Conoscerete la storia del povero mugnaio di Potsdam ai tempi di Federico il Grande di Prussia. Angariato da potenti e giudici felloni non si arrende, ha fiducia nella giustizia (“ci sarà pure un giudice a Berlino” dice per rincuorarsi) e alla fine trova un magistrato integro che riconosce le sue ragioni e la verità trionfa.
Bene, mi è servita per parlare di una faccenda che riguarda il Pd romano e che stranamente (è ironia, eh) i giornali non hanno minimamente approfondito. Ecco, il parallelo non è poi tanto fuori luogo.
Alcuni militanti del PD hanno citato in giudizio la Federazione romana del Partito Democratico, chiedendo l’annullamento della delibera con cui, a seguito del Commissariamento, la Direzione del PD romano, su impulso del commissario Orfini, ha “riformato” l’organizzazione e la struttura del partito.
Non si tratta di una questione riguardante esclusivamente la vita interna del PD romano. La democrazia interna nei partiti, e in particolare in quello che detiene le leve del potere politico in questo momento, è questione che riguarda la democrazia in quanto tale, e perciò tutti i cittadini, indipendentemente dalla collocazione politica.
I ricorrenti muovono dalla convinzione che le soluzioni che il commissario Orfini sta mettendo in atto non solo non sanano le distorsioni e le aberrazioni che hanno aperto la strada a quei fenomeni, ma le stanno amplificando. Se il PD romano è diventato “brutto e cattivo”, in molte sue parti, una delle cause principali è che la partecipazione era stata soffocata e sostituita dalla logica delle filiere di costruzione del consenso che, al di là delle collusioni che non sempre si verificavano con la criminalità mafiosa, ne riproducevano le leggi di funzionamento (scambio di favori clientelari, asservimento personale, creazione di reti occulte o opache, sottratte alle regole democratiche di rapporto tra soci di una medesima organizzazione).
Chiudere i circoli, lasciandone uno ogni 200.000 abitanti (per Statuto dovrebbero essere almeno il quadruplo), espropriare e centralizzare le risorse e le responsabilità verso terzi rispondono esattamente alla logica che ha dato origine a Mafia Capitale, rischiando di portare il fenomeno alle estreme conseguenze. Con l’aggravante che le delibere adottate intervengono pesantemente sullo svolgimento del futuro congresso, condizionandone il percorso democratico e la composizione della platea congressuale. Tutto ciò, nonostante il commissario fosse stato già ammonito in precedenza dalla Commissione Nazionale di Garanzia in merito al fatto che lo Statuto “non appare consentire l’attribuzione, anche ai fini del compimento di un singolo atto, di poteri commissariali che esautorino organi politici assembleari”.
Da ultimo, non in ordine di importanza, l’iniziativa giudiziaria merita attenzione alla luce dell’art.49 della Costituzione secondo cui “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Il richiamo al metodo democratico è posto a riconoscimento e tutela dei diritti dei singoli associati rispetto alla organizzazione e alla formazione delle decisioni dell’associazione-partito cui hanno deciso di aderire. Tanto è vero che le recenti disposizioni in tema di finanziamento pubblico ai partiti, nel ribadire la natura associativa dei partiti politici, hanno dato rilievo all’osservanza del metodo democratico e confermato l’applicabilità ai partiti politici delle norme del codice civile in tema di associazioni non riconosciute. Sono perciò applicabili, come in questo caso. le norme che consentono l’impugnazione delle delibere assembleari delle associazioni e delle fondazioni.
I ricorrenti, Giancarlo Ricci e Antonio Zucaro – assistiti dagli avvocati Anna Falcone e Antonio Pellegrino Lise, del Foro di Roma – sono persone che tutto il PD romano stima e conosce per l’impegno che hanno sempre speso per raddrizzare quelle storture, per denunciarle e combatterle a viso aperto. Se anche nel PD romano non dovesse levarsi nessuna voce in loro sostegno, meritano gratitudine per un’iniziativa concepita per il bene della collettività cittadina e per rilanciare la credibilità, ai minimi storici, della politica romana. Quanto meno di quella democratica e di sinistra.
La prima udienza cautelare è già stata fissata per il 28 settembre p.v.
Penso che valga la pena di approfondire, visto che i giornali (forse per una forma di sudditanza?) non hanno dato quasi nessun rilievo alla notizia , Dal punto di vista politico la vicenda di cui si tratta inizia con la decisione di commissariare il Partito Democratico di Roma, motivata esplicitamente con l’esplodere mediatico dell’inchiesta “Mondo di mezzo”, che ha preso immediatamente il nome di “Mafia Capitale”. Il segretario del PD Roma, Lionello Cosentino, si dimette e con le sue dimissioni l’intera segreteria viene sostituita da un commissario, individuato nella persona di Matteo Orfini, che è da tempo un elemento di spicco del partito romano e svolge anche il ruolo di Presidente nazionale del Partito Democratico. Alla base della decisione del commissariamento vi è la constatazione, del tutto condivisibile, che il Partito romano non solo non è stato capace di sviluppare gli anticorpi necessari a contrastare la degenerazione corruttiva, ma si è dimostrato permeabile al malaffare e ne è stato contaminato ed è quindi necessario condurre una decisa e rigorosa azione di risanamento e di pulizia, di rinnovamento, di razionalizzazione delle risorse organizzative, avviando al contempo un graduale processo di uscita dalla gravissima crisi finanziaria.
L’azione del Commissario Orfini si caratterizza immediatamente per alcune decisioni e alcuni comportamenti:
a) affidare ai Giovani Democratici una indagine condotta per via telefonica sulla regolarità delle iscrizioni al Partito;
b) commissionare a Fabrizio Barca uno studio da condurre con metodi scientifici sullo stato dei Circoli, sul loro funzionamento, sul modo in cui svolgono l’attività;
c) dichiarare una lotta senza quartiere alle correnti e ai signori delle tessere;
d) sostenere l’attività del Sindaco Ignazio Marino e della Giunta comunale;
e) considerare, in palese contrasto con lo Statuto del PD, che con il commissariamento cessano le funzioni della Direzione e della Assemblea cittadina;
f) conseguentemente assumere su di sé tutti i poteri e sospendere di fatto ogni possibilità da parte dei Circoli e degli iscritti di partecipare democraticamente ai processi decisionali del Partito romano.
E’ su questi ultimi due punti che sorgono e si sviluppano contrasti e polemiche, di cui anche i promotori dell’azione giudiziaria sono stati protagonisti. Una efficace azione di risanamento e di pulizia deve essere nutrita di autorevolezza e di trasparenza, deve basarsi sul costante rispetto delle regole e deve ricercare il sostegno e la partecipazione attiva degli iscritti e dei militanti. La lotta alla corruzione e al malaffare non si fa restringendo o annullando gli spazi di democrazia e di partecipazione, ma anzi allargandoli il più possibile, estendendo il controllo dal basso sull’azione degli amministratori e degli eletti, ascoltando chi lavora sul territorio, è a contatto con i cittadini e discute con loro tutti i giorni.
Dicono Ricci e Zucaro: “per queste convinzioni e per sostenere queste tesi abbiamo più volte chiesto di riunire l’Assemblea cittadina, abbiamo raccolto le firme per chiederne la convocazione straordinaria, a norma di Statuto, ma le nostre argomentazioni e le nostre richieste sono state ignorate, a volte derise e fatte oggetto di commenti offensivi“.
Di fatto quindi il massimo organo rappresentativo e di direzione del PD Roma è stato completamente esautorato, e coloro che dagli iscritti hanno avuto il mandato di rappresentarli fino al prossimo congresso non hanno avuto la possibilità di discutere e di esprimersi su nessun aspetto o problema della politica cittadina. E la cosa appare tanto più grave se si pensa alla situazione complessiva della politica a Roma, ai problemi dell’amministrazione cittadina, a quanto emerso sui rapporti tra la politica e la criminalità organizzata, alle accuse mosse a esponenti del PD eletti nelle istituzioni.
Poi, con il trascorrere delle settimane e dei mesi, si è visto che dell’indagine sulla regolarità del tesseramento condotta dai Giovani Democratici non sono mai stati diffusi e messi a disposizione degli iscritti dati ufficiali, che la lotta alle correnti e ai signori delle tessere non è mai partita, che è stata rifiutata ogni occasione di confronto e che si è soltanto perpetrata una costante e spudorata violazione delle regole statutarie, sulle quali la Commissione nazionale di Garanzia si è più volte espressa senza che il commissario Orfini ne tenesse il minimo conto. Fino ad arrivare allo scorso 11 giugno e all’approvazione da parte della Direzione cittadina del partito di una delibera che determina una radicale trasformazione dell’organizzazione del PD romano. La delibera dispone:
- un profondo cambiamento delle modalità di iscrizione alla Federazione di Roma e ai Circoli territoriali;
- che, nel territorio cittadino, non possa essere presente più di un Circolo per ogni municipio;
- che gli attuali Circoli siano declassati a sezioni del rispettivo Circolo municipale;
- anche i Circoli del lavoro, quelli di ambiente e quelli on-line sono declassati a sezioni;
- e infine che gli attuali Circoli, trasformati in sezioni, non abbiano più alcuna autonomia patrimoniale, e che quindi scompaia la figura del Tesoriere.
Lascio ancora la parola a Ricci e Zucaro (il neretto è mio):
“Noi sosteniamo che tale delibera è illegittima per diverse ragioni e chiediamo al magistrato di disporne l’annullamento.La nostra richiesta è basata sui seguenti argomenti:
– il Regolamento che disciplina la vita e l’attività della Federazione del Partito Democratico di Roma città afferma che soltanto l’Assemblea è l’organismo competente a discutere e decidere in materia di indirizzo della politica territoriale, di organizzazione e funzionamento degli organi dirigenti, di definizione dei principi essenziali per l’esercizio dell’autonomia da parte dei Circoli territoriali, ambientali e on-line;
– la Direzione invece è l’organo di esecuzione degli indirizzi espressi dall’Assemblea ed è organo di indirizzo delle politiche territoriali; in questo ambito di competenze la Direzione assume le proprie determinazioni attraverso il voto di mozioni, ordini del giorno, risoluzioni politiche, che sono appunto atti di indirizzo, mentre non può approvare delibere di carattere organizzativo;
– sempre nel Regolamento – che per la Federazione di Roma ha rango statutario – si dispone esplicitamente che le eventuali modifiche allo stesso sono approvate dall’Assemblea con il voto favorevole della maggioranza dei due terzi dei componenti.
L’importanza del contenuto della delibera appare con maggior evidenza se si considera che essa interviene pesantemente sull’attività propedeutica allo svolgimento del prossimo congresso, ne condiziona il percorso democratico e la composizione della platea congressuale. Ora la domanda che ragionevolmente ci si pone è la seguente: sapeva il Commissario Orfini di compiere una serie di violazioni delle norme statutarie e regolamentari, e sapeva che le sue proposte avrebbero condizionato lo svolgimento del prossimo congresso cittadino?
La risposta non può che essere affermativa e noi lo dimostriamo con una serie di documenti che supportano la nostra richiesta di annullamento della delibera. D’altra parte, lo stesso commissario Orfini si è posto il problema se è vero, come è vero, che in data 28 aprile ha inviato una lettera alla commissione nazionale di Garanzia per chiedere: “A fronte del rilievo e della delicatezza delle problematiche esposte riguardo alla platea congressuale che nel 2013 ha, tra l’altro, prodotto l’elezione dell’Assemblea federale della Città di Roma e che è ancora in carica, si domanda alla Commissione nazionale di Garanzia del PD di valutare se sia opportuno sottoporre a quella stessa Assemblea, piuttosto che ad altri organismi, l’approvazione di nuovi regolamenti federali i quali sarebbero anche alla base della campagna di tesseramento 2015 e del prossimo congresso cittadino che porrà fine al commissariamento in atto”.
A tale richiesta la Commissione nazionale di Garanzia rispondeva affermando che lo Statuto “non appare consentire l’attribuzione, anche ai fini del compimento di un singolo atto, di poteri commissariali che esautorino organi politici assembleari”.
Si può ben dire che il PD Roma è stato formalmente commissariato, ma in realtà è come se Matteo Orfini se ne sia appropriato, confondendo l’affidamento di una delicatissima responsabilità di direzione politica con l’attribuzione di un potere autoritario e indipendente dalle norme statutarie.
A supporto di questa affermazione richiamiamo le parole dello stesso Orfini, il quale in una intervista al Corriere della sera on line ha detto: “Ho convocato per giovedì la Direzione del PD Roma in cui approverò, come previsto dallo statuto, le nuove regole per il tesseramento”. Non ha detto “proporrò”. Non ha detto “metterò in discussione”. No, ha detto “approverò”, una dichiarazione che chiarisce oltre ogni dubbio il carattere personale di una decisione imposta dall’alto.
In conclusione, noi riteniamo che quanto accaduto configuri non soltanto una violazione delle norme statutarie e regolamentari del Partito Democratico, ma anche una violazione del codice civile e della stessa Costituzione.
Ricorrendo in giudizio, quello che chiediamo è proprio il ripristino della legalità all’interno della Federazione di Roma del Partito Democratico, legalità che è stata palesemente e gravemente violata attraverso l’adozione della delibera di cui abbiamo parlato.
Naturalmente sono assolutamente d’accordo con l’iniziativa e posso confortare Ricci e Zucaro: siamo in molti a pensarla come loro e a sostenerli. Quando un’organizzazione non rispetta le regole che si è data e per i suoi vertici vale solo l’arroganza del potere non resta che affidarsi alla giustizia, Come il mugnaio di Potsdam.
Aggiornato il 20.9.15
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