“Non c’è bisogno di aspettare l’intervento della magistratura. Di fronte a fatti così gravi, che ledono il prestigio delle istituzioni, sarebbe doveroso da parte dei ministri coinvolti rassegnare le proprie dimissioni e avere il gusto, lo stile, di ritirarsi dalla politica e cambiare mestiere.”
Enrico Berlinguer, Tribuna Politica, 15 dicembre 1981, a proposito dei ministri del Governo coinvolti nello scandalo P2.
Non credo sia un mistero, per i pochi che mi seguono qui e altrove, che sostengo Civati nella sua corsa per la segreteria del Pd ed è principalmente per questo motivo che i fatti dell’altra sera mi hanno sgradevolmente colpito. Invece di assicurare il rigore tanto sbandierato (bisogna «essere garantisti e garantire opportunità e rispetto delle regole» come «elemento chiave del nostro governo») invitando il ministro Cancellieri a presentare le dimissioni, Letta ha preferito sostituirsi al segretario del Pd – rimasto nell’occasione inspiegabilmente silenzioso – per brandire la clava di una sfiducia al suo governo che non aveva motivo di minacciare, se non come disposizione pervenuta da una voce autorevole. Intendiamoci, quest’ultima è stata al momento una mia personalissima quanto emotiva interpretazione dei fatti che però vedo stia assumendo ora contorni più concreti, anche se ribadisco che allo stato attuale non c’è prova che essa abbia riscontro nella realtà.
Ma torniamo a quanto accaduto l’altra sera alla riunione del gruppo parlamentare del Pd alla Camera. Per presentare una mozione di sfiducia alla Camera servono 63 voti e Civati di firme ne aveva raccolte una decina ma contava di raccoglierne altre principalmente tra i deputati schierati con Renzi, che aveva condiviso l’idea della mozione di sfiducia alla Cancellieri. E’ andato all’assemblea e ha presentato la mozione. Ma prima è intervenuto Letta a dire che se cadeva la Cancellieri cadeva il governo, poi è intervenuto Cuperlo e ha minacciato, infine i renziani hanno fatto inversione a U e mentre prima dicevano “si alla sfiducia” improvvisamente hanno detto “sì, signore”.
Dell’ intervento di Cuperlo riporto qui questo brano (diretto indovinate a chi), tanto per dare un’idea dell’aria che tirava: “La stessa chiarezza con la quale mi permetto di dire che non è accettabile che si assuma individualmente, e a mezzo stampa, l’iniziativa di una mozione di sfiducia verso un ministro del nostro governo, senza prima porre quel tema nella sede deputata che è l’assemblea del gruppo parlamentare al quale si è aderito. E però capisco che in un partito dove anche votare la fiducia al governo è diventata una variabile soggettiva, questa non sia considerata una priorità.” Ora, Civati era proprio lì, all’assemblea, a presentare la sua mozione e – come detto prima – cercava altre firme tra i seguaci di Renzi che nel frattempo avevano deciso di soprassedere. Perché? Chiedetelo a loro.
Dice Civati nell’intervista ad Alessandro Gilioli su l’Espresso: «Ho cercato di riportare la cosa al suo significato originale: la mozione di sfiducia individuale verso un ministro. Non un voto sul governo, dunque. Ho citato l’articolo 95 della Costituzione. Ho contestato il metodo e il merito con cui il Pd aveva gestito tutta la vicenda. Intorno ridacchiavano, facevano smorfie». A quel punto a Civati restavano solo due opzioni di testimonianza, cioè la partita l’aveva comunque persa, poteva solo fare un gesto dimostrativo, inutile.
La prima opzione era votare la mozione del M5S, che però faceva schifo sia per come era scritta tecnicamente, sia per i contenuti. Oppure poteva astenersi: ma in entrambi i casi rischiava l’espulsione dal PD a dieci giorni dalle primarie. E il tutto per non ottenere niente, solo una prima pagina sui giornali.
Oggi Civati ribadisce nel suo blog: “non ho affatto ritirato la mozione, come scrivono in molti, solo che la mozione era una proposta al Pd, come ho spiegato fin dal primo giorno, nonostante qualcuno avesse maliziato in proposito. Non era una mozione individuale era una sfiducia individuale. Peccato averla trasformata in qualcosa di diverso. Peccato che nessuno abbia voluto raccogliere la proposta. Peccato che nessuno abbia tenuto fede alle parole stentoree dei giorni precedenti.”
Quindi, (traggo sempre dall’intervista a Gilioli) “l’unica alternativa era lasciare il partito. A due settimane dalle primarie in cui sono candidato alla segreteria. E anche se può sembrare strano, non è affatto facile andare in una riunione di gruppo in cui sei quasi isolato e dire come la pensi. Ribadendolo anche in aula, il giorno dopo, con tutti pronti a saltarmi addosso”. Cosa che ha puntualmente fatto: “ho detto, nel tempo che avevo a disposizione, che la mia proposta di mozione di sfiducia individuale era diretta al gruppo del Pd, che invece aveva deciso diversamente, quindi avrei votato anch’io ‘no’ alla mozione del M5S, come tutto il gruppo”.
Lasciare il Pd? Confesso che io invece sono stato tentato di farlo, ma ho sempre abbandonato l’idea: nel Pd nonostante tutto ci sono tante, ma proprio tante persone valide, in quel partito ci sono ideali condivisi, in quel partito è stata investita fiducia e fatica. A quel partito fanno riferimento tanti cittadini che meritano ben altre risposte e con una adeguata leadership quel partito potrebbe rappresentare la tanto sospirata svolta che il nostro Paese attende. Per cui bene ha fatto Civati a tener duro: aspettiamo le Primarie dell’8 dicembre e ci sarà tempo per decidere il da farsi.
Concludo per aggiungere solo alle considerazioni su questa vicenda che non ho parole per definire, nell’ordine: Letta, Renzi e Cuperlo.
Letta, perché tenere in piedi un governo con questi metodi è impensabile; Renzi perchè questa era la sua occasione per far vedere come dovrebbe comportarsi il segretario di un importante partito e adeguandosi disciplinatamente si è invece giocato questa importante opportunità; Cuperlo, perchè ha dimostrato che non potrebbe fare il segretario di un partito, uno qualunque, perché farà sempre e comunque quel che gli viene detto di fare dal superiore di turno.
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