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Zagrebelsky: una lezione di stile e di saggezza

1 Ott

Ieri sera ho avuto l’occasione di ascoltare e riflettere, ammirando la pazienza, la sapienza e soprattutto lo stile della lezione impartita dal vecchio professore, arrivando quasi a commuovermi quando ha ricordato con passione cosa è una Costituzione, quanto il suo fine sia unire e non dividere, quanto sia vitale per una nazione che essa rappresenti l’unità e la coerenza delle leggi, prima fra tutte quella elettorale. Mi sono piaciuti il tono pacato, l’esposizione serena, l’atteggiamento dialogante.

Peccato quindi che il suo interlocutore, chiuso nella sua smisurata autoammirazione, di quella lezione non abbia colto quasi nulla. Solo quando il professore gli ha fatto notare la straordinaria rivoluzione culturale compresa nella differenza tra  “vincere le elezioni” e “assumere la responsabilità di guidare il Paese” ho notato in lui  una certa perplessità, ma non saprei dire se fosse incredulità, supponenza o derisione. Per costui la priorità è data dal fare in fretta le leggi, non dal farle bene, evitare i ping pong e le lungaggini delle procedure, non il rispetto delle norme e dei diritti di chi non la pensa come lui. In questo mi ha ricordato un suo sciagurato predecessore che ce l’aveva con quello che definiva “il teatrino della politica”, in quanto lui (il predecessore) era per “la politica del fare”.

La sicumera e l’evidente fastidio con cui il più giovane rispondeva all’accorato appello del professore alla ragionevolezza mi hanno dato la misura del baratro in cui potrebbe precipitarci lo sconvolgimento della Carta costituzionale – unito alla nuova legge elettorale – proposto dal governo contro ogni regola democratica e fatto approvare da un docile parlamento composto in maggioranza da fedeli e disciplinati. Ma tanto più costui mi ha sorpreso perché ancora una volta ha fatto ricorso a a frasi fatte e atteggiamenti, a quel modo di porsi che in televisione privilegia l’aspetto esteriore delle discussioni e tende a compiacere i propri tifosi e simpatizzanti, nulla aggiungendo alla discussione, o meglio, alla visione. Che resta quindi miope, di breve durata: quando il vecchio professore ha ammonito sulla possibilità che la riforma accompagnata dalla legge elettorale possa un giorno favorire forze politiche che non hanno in gran conto la democrazia, l’interlocutore ha evitato di replicare, nonostante avesse dichiarato con enfasi di guardare al futuro. Ma forse si riferiva solo al proprio.

Preferirei una democrazia in cui non vige potere assoluto della maggioranza, ma il confronto quotidiano” ha detto a un certo punto il professore. Ecco, la chiave di volta sta tutta qui, secondo me. In un atteggiamento aperto, nel rispetto di chi non la pensa come te, nell’essere pronti ad ammettere errori e perfino ad accogliere proposte migliori delle proprie, ancorché provengano dagli avversari. Comincio invece a temere che dall’altra parte tutto si riduca tristemente a qualcosa di simile alla storica e ben nota affermazione del marchese del Grillo.


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l’Italicum è fallito, avanti un altro

25 Giu

Alla fine, dopo parecchie letture e approfondimenti, l’avevo capito perfino io che questo Italicum o Porcellinum faceva schifo. Non sto a enumerare le critiche: ricorderò solo – perché mi sono piaciuti molto – un eccellente articolo del prof. Ignazi e un delizioso pezzo di fantapolitica di Daniela Ranieri su Il Fatto.

 

Su Repubblica oggi Stefano Folli dichiara che “l’Italicum è in archivio“.  Questa cosiddetta legge elettorale, per cui si sono sprecati i complimenti e i peana della solita corte di reggicoda, nani, ballerine, sicofanti e gli immancabili giornalisti, ha sfortunatamente (si fa per dire: l’autore era stato avvertito)  incontrato proprio quelle condizioni di rischio – ampiamente prevedibili e previste – che la rendono inapplicabile, a meno che l’attuale partito di maggioranza non voglia suicidarsi.
Quindi siamo daccapo. E vabbe’, chissà che chi di dovere non abbia imparato la lezione. Ma ci spero poco, la spocchia uno ce l’ha di natura.
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IL PUNTO  di Stefano Folli

Cattura 1

 

IL SALVATAGGIO alla Camera del sottosegretario Castiglione (Area Popolare), con i voti del Pd, era previsto. Non è questione di “garantismo”, bensì di convenienza politica: Renzi non può permettersi oggi un’incrinatura con Alfano e il suo partito. Perciò il centrista Castiglione viene difeso dal presidente del Consiglio in base alla stessa logica con cui il sindaco di Roma, Ignazio Marino, viene invece condannato. Nel primo caso c’è da tenere unita una maggioranza che risente dell’indebolimento del premier. Nel secondo si tratta di disfarsi di un personaggio diventato scomodo nel marasma romano, pur non essendo egli indagato, così da impedire per riflesso l’ulteriore logoramento del leader. In entrambe le vicende pesa la ragion politica, ma gli esiti sono opposti. Un paradosso abbastanza tipico.

Sul piano simbolico, Castiglione e Marino dicono molto delle difficoltà di Renzi e della necessità per lui di non farsi mettere all’angolo. Ma si tratta pur sempre di due incidenti di percorso, nessuno risolutivo per le ambizioni del premier. C’è dell’altro, ci sono temi a cui si legano i futuri equilibri parlamentari e quindi l’avvenire del “renzismo” come esperimento destinato a durare.

Appare chiaro infatti che la legge elettorale – il cosiddetto Italicum – è già in archivio. Doveva cambiare l’Italia, imponendo il sistema bipartitico, e invece è a un passo dall’essere modificata in modo radicale. Renzi prevedeva che presto sarebbe stata copiata in altri Paesi, ma a quanto pare non accadrà. Anzi, persino noi italiani eviteremo di metterla alla prova almeno una volta. Eppure la riforma elettorale è stata quella su cui il premier ha insistito di più. Si è arrivati a mettere la fiducia sul testo in un clima di notevole tensione dopo che la coperta della maggioranza, all’inizio trasversale, si era via via ristretta. Tuttavia qualunque ritardo sembrava intollerabile di fronte all’esigenza di conoscere una maggioranza certa la sera stessa dello scrutinio.

Alla fine l’Italicum ha visto la luce, pur fra mille polemiche, ma si è capito quasi subito che era il vestito sbagliato per l’Italia di oggi. Per meglio dire, i risultati delle regionali e soprattutto delle comunali hanno creato parecchia inquietudine a Palazzo Chigi e in altri palazzi. Si è compreso che una convergenza elettorale anti- governo e anti-sistema, Cinque Stelle ma non solo, è sulla carta in grado di contendere la vittoria al Pd e in primo luogo a Renzi. Per la buona ragione che per il candidato del Pd è più difficile prendere voti al secondo turno di quanto non lo sia per il suo antagonista, figlio di una sinergia di fatto fra grillini, leghisti e altri nemici dell'”establishment”.

A questo punto tutti vedono i limiti dell’Italicum, A cominciare dal suo cesellatore, il politologo D’Alimonte, che sul “Sole 24 Ore” ammette che il premio di maggioranza assegnato alla coalizione, anziché alla lista, è “lo scambio possibile per riaprire la partita”. In realtà è quello che vuole un ampio spettro di forze parlamentari: dal centrodestra berlusconiano alla minoranza del Pd ai centristi. Gli stessi che intendono correggere la riforma costituzionale del Senato. E a certe condizioni anche Salvini non avrebbe obiezioni, perché una nuova legge elettorale lo spingerebbe a cercare alleati, isolando invece il partito di Grillo. Proprio i Cinque Stelle sarebbero i più danneggiati, ma dovevano aspettarselo. L’Italicum era ritagliato sulle esigenze di partiti che oggi si accorgono di quanto sia cambiato il quadro e di come sia rischioso lasciare campo libero al M5S. In Francia, oltre cinquant’anni fa, il generale De Gaulle aveva costruito un sistema presidenziale che poggiava sul modello elettorale a doppio turno di collegio. Servì a favorire l’alternanza, da Mitterrand in poi. In Italia si è seguita un’altra strada e l’Italicum è fallito, fra paure e angosce più o meno giustificate, prima ancora di cominciare.

 

Italicum: dal Porcellum al Porcellinum

4 Mag

Italicum: ovviamente Ignazi lo dice molto meglio di me, ma la sostanza è la stessa. Fa schifo.

Italicum IGNAZI

Un’ottima legge elettorale.

3 Mag

Non pretendiamo troppo: basta che sia una buona  legge elettorale. Tutto quello che ci serve e che  si chiede. Non la migliore e neppure una ottima legge: ripeto, solo una buona legge, per cui occorrono competenza, riflessione, confronto e soprattutto tempo.  Meglio una cattiva legge elettorale che nessuna legge, sento invece affermare gravemente da più parti. Confesso che non riesco ad essere d’accordo, vista l’inspiegabile fretta con cui si sta concludendo l’iter  e visto che la legge stessa contiene una cosiddetta clausola di salvaguardia: entrerà in vigore il 1° luglio 2016, quando anche la riforma costituzionale del Senato sarà definitivamente approvata. E allora, perché l’urgenza? Non c’era proprio altro su cui tenere occupato il Parlamento?

Lasciamo perdere. I capisaldi di una buona legge elettorale in una democrazia rappresentativa sono costituiti dal sistema di votazione e dal metodo per l’attribuzione dei seggi. Il primo è fondamentale e si basa su due alternative: il sistema maggioritario e quello proporzionale. Quest’ultimo è stato progressivamente abbandonato per evitare una eccessiva frammentazione dei partiti e dei movimenti politici. Il primo, e il più antico, è stato modificato (e migliorato)  con l’introduzione del sistema uninominale, per cui in ciascun collegio elettorale è in palio un unico seggio, che viene assegnato al candidato che ottiene il maggior numero di voti, eliminando tutti gli altri. In Italia occorrerebbero 630 collegi, insomma. Poi si può avere la maggioranza relativa o assoluta:  nel secondo caso, qualora nessun candidato raggiunga la maggioranza assoluta dei voti al primo turno di votazioni, è previsto un secondo turno, di solito col ballottaggio tra i primi due.
Ora, se è vero che non si sfugge alla relazione “più governabilità = meno rappresentanza e viceversa”, è pure vero che a forti premi di maggioranza (ovvero meccanismi distorsivi) deve fare da contrappeso una forte riconoscibilità territoriale (non clientelare come con le preferenze).

Generalmente si concorda sul fatto che una legge elettorale basata sull’uninominale a doppio turno sarebbe l’ideale per il nostro Paese, soprattutto se approvata da una  maggioranza che abbracci il massimo possibile dell’arco parlamentare. tw Renzi MaggioranzaQuella che si sta discutendo alla Camera e che verrà presumibilmente approvata è invece tutt’altro.  Il Porcellinum – mi piace chiamarla così perché presenta troppi aspetti critici – se da un lato è certamente un passo avanti rispetto al Porcellum, un’indecenza che ha creato storture di ogni genere, non è tuttavia una buona legge: questa deve valere per tutti i partiti e per tutti gli elettori, non deve favorire smaccatamente  il partito di maggioranza del momento ma, al contrario, rappresentare le prevalenti volontà dei cittadini senza escludere i partiti minori, consentire di esprimere i migliori delegati in Parlamento  e soprattutto non deve umiliare la minoranza. E’ questa, infatti, cioè l’opposizione, il reale contrappeso e la possibile, futura alternativa di governo e in una democrazia realmente rappresentativa il suo ruolo va preservato perché solo attraverso il libero confronto delle idee si può ottenere il meglio dall’attività legislativa del Parlamento. Tutto questo, ovviamente, se l’assemblea è libera di agire, se non è condizionata dalle scelte effettuate nella sua composizione, se i leader sono illuminati e ispirati al meglio per la nazione anziché dalle loro personali ambizioni.

Troviamo tutto questo nel Porcellinum? Vediamone i principali aspetti.

  1. Premio di maggioranza. Alla lista che raccoglie almeno il 40% dei voti al primo turno viene attribuito il 55% dei seggi della Camera, pari a 340 deputati (su 630). In caso contrario, le due liste col maggior numero di voti vanno al ballottaggio e lo stesso premio va a quella vincente.
  2. Soglia di sbarramento. Chi non supera il 3% dei voti non viene rappresentato in Parlamento.
  3. La legge vale solo per la Camera a seguito della riforma del Senato.
  4. Collegi elettorali. L’intero territorio nazionale viene suddiviso in 100 collegi.
  5. Capilista: ogni partito indica per ogni collegio il proprio capolista.
  6. Preferenze: possono esserne indicate due con alternanza di genere per gli altri candidati della lista.
  7. I capilista possono candidarsi anche in altri collegi fino a un massimo di 10.
  8. Ripartizione dei seggi: proporzionalmente su base nazionale.

Italicum RECAP
Le obiezioni sono molte e si accentrano su alcuni punti.
La principale riguarda la figura del Presidente del Consiglio che riceverebbe un enorme potere dal combinato disposto di questa legge e dell’abolizione del bicameralismo con il Senato riformato, potendo contare su una più che solida maggioranza alla Camera. Lo ha ben spiegato il prof. Onida, presidente emerito della Consulta e lo ribadisce un altro autorevole costituzionalista, il prof. Ainis, : “L’Italicum determina l’elezione diretta del premier, consegnandogli una maggioranza chiavi in mano. Introduce perciò una grande riforma della Costituzione, più grandiosa e più riformatrice di quella avviata per correggere le attribuzioni del Senato. Ma lo fa con legge ordinaria, anziché con legge costituzionale . L’ avessero saputo, i nostri costituenti sarebbero saltati sulla sedia. Loro non volevano questa forma di governo, e infatti ne hanno stabilita un’altra. Dunque l’Italicum stride con la Costituzione vecchia, ma pure con la nuova. Perché quest’ultima toglie al Senato il potere di fiducia, e toglie dunque un contrappeso rispetto al sovrappeso dell’esecutivo“.

Un’altra critica riguarda il premio eccessivo riservato alla lista che raggiunga il 40% dei voti: viene da sorridere pensando a quella che nel ’53 venne chiamata ‘legge truffa’ perché assegnava un premio alla coalizione che avesse raggiunto il 50,1% dei voti, cioè la maggioranza assoluta. Lo ricorda Scalfari oggi, riportando le parole di De Gasperi: “Considererei un tradimento della democrazia trasformare in maggioranza una minoranza, fosse pure del 49 per cento”. Altri tempi: chissà cosa direbbe oggi del premio del Porcellinum. Ma torniamo a noi: il sempre crescente astensionismo  (mediamente il 40%) darà luogo a un partito di maggioranza solo di nome perché rappresenterebbe di fatto una minoranza degli elettori (il 40% del 60% dei votanti effettivi è uguale a un reale 24%). In caso di ballottaggio, poi, basta la maggioranza semplice (vince chi ha più voti)  e quindi c’è il rischio paradossale che la vittoria e il premio vadano ad una lista che registri ancor meno del 40% e sia pertanto ancor meno rappresentativa. Viene obiettato che dal Porcellum in poi con l’astensionismo avanzante è sempre stato così: vero, ma le coalizioni mettevano in parte riparo e comunque il bicameralismo consentiva che almeno al Senato le opposizioni potessero esercitare la loro funzione. Con il Porcellinum, poi, il saldo presidio del Parlamento verrà garantito dai 100 capilista che rappresenteranno i fedelissimi, la guardia scelta dell’imperatore (fate voi se di Napoleone o di Ceausescu), monteranno la guardia al gruppo parlamentare e alle commissioni camerali, pronti a cogliere (e a dimissionare) ogni minimo segno di dissidenza o diverso pensiero.

Agli elettori, nonostante tutte le promesse e le premesse, viene purtroppo e di fatto impedito di scegliere i loro rappresentanti. In effetti, il numero dei collegi limitati a 100, unitamente all’invenzione dei capilista (che perpetua l’indegna abitudine dei ‘nominati’), la loro presenza in più collegi (fino a 10)  che permetterà di operare la scelta finale su uno o l’altro dei secondi arrivati in lista e soprattutto la ripartizione dei voti proporzionalmente prima su base nazionale e poi locale riducono – per non dire che annullano – la scelta diretta dei candidati da parte degli elettori. In altre parole, è del tutto evidente che così facendo non si esalta il senso di responsabilità dei deputati, che – salvo le poche onorevoli eccezioni – sempre meno si sentiranno delegati del popolo per il popolo e sempre più sudditi del partito.

C’è ancora da segnalare una vistosa contraddizione data dal limite minimo del 3% per la presenza in Parlamento. Mentre da un lato si dichiara l’intenzione di ridurre la presenza dei micropartiti, dall’altro la si favorisce: ma a fronteggiare la massiccia maggioranza coi suoi 340 deputati saranno tutti gli altri partiti con i restanti 290. Come ha acutamente osservato Antonio Polito, avremo un “gigante con tanti cespugli”.  Cioè un’opposizione polverizzata, che sarà presumibilmente incapace di reagire e dialogare, visto anche che ormai sembra vigere il principio per cui la maggioranza (meglio, il suo leader) ha sempre ragione. Due anni fa, in epoca non sospetta, un illuminato articolo di Davide Ricca anticipava la questione: “Sarebbe un errore ridurre il cambiamento alla sola questione della premiership, sottovalutando le potenzialità in termini di idee e di intelligenze che potrebbero giungere da un partito rinnovato nelle persone e nelle forme. Quello che è certo è che se alla vocazione maggioritaria si sostituirà, ancora una volta, la scelta conservativa, il PD non sopravvivrà nel lungo periodo“.
Purtroppo sta avvenendo l’esatto contrario. Da sempre il dialogo è stato il metodo dell’uguaglianza e forma del discorso di verità: la prevaricazione (sotto le mentite spoglie della ‘decisione’) porta alla riduzione di spazi (cioè maggiore astensionismo e a ridotta fiducia nei partiti)  e di capacitá (cioè potere dell’elettore). In sintesi è la via più breve per la disuguaglianza e la menzogna, con le immaginabili derive populiste (se tutto va bene).

Queste le maggiori obiezioni, ma non si può mancare di osservare che esistono anche altri aspetti. Il primo riguarda il Presidente della Repubblica. Che farà il severo e pensoso Mattarella, già attento giudice costituzionale? Poi ci sono l’eventuale ricorso alla Corte Costituzionale e infine il possibile referendum.
Forse è poco e comunque sono solo speranze. E’ tutto quello che resta? No, nient’affatto: ci siamo noi, i cittadini.
Ci vediamo lunedì 4 maggio, davanti a Montecitorio.

petizione Italicum

http://coordinamentodemocraziacostituzionale.net/2015/04/30/lultimo-miglio-firma-la-petizione-e-partecipa-al-presidio-4-maggio/

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Voteremo con una legge elettorale incostituzionale?

29 Mar

Pare di sì: se il governo non decide di porre i necessari e indispensabili correttivi avremo il Porcellinum.
Sul sito del Coordinamento per la Democrazia costituzionale  è segnalato un interessante articolo del prof. Mauro Volpi su Questione giustizia, trimestrale di Magistratura Democratica, dal titolo illuminante: “Italicum due: una legge elettorale abnorme”

In verità gli articoli sulla legge elettorale – e la contemporanea revisione costituzionale che riguarda principalmente il Senato per condurci come è noto ad un sistema monocamerale – sono due e l’altro è del prof.  Gino Scaccia (“La legge elettorale “Italicum” fra vincoli sistemici ed equilibri costituzionali), con introduzione ad entrambi di Marco Bignami, un magistrato attualmente Assistente di studio nella Corte Costituzionale. Li riporto tutti con i link per chi volesse approfondire e qui mi limito a riportare i brani che  mi sono parsi più significativi (il neretto è mio).

Nella sua introduzione ai due articoli dal titolo “La legge elettorale in corso di approvazione. Profili di costituzionalità” il dr. Bignami afferma, tra l’altro:

Volpi non ha esitazioni nel denunciare la palese incostituzionalità della nuova normativa per plurimi aspetti: tra questi, la compressione della rappresentanza indotta da un premio di maggioranza eccessivamente generoso; l’elusione della volontà del corpo elettorale di non conferire il premio, determinata dalla fase del ballottaggio; l’introduzione di una soglia di sbarramento al 3%, che non si giustifica con uno scopo di governabilità, posto che esso è in ogni caso posto al sicuro dal meccanismo elettorale. Scaccia è più prudente, ma non meno severo nel segnalare punti di grave problematicità: il premio di maggioranza resiste al test matematico elaborato per “pesare” la diseguaglianza dei voti in uscita, in modo che essa non superi il grado massimamente tollerabile, ma l’effetto ulteriormente distorsivo introdotto attraverso la soglia di accesso alla ripartizione dei seggi rende precario anche questo approdo iniziale; il ballottaggio, inserendosi in un sistema politico altamente frammentato come l’attuale, rischia di avvantaggiare liste che hanno ottenuto al primo turno un consenso ben lontano dal 40%, in tal modo sviluppando all’ennesima potenza l’effetto di alterazione della rappresentatività; le pluricandidature dei capolista consentono una opzione del tutto discrezionale tra un collegio e l’altro, e di conseguenza l’investitura diretta, da parte dei leader del partito, del candidato che otterrà in loro vece il seggio nel collegio cui i primi hanno rinunciato.

E in effetti Volpi è chiarissimo:

Il sistema elettorale approvato presenta varie criticità che lo rendono abnorme in sé e anomalo rispetto a quelli esistenti nelle altre democrazie. Tali criticità riguardano il metodo adottato per la presentazione e la discussione del disegno di legge, i vizi di legittimità costituzionale in esso riscontrabili, l’incompatibilità con la forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione.

Ma anche il prof. Scaccia mi pare piuttosto critico. Questa la sua conclusione:

 

Che la logica del “partito pigliatutto” basti a far rifiorire il sistema istituzionale italiano è, però, dubbio. L’esperienza degli ultimi vent’anni non induce infatti all’ottimismo. Inseguire il mito della stabilità e dell’efficacia del Governo attraverso la ricerca della perfetta identità politica con la maggioranza parlamentare ha condotto alla mortificazione delle Assemblee elettive e della rappresentanza, che pure della stabilità degli esecutivi è il presupposto legittimante, e al loro assoggettamento completo all’esecutivo. Si è così giunti, ad esempio a livello regionale (dove opera il simul simul), a una centralizzazione del potere di governo simile a quella delle forme presidenziali, ma senza il contrappeso di un Parlamento slegato dal laccio “mortale” della fiducia e posto quindi in condizione di esercitare con il massimo di incisività la funzione di indirizzo e controllo politico, e in definitiva, di conservare un significativo potere di codeterminazione decisionale. Una riforma che vuole mutuare dal “presidenzialismo” (inteso come investitura popolare diretta del governo) capacità decisionale, stabilità ed efficienza, ma non ne riproduce i contrappesi e i bilanciamenti, finisce così per sancire il primato assoluto del Governo sull’unica Camera politica, destinandola allo svolgimento di un «compito censorio (…) modesto (e ad incidenza assai ridotta nel settore della legislazione)». Tanto da rendere legittimo l’interrogativo – solo in apparenza paradossale – se, nelle condizioni storico-politiche attuali, non occorra la fuoriuscita dalla forma di governo parlamentare per restituire davvero al Parlamento la sua funzione più tipica di legislazione e sindacato politico sul potere esecutivo.

Accetterà il Presidente del Consiglio questi moniti e suggerimenti che si aggiungono agli altri numerosi e più che autorevoli già presentati? Si renderà conto che andare a votare con una legge siffatta equivale a commettere lo stesso spregio alla norma e all’intelligenza che si verificò col Porcellum, censurato abbondantemente (purtroppo i suoi guasti li aveva già compiuti) dalla Corte Costituzionale? Vorrà prendere atto che così com’è, la sua legge può solo essere chiama Porcellinum?
Boh.

Di politica, fantapolitica e legge elettorale

4 Set

Ringrazio Nando Cancedda per questa nota e per la segnalazione
dell’articolo di  Daniela Ranieri  su Il Fatto, riportando entrambi
integralmente (un filo rosso).

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sordi_berlusconi-510Il mio parere è che la legge elettorale approvata alla Camera e prossima all’esame del Senato è una legge tanto incostituzionale quanto quella in vigore. Se approvata definitivamente senza sostanziali modifiche, è destinata comunque a favorire una svolta antidemocratica. Indipendentemente da chi potrebbe esserne il beneficiario. I senatori democratici di qualunque forza politica dovrebbero comportarsi di conseguenza. Se nel novembre 2015 (ma Renzi non punta al 2018?) le cose dovessero andare come nel racconto fantapolitico del Fatto ma anche se i risultati favorissero invece la sinistra, questo non dovrebbe spostare nulla nella determinazione del Parlamento e dell’opinione pubblica. Lo dico perché dobbiamo a questi calcoli se da decenni non riusciamo ad avere una legge elettorale decente (nandocan).

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***di Daniela Ranieri, da Il Fatto quotidiano, 2 settembre 2014 –

Ore 23 del 15 novembre 2015. In studio dicono che ha votato la metà degli italiani. “Bene” sussurra Gianni Letta a B., a Palazzo Grazioli. “Bene” sussurra Luca Lotti a Renzi, a Montecitorio.

Il Pd, forte del 40,8% alle Europee di un anno e mezzo fa, si è presentato quasi da solo. Civatiani e opposizione interna di Mineo e Chiti si sono auto-neutralizzati, per ora, in un gelido 4%. Sel, Verdi, altre frattaglie della sinistra che fu, corrono soli, restando ben al di sotto di quell’8% che permetterebbe loro l’accesso alla Camera.

Forza Italia, benché i sondaggi la dessero in crescita dopo che B. ha ottenuto la grazia da Napolitano pochi giorni prima delle sue dimissioni, corre in coalizione con altri 5 partiti: Ncd (“per l’appartenenza alla famiglia del PPE”), Fratelli d’Italia, Lega, No Equitalia, guidata da Lele Mora, e Forza Milan, guidata da Barbara Berlusconi. Alle 23.30, FI è data al 19%, gli altri al 3.

A mezzanotte Mentana legge i primi risultati: il Pd stacca tutti con uno stupendo 36%. FI e M5S arrancano al 20.

Al Nazareno l’atmosfera si scalda. “Bene” fa Filippo Taddei, subito incenerito da uno sguardo di Renzi. Il capo si aspettava di più, è chiaro. L’Italicum del patto del Nazareno, scritto con Verdini, non più ritoccato grazie al ghigliottinamento o canguramento di migliaia di emendamenti alla Camera, dovrebbe consegnargli più della metà dei seggi alla Camera e consentirgli una serie di altre mandrakate su presidenza della Repubblica, Senato, Csm. Non è per questo che i gufi e i rosiconi gli hanno fatto la guerra? Che si sono agitati spettri di insidie e macchinazioni autoritarie? La Picierno vuole stappare una bottiglia di spumante. La Boschi, ministra delle Riforme, dei Rapporti col Parlamento, degli Esteri e degli Interni, tira fuori la calcolatrice: “Col 37% andiamo al ballottaggio, vero?”.

Il Pd, analizzano in studio, sconta le politiche di Renzi, che ha perso tempo su legge elettorale e riforma del Senato invece di occuparsi di lavoro, sanità, politiche per la casa. La recessione è ai massimi storici. La deflazione non è stata compensata da un aumento della domanda. Gli 80 euro sono stati restituiti o spesi con gli interessi in tasse, cure mediche e psichiatriche, aumenti di ticket per parcheggi e biglietti di bus e treni. L’Europa non ha creduto alla crescita fittizia del Pil dopo che nel suo conteggio sono finiti spaccio, prostituzione, corruzione , proventi della mafia e, in extremis, evasione fiscale. Il primo messaggio di B. da uomo libero, trasmesso in estate a reti Mediaset unificate, ha restituito speranza agli italiani: quando c’ero io andavate in pizzeria tutti i sabati; quando c’ero io mangiavate davanti ai telequiz; quando c’ero io la patonza girava. Alle 2 il Pd è al 38%, FI al 20.

B. guarda Letta. Renzi guarda Lotti. Mentana sbianca: FI, con i 5 partiti civetta al 4%, starebbe al 40%.
“Bene” fa Letta. “Ops” fa Lotti. “Non si agitino spettri” fa Napolitano da Castel Porziano.
All’alba, Mentana, stremato, legge il risultato definitivo: Pd primo partito, col 36%. FI secondo, col 20. “Bene, no?” fa la Madia. “Diciamo”, fa D’Alema. FI, coi 5 partiti nessuno dei quali supera il 4,5%, ha vinto le elezioni al primo turno, e col 20% dei voti del 50% degli italiani con diritto di voto, cioè col 10% sul totale, si aggiudica il 55% dei seggi alla Camera.

In mattinata, l’Italia apprende cosa succederà: il premier Silvio Berlusconi potrà contare su oltre la metà dei deputati da lui nominati alla Camera per eleggere il nuovo capo dello Stato, mentre al Senato gli bastano 33 tra sindaci e consiglieri regionali, sempre da lui nominati e tutti incensurati grazie all’immunità che il Pd gli ha regalato, per eleggere un suo uomo già dopo il terzo scrutinio. Il presidente della Repubblica sarà Gianni Letta, il cui primo atto sarà graziare Marcello Dell’Utri, ingiustamente detenuto cofondatore del partito che la nazione ha di nuovo premiato.

B. nominerà 5 giudici su 15 della Corte costituzionale. Altri 5 li nominerà Gianni Letta.
Alcuni tra i più indomabili esponenti dell’opposizione saranno silenziati, o fatti direttamente arrestare con voto a maggioranza semplice alla Camera e al Senato. Renzi mangerà del maiale davanti al Nazareno, per prendere per il culo i giornali stranieri che ci prendono per il culo. I piddini andranno nei talk show a dire che sono il primo partito, e che, come s’è visto, Renzi non aveva mire autoritarie.

I cittadini invecchieranno, o espatrieranno. Proveranno a raccogliere 800 mila firme per referendum che abroghino qualcosa. Alcuni verranno bloccati dalla Consulta. Per quelli che passeranno, B. si procurerà di mandare Razzi davanti alla Cassazione, con una busta di 5.000 euro da dare sull’unghia a chi toglierà il proprio nome dall’elenco. E così per sempre, per tutte le altre raccolte firme, che saranno sempre, al massimo, 799 mila.

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P.S. E con questo fanno 500. Chi l’avrebbe mai detto. 🙂

‘Guardare al futuro’ disse il gambero, camminando (come sarà il prossimo Parlamento)

1 Apr

Sono sette anni che gli elettori si sgolano a chiedere di poter scegliere i propri rappresentanti in Parlamento. Altrettanti che i partiti li rassicurano dichiarando che quella è anche la loro volontà, salvo poi dimenticarsene quando hanno la possibilità di cambiare la legge elettorale.

Oggi, grazie all’accordo tra Pd e Forza Italia con la connivenza di NCD, SC, eccetera, possiamo finalmente (si fa per dire) intravedere la struttura del Parlamento che sarà.
Ecco il perché del quasi-criptico titolo di questo post. Si guarda al futuro camminando all’indietro e peggiorando quanto già pessimo era.

Il “Porcellinum”  (mi rifiuto di chiamarlo Italicum, per rispetto al nome della nazione), la legge elettorale prevista per la sola Camera dei deputati, ce la presenterà composta per ben più della metà  da nominati dei partiti, grazie all’accurata regia delle liste nei singoli collegi, al voto multiplo, al calderone nazionale in cui confluiranno tutti i voti e al complicato algoritmo che provvederà a

L'aula del senato della Repubblica vuota dei suoi membri (e delle competenze previste dalla Costituzione).

L’aula del senato della Repubblica vuota dei suoi membri (e delle competenze previste dalla Costituzione).

ripartirli nuovamente.  Al netto degli astenuti, il primo partito potrà governare grazie a un abnorme premio di maggioranza, e i partiti minori verranno tagliati fuori da una insolitamente elevata soglia di sbarramento. A meno di stravolgimenti dell’ultimo minuto, questo sarà, grosso modo, il risultato.

Quanto al nuovo Senato di 148 membri, sarà eletto dai cittadini per quel che riguarda i 20 governatori presidenti di regione.  Indirettamente, tuttavia: eletti come tali, essi entreranno a Palazzo Madama automaticamente. Dei restanti, 107 saranno scelti dai partiti tra gli amministratori locali e 21 saranno indicati dal Presidente della Repubblica (oltre ai 5 senatori a vita).
Il Senato sarà quindi composto per il 72% (107 su 148) da nominati dai partiti e non potrà legiferare, nel senso che non potrà proporre leggi e tantomeno correggere, intervenire, controllare quelle nate alla Camera; in compenso, resterà con poteri immutati nelle revisioni costituzionali, nell’elezione del Presidente della Repubblica e nella nomina dei giudici costituzionali e dei membri del Csm.

E questo sarebbe il futuro.

 

L’on. Marco Miccoli, la legge elettorale e un cittadino.

18 Mar

Caro onorevole Marco Miccoli,

lei mi ha scritto una lettera (a me e ad altri) e, “con la speranza di inoltrarvi utili documenti“, allega:

  •       un dossier relativo alla nuova legge elettorale, l’Italicum;
  •          una scheda illustrativa, con relativi link di riferimento, in merito ai provvedimenti messi in atto dalla Regione Lazio a seguito della Conferenza Stampa    organizzata dal Presidente Nicola Zingaretti e dall’Assessore al Lavoro Lucia Valente sul ‘Pacchetto Lavoro’in data 18 febbraio u.s;
  •          la brochure della citata Conferenza Stampa.

Ora, per quanto riguarda gli ultimi due allegati la ringrazio per la sollecitudine ma mi piacerebbe capire lei cosa c’entra con la Regione Lazio.
Circa il primo, invece (il dossier n. 27 del 12 marzo), non la ringrazio affatto: mi ha solo causato una solenne arrabbiatura. Avrei voluto allegarlo, per la migliore comprensione di chi leggerà questa mia che renderò pubblica, ma sul sito del Gruppo dei deputati Pd il documento non è ancora disponibile: ovviamente ho già scritto per sollecitarne la pubblicazione. Vedremo se mi verrà mai risposto.

Ma torniamo all’argomento e andiamo con ordine: perché mi sono arrabbiato?  Semplice: perché il dossier che lei mi ha inviato rappresenta un insopportabile tentativo di far apparire la legge elettorale all’esame del Parlamento un capolavoro.
Invece l’attuale Porcellinum (mi rifiuto di chiamarlo Italicum) non è altro che un indecoroso pasticcio creato sui resti della legge bocciata dalla Consulta, con un premio di maggioranza per chi raggiunge il 37% (limite ridicolmente basso) e soglie di sbarramento capaci solo di rendere inevitabili coalizioni forzate per la Camera, mentre il proporzionale puro per il Senato continuerà a rendere obbligatorio l’accordo per le larghe intese. In sintesi, presentare una legge elettorale che preveda due distinte modalità per ogni ramo del Parlamento è solo un clamoroso assurdo. Si aggiunga che il tutto dovrebbe essere varato in attesa di una riforma costituzionale neppure avviata (ma le cui premesse fanno rabbrividire; il Senato  come ‘Camera delle autonomie’: qualcuno sa cosa voglia dire? Lei lo sa? Me lo vuole anticipare? E in base a quale superiore intuizione il Senato non dovrebbe più avere il diritto di votare la fiducia al governo e la possibilità di intervento nella formazione delle leggi? Forse perché quelle stesse leggi il Parlamento non le produce più da tempo, ormai abituato ai decreti legge governativi e composto com’è per la stragrande maggioranza – ahinoi – da obbedienti esecutori e da disobbedienti per principio? Ma prima di tutto: qualcuno ha idea cosa voglia dire smontare il delicato e perfetto equilibrio della nostra Costituzione che fu scritta dalle, in assoluto, migliori personalità e intelligenze dell’epoca?).

In tutto questo, il diritto di scelta dei cittadini – richiesto dalla Consulta – viene nuovamente negato: le liste da tre a sei nomi non garantiscono nulla. Tra la ripartizione dei voti raccolti in un unico contenitore, l’algoritmo che dovrebbe riassegnarli e il gioco dei resti si arriverà a stridenti distorsioni della volontà degli elettori.

Per non parlare poi della negata parità di genere (a proposito, sull’argomento il dossier non è aggiornato), delle candidature plurime, del pericolo reale che un partito con 3 milioni di voti rischi di non entrare in Parlamento, che un altro con il 23% (7 milioni di elettori) possa avere la maggioranza assoluta  coalizzandosi con forze minori (che non avrebbero però deputati),  di avere una Camera che rappresenta meno del 50% degli aventi diritto al voto e infine del già detto assurdo del Senato – in attesa della sua abolizione – che verrà eletto col proporzionale, non escludendo così di dar luogo a maggioranze diverse. Mi dica lei.

Ecco perché sono arrabbiato. Non posso credere che lei non sia consapevole degli enormi difetti di questa legge. Tuttavia, ha inviato la sua lettera pensando con ogni probabilità di rivolgersi a una platea di elettori che si potrebbe raffigurare come le note tre scimmiette con le altrettanto note capacità intellettive ed io mi sento personalmente offeso da questo suo atteggiamento. Non posso quindi perdonarle di aver considerato noi cittadini come una massa indistinta di ascoltatori muti e ossequienti, incapaci di documentarsi, sviluppare osservazioni, domande, critiche, anche opposizione, di reagire, insomma.
Questo potrà valere forse per lei, che avrà accolto festante (devo pensarlo) questa porcheria chiamata ‘legge’.
Non per me e – posso assicurarglielo – molti, molti altri, più di quanti possa immaginare.

Distinti saluti.

Giampiero Filotico

p.s. Va da sé che nel caso di una sua risposta sarò lieto di darvi lo stesso rilievo che darò a questa mia.

………………

Lettera inviata a miccoli_m@camera.it il 18.3.2014

Italicum, o Camere con svista

5 Mar

Renzi OKItalicum, o Camere con svista.

Come se l’avessi scritto io (magari! 🙂 ).

La gatta frettolosa e le riforme di Renzi (aggiornamento*)

3 Mar

*Noto con rammarico che è necessario aggiornare questo mio post del 27 gennaio per aggiungere al titolo:e le nomine dei sottosegretari“.
Sperando di finirla qui, ovviamente.  🙂

——————————

Tutte le volte che polemizzo con un sostenitore delle riforme proposte dal segretario del Pd,  sostenendo la necessità di profonde modifiche e soprattutto del tempo per apportarle, a un certo punto l’interlocutore/trice sentenzia (scuotendo lentamente il capo con un atteggiamento patermalistico-pensieroso), citando un vecchio adagio: “il meglio è nemico del bene”.

Ho preso allora a rispondere – se questa è la modalità della discussione faccio presto ad adeguarmi – con un altro vecchio detto romanesco: “E la gatta presciolosa [= frettolosa] fece i gattini ciechi”. Non so se funzioni, ma improvvisamente l’altro/a si ricorda che ha da fare qualcosa e  la discussione si tronca lì.

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