pulizia nei circoli ne rimangano 120 cui si aggiungano i 240 risultanti dai direttivi e i 15 Presidenti: sono 385 persone fidate e sinceramente dedite al partito con cui lavorare, eleggere la Direzione e la Commissione di garanzia.

Ecco, avrei ancora dell’altro ma rischio di diventare prolisso per cui concludo. Non sono un vecchio saggio, non ho ambizioni di carriera e vorrei solo che il mio partito ritrovasse la sua strada. Quello che vogliono migliaia di militanti come me che credo di interpretare e che non so per quanto ancora siano disposti a tollerare. Ti aspetta un compito duro e difficile, caro Matteo, forse senza appelli.
E quindi, sinceramente in bocca al lupo e buon lavoro.

 

Piero Filotico
Direttivo del Circolo Pd Ponte Milvio e socio fondatore

p.s. E il pd Lazio? Quando lo commissariamo?

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