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Riforme: prima il Parlamento

29 Apr


5 PROPOSTE RIVOLUZIONARIE DA MICHELE AINIS

Oggi su Repubblica il prof. Ainis, in una lucida e rapida disamina sull’agonia dei partiti, ha lanciato cinque proposte per rivitalizzare la democrazia parlamentare con l’innesto di “un po’ di fantasia (o eresia) costituzionale.” 
Qui l’articolo originale e di qui seguito una mia (grossolana) sintesi.

  1. Affiancare al referendum abrogativo (dove va eliminato il quorum) quello propositivo. Aggiungere l’iniziativa popolare vincolante, la consultazione popolare sulle grandi opere pubbliche, varie forme di partecipazione via web dei cittadini.
  2. Prender atto che l’astensione rappresenta ormai circa la metà dell’elettorato: diminuire parallelamente gli eletti, riducendone altresì i poteri.
  3. Non più di due mandati per i parlamentari, come per i sindaci e i presidenti di regione.
  4. Revoca degli eletti immeritevoli: gli assenti oltre ogni ragionevole limite, i professionisti del cambio di casacca.
  5. Nomina di un gruppo di parlamentari mediante estrazione a sorte, costituendo un cuscinetto tra maggioranza e opposizione.
    Dice: ma rischieremmo d’inviare in Parlamento degli incapaci. E perché, ora sono tutti capaci?

Applausi. 

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I racconti, le storie brevi, sono come quegli sguardi lanciati da una finestra aperta che permettono di vivere quanto accade giù nella strada, nella vita di tutti i giorni, di immaginare i pensieri dell’ignoto passante o il dialogo dell’altrettanto ignota coppia mentre vengono percorsi i pochi metri che la visuale consente.
In questi dieci racconti c’è quasi sempre Roma, come sfondo o protagonista, ma i personaggi, con le loro personalità, le manie, le loro storie personali, potrebbero esistere ovunque: per conoscerli, e conoscere le loro storie, basta affacciarsi a questa finestra.

http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/racconti/322551/la-finestra-aperta-3/

 

 

Zagrebelsky: una lezione di stile e di saggezza

1 Ott

Ieri sera ho avuto l’occasione di ascoltare e riflettere, ammirando la pazienza, la sapienza e soprattutto lo stile della lezione impartita dal vecchio professore, arrivando quasi a commuovermi quando ha ricordato con passione cosa è una Costituzione, quanto il suo fine sia unire e non dividere, quanto sia vitale per una nazione che essa rappresenti l’unità e la coerenza delle leggi, prima fra tutte quella elettorale. Mi sono piaciuti il tono pacato, l’esposizione serena, l’atteggiamento dialogante.

Peccato quindi che il suo interlocutore, chiuso nella sua smisurata autoammirazione, di quella lezione non abbia colto quasi nulla. Solo quando il professore gli ha fatto notare la straordinaria rivoluzione culturale compresa nella differenza tra  “vincere le elezioni” e “assumere la responsabilità di guidare il Paese” ho notato in lui  una certa perplessità, ma non saprei dire se fosse incredulità, supponenza o derisione. Per costui la priorità è data dal fare in fretta le leggi, non dal farle bene, evitare i ping pong e le lungaggini delle procedure, non il rispetto delle norme e dei diritti di chi non la pensa come lui. In questo mi ha ricordato un suo sciagurato predecessore che ce l’aveva con quello che definiva “il teatrino della politica”, in quanto lui (il predecessore) era per “la politica del fare”.

La sicumera e l’evidente fastidio con cui il più giovane rispondeva all’accorato appello del professore alla ragionevolezza mi hanno dato la misura del baratro in cui potrebbe precipitarci lo sconvolgimento della Carta costituzionale – unito alla nuova legge elettorale – proposto dal governo contro ogni regola democratica e fatto approvare da un docile parlamento composto in maggioranza da fedeli e disciplinati. Ma tanto più costui mi ha sorpreso perché ancora una volta ha fatto ricorso a a frasi fatte e atteggiamenti, a quel modo di porsi che in televisione privilegia l’aspetto esteriore delle discussioni e tende a compiacere i propri tifosi e simpatizzanti, nulla aggiungendo alla discussione, o meglio, alla visione. Che resta quindi miope, di breve durata: quando il vecchio professore ha ammonito sulla possibilità che la riforma accompagnata dalla legge elettorale possa un giorno favorire forze politiche che non hanno in gran conto la democrazia, l’interlocutore ha evitato di replicare, nonostante avesse dichiarato con enfasi di guardare al futuro. Ma forse si riferiva solo al proprio.

Preferirei una democrazia in cui non vige potere assoluto della maggioranza, ma il confronto quotidiano” ha detto a un certo punto il professore. Ecco, la chiave di volta sta tutta qui, secondo me. In un atteggiamento aperto, nel rispetto di chi non la pensa come te, nell’essere pronti ad ammettere errori e perfino ad accogliere proposte migliori delle proprie, ancorché provengano dagli avversari. Comincio invece a temere che dall’altra parte tutto si riduca tristemente a qualcosa di simile alla storica e ben nota affermazione del marchese del Grillo.


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Riforme, così si soffoca la democrazia.

17 Feb

L’ex-senatore Francesco ‘Pancho’ Pardi ha pubblicato su Micromega questa appassionata lettera in cui invita a reagire iscritti ed elettori del Pd per evitare passi che possono essere esiziali per la nostra giovane democrazia.
Ne condivido lo spirito e la forma. Il neretto è mio.

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Riforme, così si soffoca la democrazia. Lettera aperta ai cittadini che votano Pd

di Pancho Pardi

Cari cittadini che votate PD,

in questi giorni il partito in cui avete riposto le vostre speranze di un futuro migliore ha imposto nella discussione alla Camera sulla revisione costituzionale tempi ristretti come per un decreto legge: la Carta costituzionale trattata alla pari di un provvedimento di necessità e urgenza da liquidare alla svelta.

A questa obiezione i dirigenti del PD replicano in due modi. Sostengono in primo luogo: sono anni che se ne discute e ormai è l’ora di concludere. In realtà ha discusso solo, e male, il Parlamento, ma nel paese il tema è ignoto alla maggior parte dei cittadini, che non sono stati chiamati a ragionarne nemmeno dai loro stessi partiti. Voi stessi non siete mai stati convocati dal PD in assemblee cittadine; l’argomento è tabù per voi e appannaggio solo dei parlamentari. Se voi aveste voluto rovesciare le priorità e chiedere al PD di occuparsi prima di tutto della crisi economica e della mancanza di lavoro non avreste mai avuto la sede pubblica per farlo.

In secondo luogo il PD ribatte che, alla fine, la maggioranza ha il diritto di vedere realizzati i propri progetti e non può farsi soffocare dall’ostruzionismo delle opposizioni. Qui c’è la mistificazione più grave. Il PD ha l’attuale maggioranza dei seggi alla Camera solo a causa del mostruoso premio previsto dal Porcellum per chi prevale, sia pure di poco, nella competizione elettorale. E’ ora di ricordare che il PD ha preso nel 2013 circa il 26% dei voti. Ha prevalso a fatica sul Movimento Cinque Stelle, ma la sua maggioranza di voti ricevuti è poco più di un quarto dei voti scrutinati. Peggio ancora: poiché i non votanti sono stati circa il 40% degli aventi diritto al voto, la maggioranza del PD calcolata sulla totalità dei cittadini con diritto di voto è ancora più bassa: un’autentica minoranza. Che però col premio diventa maggioranza nelle aule parlamentari.

Ora questa falsa maggioranza ripete di continuo che sono necessarie le riforme. Non per migliorare le condizioni dei cittadini ma per cambiare le istituzioni: la riforma del Senato e la legge elettorale. La prima viene ritenuta necessaria perché il nostro tempo europeo esige rapidità e richiede il passaggio da due Camere legislative a una sola. La seconda è richiesta anche dalla Corte Costituzionale che ha giudicato in buona parte incostituzionale la legge elettorale, il Porcellum con cui abbiamo votatole ultime tre volte, 2006, 2008 e 2013.

Ma in realtà le riforme in discussione non risolvono affatto i due problemi.

Invece di abolire il Senato e passare direttamente a un sistema monocamerale si inventa un Senato posticcio e contraddittorio. Non è eletto dai cittadini ma ha potestà legislative. E’ dotato di poteri rilevanti (vota il Presidente della Repubblica, concorre a modifiche costituzionali) ma è composto da soggetti nominati dai consigli regionali. In nome della lotta ai costi della politica è ridotto dai 315 attuali a 100 senatori, ma alla Camera lo stesso criterio non vale: resta composta da 630 deputati. Il motivo è semplice: al contrario del Senato, alla Camera il premio di maggioranza garantisce, come si è visto, una maggioranza certa, anzi sproporzionata in rapporto ai voti ricevuti, quindi i deputati dovevano essere tenuti buoni.

Con queste riforme un Parlamento vuoto di significato

Con queste riforme un Parlamento vuoto di significato

Invece di mandare al macero la legge elettorale attuale se ne fa una copia che ne mantiene alcuni insidiosi aspetti incostituzionali. I capilista saranno bloccati e ciò comporta che circa due terzi dei parlamentari saranno nominati dalle segreterie di partito e non scelti dagli elettori.
L’enorme premio di maggioranza renderà diseguale il voto dei cittadini: la minoranza più grossa uscita dalle urne avrà 340 deputati, tutte le altre minoranze dovranno dividersi i restanti 290. Chi voterà per la prima conterà molto di più di chi voterà per le altre.

Al confronto col Porcellum c’è un pericoloso peggioramento: il premio di maggioranza andrà non a una coalizione ma a un solo partito. Quindi la più grossa delle minoranze, divenuta falsa maggioranza, avrà il dominio assoluto alla Camera, ma a sua volta sarà dominata da chi avrà avuto il potere di nominare chi sarà stato eletto. Il risultato finale sarà una falsa maggioranza di ubbidienti al servizio di chi li ha fatti eleggere.

La sovranità popolare sarà ridotta alla scelta, ogni cinque anni, di un vincitore telegenico che diventerà dominatore assoluto. Egli infatti disporrà del potere di esigere che i disegni di legge del governo vengano votati entro sessanta giorni senza emendamenti. Tutte le attività parlamentari, di commissione e di aula, avranno funzione servile. La falsa maggioranza parlamentare avrà poi la possibilità di eleggere da sola il Presidente della Repubblica e plasmare la Corte Costituzionale e potrà così impadronirsi dei residui strumenti di controllo.

A ciò si aggiunge un colpo ulteriore: le possibilità di partecipazione diretta dei cittadini alla politica sono ora rese più difficili perché le firme da raccogliere per le leggi di iniziativa popolare passano da 50.000 a 150.000, quelle per i referendum da 500.000 a 800.000: i pochi padroni della politica vogliono essere sicuri di non essere disturbati.

In sintesi, le due riforme insieme cambieranno non solo la forma di governo ma anche la forma di Stato: si passa di fatto dalla repubblica parlamentare alla repubblica presidenziale. Peggio: sarà un presidenzialismo sgangherato, del tutto privo degli incisivi strumenti di controllo cui è assoggettato, per esempio, il presidente degli Stati Uniti.

Cari cittadini che votate PD,
per venti anni abbiamo lottato, anche insieme a voi, contro il disegno del centrodestra di modificare la Costituzione e sottomettere così il Parlamento alla volontà del governo. E ci siamo riusciti quando nel 2006 la volontà popolare ha bocciato la sua riforma della Costituzione. Ora quel programma del centrodestra è assunto in pieno e perfino aggravato dal PD.

Un partito consapevole che la sua maggioranza è frutto di una legge elettorale incostituzionale dovrebbe astenersi dal toccare la Costituzione e dedicare tutte le sue energie ad affrontare e risolvere i più gravi problemi del paese. I principi più luminosi della Costituzione sono ben lontani dall’essere realizzati: la Costituzione attende ancora di essere attuata. Il Pd invece la stravolge con l’obbiettivo esplicito di attribuire a chi vince le elezioni, anche per un solo voto, un potere illimitato che nemmeno nei suoi sogni più ottimistici Berlusconi aveva immaginato per sé. Ora si oppone a un disegno che gli è sempre piaciuto fino a pochi giorni fa, perché si è convinto che quel potere tocchi a Renzi invece che a lui.

Cari cittadini che votate PD,
può darsi che alcuni, o forse molti, tra di voi siano ormai convinti che il Parlamento non abbia da molto tempo dato buona prova di sé, e che è meglio un leader capace di apparire veloce piuttosto che un parlamento lento e impacciato. Bisogna ammetterlo: non è facile oggi difendere il Parlamento. Ma riflettete: è già tre volte che il Parlamento è stato eletto con una legge che ha frustrato in profondità la sovranità popolare.

Tre Parlamenti si sono succeduti senza che i cittadini potessero formarlo secondo la loro volontà. Tre Parlamenti composti in massima parte da raccomandati delle segreterie di partito incapaci di produrre attività legislativa in armonia con le esigenze più pressanti del paese. Invece di cambiare e migliorare la selezione degli eletti, la via imboccata dal PD con queste riforme costruisce un Parlamento ancora più raccomandato e lo consegna alla volontà di una persona sola.

Non è mai stato questo il vostro modo di pensare la politica. Convincete il vostro partito a cambiare strada: ampliate la democrazia invece di lasciare che sia soffocata.

(16 febbraio 2015)

De Siervo a Renzi: sulle riforme meno fretta

12 Feb

Costituzione GUNon è un monito da poco.  Ugo De Siervo è stato Presidente della Corte Costituzionale ed è titolare della cattedra di diritto costituzionale all’università di Firenze. Ma De Siervo è anche padre di Luigi e Lucia, fedelissimi del Presidente del Consiglio. Il primo, direttore di RaiCom, è stato uno dei registi dei comitati “Adesso” nelle primarie contro Bersani. Assessore nella giunta Domenici, Lucia ha partecipato nel 2007 alla costituzione dell’associazione Link,  creata per sostenere finanziariamente  l’ascesa di Renzi alla Provincia. Con Renzi sindaco, fa una rapida carriera e diventa direttore generale della Cultura. Il marito, Filippo Vannoni, vanta incarichi in varie società pubbliche fiorentine  ed è presidente di Publiacqua.

Ma De Siervo non pare appartenga – per lo meno, ufficialmente – al ‘giglio magico’, la schiera dei fan del Presidente del Consiglio. E’ soprattutto e prima di tutto un profondo conoscitore della Costituzione e un suo difensore: in questa veste nell’estate del 2013, già da ex presidente della Corte Costituzionale, gelò con un’intervista le speranze di Berlusconi di ricevere la grazia dopo la sua condanna: “Per ora questa persona, condannata a ben quattro anni per un delitto serio, sta semplicemente minacciando la stabilità del governo, ma non ha dato alcun segno di accettazione di una condanna definitiva, né ha cominciato neppure a scontare ciò a cui lo Stato lo ha condannato. In più, è coinvolto in tante altre vicende indagate dalla magistratura.”

Ecco perché la sua nota affidata alle pagine de La Stampa, cui collabora, assume fin dal severo titolo  un significato ben più sostanziale (il neretto è mio): “… le molte modifiche fatte nei mesi scorsi al testo iniziale della riforma elettorale dovrebbero far riflettere sulla qualità delle originarie progettazioni di riforma e sulla necessità, quindi, di operare anche sul testo di revisione costituzionale con adeguata prudenza ed attenzione, pur nel rispetto delle finalità fondamentali di questi tentativi di riforma”. Speriamo sia ascoltato.

Eccola integralmente qui di seguito.

Siamo alla vigilia di importanti confronti nel nostro Parlamento sulla riforma della Costituzione e sulla legge elettorale e già questa settimana la Camera dovrebbe cominciare a decidere della riforma del Senato e della nuova configurazione delle Regioni. Il ministro Boschi ha confermato il suo ottimismo e la volontà di arrivare addirittura in settimana all’approvazione del ddl costituzionale, ma le molte modifiche fatte nei mesi scorsi al testo iniziale della riforma elettorale dovrebbero far riflettere sulla qualità delle originarie progettazioni di riforma e sulla necessità, quindi, di operare anche sul testo di revisione costituzionale con adeguata prudenza ed attenzione, pur nel rispetto delle finalità fondamentali di questi tentativi di riforma.

Tanto più se si intende modificare addirittura la Costituzione, una fonte che è chiamata a disciplinare le nostre istituzioni e quindi a reggere alle tante tensioni che si producono naturalmente intorno ai processi decisionali ed alla gestione dei grandi poteri pubblici: in settori del genere sono assolutamente necessarie un buon livello qualitativo e la piena coerenza delle nuove norme costituzionali, poiché altrimenti i danni possono essere gravissimi, tanto da far dubitare che in tal modo si possa produrre un effettivo miglioramento delle nostre istituzioni.

Facciamo due esempi concreti (fra i molti che sarebbero possibili) sulle serie conseguenze che si potrebbero produrre se non ci si impegnerà a fondo nel miglioramento di parti importanti del progetto in discussione.

Anzitutto non appare affatto probabile che possa diminuire l’attuale pesante contenzioso fra Stato e Regioni malgrado l’enorme espansione dei poteri legislativi dello Stato che ci si ripromette, dal momento che la tecnica elencativa di ciò che spetta allo Stato o, invece, alle Regioni, appare largamente imprecisa ed incompleta. Contemporaneamente i poteri legislativi del nuovo Senato sono così confusamente (ed insufficientemente) configurati, che ne potrebbero derivare dubbi di legittimità costituzionale su molte leggi statali approvate con l’uno o con l’altro procedimento previsto nel progetto di revisione costituzionale (se ne possono distinguere sette od otto).

In secondo luogo, tutta questa profonda riforma del nostro regionalismo in senso fortemente riduttivo, non si applicherebbe, se non in alcuni modestissimi ambiti, alle cinque Regioni ad autonomia speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia) e cioè alcune delle Regioni di cui – a ragione o torto – più si discute criticamente. Anzi, queste Regioni non solo manterrebbero i loro poteri attuali, ma conquisterebbero con questa modifica costituzionale il potere di condizionare l’ipotetica futura riforma dei loro Statuti speciali (che sono leggi costituzionali, ma che il Parlamento non potrebbe più approvare autonomamente, perché dovrebbe previamente ottenere l’accordo della Regione interessata). Ma un trattamento così manifestamente diseguale non solo produrrebbe nuove disfunzionalità legislative ed amministrative, ma susciterebbe naturalmente pesanti polemiche politiche.

In generale sembra opportuno rileggere con adeguata attenzione critica il testo a cui si è giunti nei confronti parlamentari, magari anche sottoponendo le varie disposizioni ipotizzate a qualche «prova di resistenza» alla luce del buon senso. Mi viene in mente, ad esempio, l’innovazione introdotta al Senato relativa alla nomina del Presidente della Repubblica: probabilmente nel tentativo di sottrarla alla volontà della mera maggioranza politica presente nel nuovo Parlamento, si prevede che dal quinto scrutinio il Presidente della Repubblica possa essere nominato con la maggioranza del 60% dei voti e che solo dal nono scrutinio sia sufficiente il 60% dei votanti. Ma ciò vorrebbe dire che l’elezione del Presidente potrebbe divenire anche irraggiungibile, ove le forze politiche minoritarie siano indisponibili, senza neppure prevedersi una via di uscita istituzionale. Solo in via ipotetica si accenna alla possibilità (tutt’altro che rassicurante) che possa allora essere eletto un Presidente «di minoranza», che evidentemente potrebbe essere troppo debole.

Allora forse è raccomandabile correre un po’ meno e considerare meglio il contenuto delle innovazioni proposte.

Ugo De Siervo

http://www.lastampa.it/2015/02/10/cultura/opinioni/editoriali/riforme-la-fretta-mette-a-rischio-la-funzionalit-T6iWKNcDN3FBMlpgnCTVDN/pagina.html

Apologo sul paese dei corrotti. La profezia di Calvino.

10 Nov

RIFORME E CORRUZIONE

La cronaca quotidiana mi induce a ripubblicare un mio post di qualche tempo fa. Tragicamente, si sta avverando quel che Italo Calvino forse pensava che per i suoi tempi  fosse solo una provocazione. La vignetta, invece, ricorda quella che dovrebbe essere la prima riforma per salvare il Paese.
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C’era un paese che si reggeva sull’illecito.

Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere.

Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perchè quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente, cioè chiedendoli a chi li aveva in cambio di favori illeciti.

Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori, in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo di una sua autonomia.

Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perchè per la propria morale interna, ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito, anzi benemerito, in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale, quindi, non escludeva una superiore legalità sostanziale.

Vero è che in ogni transazione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che, per la morale interna del gruppo era lecito, portava con sé una frangia di illecito anche per quella morale.

Ma a guardar bene, il privato che si trovava ad intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro di aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva, senza ipocrisia, convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.

Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale, alimentato dalle imposte su ogni attività lecita e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare.

Poiché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta, ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse), la finanza pubblica serviva ad integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune si erano distinte per via illecita.

La riscossione delle tasse, che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza di atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello Stato si aggiungeva quella di organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori, pur provando anziché il sollievo del dovere compiuto, la sensazione sgradevole di una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.

Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva di applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino ad allora le loro ragioni per considerarsi impunibili.

In quei casi il sentimento dominante, anziché di soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse di un regolamento di conti di un centro di potere contro un altro centro di potere.
Così che era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle guerre tra interessi illeciti oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e di interessi illeciti come tutti gli altri.

Naturalmente, una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale, che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche si inserivano come un elemento di imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.

In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che usavano quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini illustri e oscuri si proponevano come l’unica alternativa globale del sistema.

Ma il loro effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile e ne confermavano la convinzione di essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla.

Così tutte le forme di illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci, si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto.

Avrebbero potuto, dunque, dirsi unanimemente felici gli abitanti di quel paese se non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.

Erano, costoro, onesti, non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici, né sociali, né religiosi, che non avevano più corso); erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso, insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno al lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione di altra persone.

In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto, gli onesti erano i soli a farsi sempre gli scrupoli, a chiedersi ogni momento che cosa avrebbero dovuto fare.
Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che riscuotono troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in mala fede.

Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sè (o almeno quel potere che interessava agli altri), non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perchè sapevano che il peggio è sempre più probabile.

Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che, così come in margine a tutte le società durate millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, tagliaborse, ladruncoli e gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare “la” società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante ed affermare il proprio modo di esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera, allegra e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa di essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.
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Da “Romanzi e racconti” (Meridiani Mondadori, 1994, vol. 3, pp. 290-293)  e già pubblicato su  “La Repubblica” il 15 marzo 1980

Una spaventosa responsabilità

16 Lug

Alessandro Gilioli, uno dei più attenti osservatori della nostra quotidiana realtà, ha scritto questo post (riportato integralmente più sotto) con cui concordo pienamente. E’ la sintesi cui ci hanno portato gli ultimi vent’anni ma dove non sono comunque racchiuse tutte le responsabilità: gli anni del Berlusconi trionfante affondano le radici fin dai ’60, quando la classe politica si beava del florido sviluppo cui stava assistendo e di cui aveva ben pochi meriti,  non pensando – per pura incapacità – a costruire il futuro economico, politico, sociale e culturale del Paese.

Tra la fine di quel decennio e quello successivo si vivono gli anni di piombo: e neppure allora la classe dirigente, nonostante i segnali del ’68 fossero chiari, si preoccupò di individuare le origini del disagio e del malessere, porvi rimedio, studiare come lanciare i ponti per un futuro fatto di responsabilità e consapevolezza.  Era forse una delle ultime occasioni per ricostruire la scuola e l’istruzione, dare una coscienza civica al Paese, investire nel sociale; in altre parole, puntare all’obbiettivo vitale delle giovani generazioni come i nuovi italiani liberati dalle scorie del passato: politici preparati e integerrimi, imprenditori lungimiranti, cittadini con un profondo e innato senso del dovere.

Il vaso di Pandora esplose con Tangentopoli e nacque ancora una volta la speranza che la piccola Italia della collusione, della corruzione, dei furbi inetti ma potenti, sarebbe stata spazzata via. Invece arrivò  – terribile ironìa della sorte nelle parole – Forza Italia.  E da allora cominciò la discesa inarrestabile che ci ha portati fin qui e alle parole di Zavoli che riporta Gilioli.

Ecco quindi la spaventosa responsabilità: per il passato, di quelli che cinquant’anni fa non furono capaci – pur avendo tutto, ma proprio tutto, a disposizione – di progettare e realizzare la nuova Italia; di quelli che seguirono ricalcando pigramente o per convenienza personale  il percorso dei predecessori; di Berlusconi e dei suoi elettori, inclusi quelli in buona fede.
Per il presente, – e per il futuro – la spaventosa responsabilità è di chi guida oggi il Paese e punta su riforme che tendono a creare un concentrato di potere mai visto nè immaginato nelle mani di una sola persona, dimenticando o mettendo scientemente da un lato la partecipazione democratica alle scelte. Come ha scritto sul Corriere Mauro Magatti,

“Ma per costruire e cambiare davvero, per rianimare un’intera società, occorre saper decidere delineando il senso di un cambiamento di cui sia possibile condividere con altri le aspirazioni e le ragioni. Che vengono prima e vanno oltre la persona del leader. E di cui egli porta, solo provvisoriamente, la responsabilità.”

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l ricatto e il pugno di mosche

di Alessandro Gilioli

«Siamo tutti sotto ricatto. Stiamo approvando una riforma spaventosa ma, se casca questo governo, è la barbarie. Se Renzi fallisce si apre una voragine pericolosa». Così Sergio Zavoli, che a 90 anni ha l’età in cui, diciamo, non si temono conseguenze.

È proprio così, in questo Paese.

Dove nessuno vede un’alternativa realistica all’esecutivo in carica: non solo i poteri economici e mediatici – conformisti come non erano mai stati – ma neppure milioni di cittadini comuni, siano partite Iva o dipendenti preoccupati per la sorte della propria azienda, pensionati o Cocopro. Tutti renziani? In un certo senso sì, ma più per necessità che per amore, insomma soprattutto per mancanza d’altro alle viste.

Colpa di tutti, s’intende.

Colpa di una destra che per vent’anni si è schierata dietro Berlusconi, e oggi esiste solo come corrente renziana. Colpa di una sinistra che non ha saputo sostituire la vecchia oligarchia piddina con una generazione preparata e consapevole: ammannendoci ai posti di comando incapaci arroganti come Boschi o Serracchiani. Colpa di un Movimento 5 Stelle che non ha capito la responsabilità ciclopica di essere diventato l’unica opposizione e non ha quindi saputo proporsi come credibile alternativa di governo.

Quindi ci resta in mano un pugno di mosche. Il niente. E il ricatto di cui parla Zavoli: “una riforma spaventosa”, a cui tuttavia pochissimi hanno il coraggio di opporsi nei suoi pessimi contenuti, in nome di una real politik che è la sconfitta di tutti.

 

 

 

 

 

 

 

Se non è autoritarismo questo

7 Lug

Qualcuno mi dica cos’è, allora.

Con un sentito grazie a Nando Cancedda.

 

 

Le balle, i creduloni e i fatti: alcune verità sulla riforma del Senato

4 Apr

Senatori eletti o nominati?
Il nuovo Senato come il Bundesrat tedesco?
Avremo un grande risparmio col nuovo Senato?
E’ sbagliato parlare di ‘svolta autoritaria’?

A queste ed altre domande risponde con questo esauriente post Alessandro Gilioli, che ringrazio vivamente.

La gatta frettolosa e le riforme di Renzi (aggiornamento*)

3 Mar

*Noto con rammarico che è necessario aggiornare questo mio post del 27 gennaio per aggiungere al titolo:e le nomine dei sottosegretari“.
Sperando di finirla qui, ovviamente.  🙂

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Tutte le volte che polemizzo con un sostenitore delle riforme proposte dal segretario del Pd,  sostenendo la necessità di profonde modifiche e soprattutto del tempo per apportarle, a un certo punto l’interlocutore/trice sentenzia (scuotendo lentamente il capo con un atteggiamento patermalistico-pensieroso), citando un vecchio adagio: “il meglio è nemico del bene”.

Ho preso allora a rispondere – se questa è la modalità della discussione faccio presto ad adeguarmi – con un altro vecchio detto romanesco: “E la gatta presciolosa [= frettolosa] fece i gattini ciechi”. Non so se funzioni, ma improvvisamente l’altro/a si ricorda che ha da fare qualcosa e  la discussione si tronca lì.

La gatta frettolosa e le riforme di Renzi

27 Gen

Tutte le volte che polemizzo con un sostenitore delle riforme proposte dal segretario del Pd,  sostenendo la necessità di profonde modifiche e soprattutto del tempo per apportarle, a un certo punto l’interlocutore/trice sentenzia (scuotendo lentamente il capo con un atteggiamento patermalistico-pensieroso), citando un vecchio adagio: “il meglio è nemico del bene”.

Ho preso allora a rispondere – se questa è la modalità della discussione faccio presto ad adeguarmi – con un altro vecchio detto romanesco: “E la gatta presciolosa [= frettolosa] fece i gattini ciechi”. Non so se funzioni, ma improvvisamente l’altro/a si ricorda che ha da fare qualcosa e  la discussione si tronca lì.

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