Archivio | agosto, 2020

A chi mi chiede perché voterò NO al referendum

19 Ago

Semplice: perché non c’è uno solo dei motivi dei sostenitori del sì che – a esser buoni – sia convincente.
Spiego perché, ma prima però devo fare una premessa.

Il 15 luglio 1946 l’Assemblea Costituente che reggeva le sorti dell’Italia istituì la Commissione per la Costituzione composta di 75 membri. C’erano le menti più brillanti della cultura e della politica italiana che operarono suddivisi in tre sottocommissioni (diritti e doveri dei cittadini, organizzazione dello Stato e rapporti economici e sociali), mentre un comitato di redazione fu incaricato di coordinare I loro lavori. Le discussioni furono appassionate e competenti: ognuno dei partecipanti era consapevole del momento storico, tutti erano spinti dal fervente e disinteressato desiderio di ricostruire l’Italia e darle una Carta che avrebbe consentito al nostro Paese di recuperare la dignità smarrita sotto il fascismo e ripresentarsi al mondo.

La Costituzione, legge fondamentale dello Stato, fu il frutto di una straordinaria opportunità che vide tutte le forze politiche collaborare generosamente. È una macchina ben disegnata, solida, ma allo stesso tempo delicata: non si può pensare di sostituirne impunemente un pezzo senza considerare i contraccolpi che l’intera struttura riceverebbe. Come in una macchina, non puoi sottrarre una ruota dentata sostituendola con una più economica biella senza conseguenze nel breve o nel lungo periodo. Basti pensare alla sciagurata riforma del Titolo V attuata troppo frettolosamente dal centro-sinistra nel 2001.
La nostra Costituzione viene generalmente  definita democratica e programmatica, per la rilevanza data alla sovranità popolare e perché offre un programma che dovrà essere reso effettivo dal Parlamento e dalle forze politiche. Va sempre ricordato, infatti, che la nostra è una repubblica parlamentare ispirata alla democrazia rappresentativa. È il Parlamento che disegna e definisce i provvedimenti legislativi, affidandone l’attuazione al governo. Ecco perché il mito della ‘governabilità’ nato in questi ultimi decenni stride con l’impianto costituzionale.

Perché, invece, molti la ritengono inadeguata? A mio avviso c’è in questo un inganno. Sono i principali attori della vita politica, i partiti, che si dimostrano inadeguati ogni giorno di più. Rileggiamo l’art. 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”  Ma i partiti, di proprietà e non, si sono trasformati in macchine di potere e basta ricordare come fu gestita la questione del finanziamento – bocciato dal referendum e resuscitato con I “rimborsi elettorali” – o la nefanda legge elettorale, che contribuisce in gran parte ad affollare il Parlamento di figure di assai scarsa qualità, per preparazione e solidità morale (salvo le scarse quanto lodevoli eccezioni): le liste dei candidati vengono predisposte in funzione della loro fedeltà, non dell’esperienza e della competenza sottraendo al popolo – sovrano solo a parole – la facoltà di scegliere i propri rappresentanti.

E ora torno al punto, iI minacciato taglio dei parlamentari. In sintesi, a favore del taglio si adducono tre principali argomenti.
1. La riduzione dei costi della politica.
2. Lo snellimento dell’intero processo legislativo.
3. Equiparare il numero dei parlamentari a quello degli altri Paesi.


Sul primo punto il M5s si è spinto a dichiarare addirittura un miliardo di risparmio, salvo poi rimangiarselo chiarendo che occorreranno dieci anni per ottenerlo, trattandosi di 500 milioni a legislatura. Vabbe’.

Sta di fatto che qualcuno più affidabile come L’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli ha ricondotto il risparmio a 285 milioni nei cinque anni, facendo notare che “il vero risparmio per lo Stato deve essere calcolato al netto e non al lordo delle imposte e dei contributi pagati dai parlamentari”. Solo un piccolo particolare, eh?
Resta tuttavia una domanda: ma non sarebbe stato più semplice (e redditizio per le casse dello Stato, visto che si ha tanto a cuore il risparmio) ridurre di un terzo indennità e rimborsi spese dei parlamentari? Tanto per la cronaca, si tratta mediamente di 13-14.000 euro al mese al netto delle tasse.

Sul secondo punto verrebbe da sorridere pensando alle menti semplici che lo hanno faticosamente elaborato, se non fosse che nel retroterra di questo concetto dev’essere salda l’idea che la discussione su un provvedimento legislativo o, ancora peggio, il fruttuoso e democratico confronto delle idee sia tempo perso. Quindi obiezioni, osservazioni, critiche, emendamenti sono da ridurre il più possibile. Il Parlamento deve diventare, contraddicendo l’impianto fondativo dei costituenti, un centro decisionale cioè un luogo dove si approva bovinamente quanto deciso altrove. Questa è una vecchia idea di Berlusconi che aveva addirittura proposto di far votare solo i capigruppo delle due Camere, ma l’ipotesi ebbe vita breve. Il giovane Casaleggio l’ha ripescata e fatta propria, spingendosi pericolosamente ben più avanti:“In futuro il Parlamento non servirà più”. Il taglio su cui voteremo dovrebbe quindi essere il primo passo in questa direzione?

Quanto al terzo punto si potrebbe rispondere con una semplice domanda: ma cosa ce ne frega di come sono strutturati I Parlamenti degli altri Paesi, con altre culture, altre storie alle spalle, altre Costituzioni? Per quanto interessante, non sarebbe però una risposta adeguata per cui rinvio al Dossier A.C. 1585-B (Riduzione del numero dei Parlamentari – Elementi per l’esame in Assemblea) predisposto dagli Uffici studi di Camera e Senato. Riporto qui solo due tabelle, relative alla rappresentanza dei parlamentari in rapporto alla popolazione. Per fare solo un esempio, oggi in Lombardia un senatore  rappresenta 198.043 cittadini: con il taglio prospettato diventerebbero 313.097. Nella circoscrizione Lombardia 1 un deputato rappresenta attualmente 95.147 cittadini: dopo il taglio passerebbero a 152.235.

 

 

 

 

 

 

 

 


Quindi un Parlamento sempre più distaccato dal popolo, sempre più torre d’avorio dove i nostri pseudo-rappresentanti saranno sempre più ostaggio dei vertici dei partiti che li hanno nominati in funzione della loro fedeltà (o dovrei dire servilismo? Ricordatevi il voto per Ruby nipote di Mubarak) per sottoporli poi alla beffa del nostro voto: la sovranità popolare si esprime solo nella scelta del partito, non in quella di chi ci dovrebbe rappresentare.

Infine. Nessuno si è ancora peritato di rispondere come verrà gestita la questione delle Commissioni delle due Camere, di come e quando adeguarne i Regolamenti interni, di come verranno ridisegnate le circoscrizioni e i collegi, quando – soprattutto – ci verrà data una legge elettorale degna di questo nome e rispettosa della Costituzione. Se il NO non dovesse sfortunatamente prevalere ci ritroveremo un Parlamento intrappolato in un pasticcio inestricabile.

E ora, votate NO.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un commento di Merlo

15 Ago

Cinque anni fa, press’a poco di questi tempi, leggevo stupefatto – come tanti romani – del concentrico attacco mediatico al sindaco Marino. Al coro si aggiunse, a un certo punto, anche uno stimato commentatore come Francesco Merlo, che su Repubblica non esitò a definirlo ‘fragile‘, ‘tontolone’, ‘inadeguato‘ e altro ancora in una serie di articoli che grondavano gratuite quanto inspiegabili acidità. Una volta persi la pazienza: fu quando definii Merlo “il merlo roditore“, riferendomi all’ennesimo intervento dell’illustre firma in quel caso clamorosamente errato .

Oggi Merlo ci ha riprovato, accostando Marino ad Alemanno e alla Raggi. Fatte le dovute proporzioni, mi è venuta in mente la recente proposta approvata dal consiglio comunale di Terracina di dedicare una piazza a Berlinguer e Almirante.
Per carità, c’è ancora libertà d’opinione in Italia e Merlo può dire tutte le sciocchezze che vuole. Sono e restano commenti di merlo. 

 

 

 

 

 

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