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Senza pilota

25 Feb

«Siamo come i passeggeri di un aereo quando scoprono che la cabina di pilotaggio è vuota e che la voce rassicurante del capitano era solo la ripetizione di un messaggio registrato molto tempo prima».

Con questa citazione di Zygmunt Bauman si chiude un post di Alessandro Gilioli dal titolo significativo: “Lo scollamento”,  basato sul rapporto ‘Nella “terra di mezzo” fra terrore globale e paure quotidiane’ realizzato dall’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza.  Gilioli punta il dito su una tabella in particolare, quella sul rapporto di fiducia cittadini-istituzioni in sei paesi europei  tra cui l’Italia, che mi ha lasciato senza parole. Non so voi.

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Lo scollamento

Mentre i media spiegano in modo quasi unanime che sta arrivando la ripresa economica e che l’Isis è una minaccia incombente, gli italiani rivelano che la paura del terrorismo internazionale è pari a meno di un ventesimo di quella per la disoccupazione.

Non male, come scollamento tra realtà e narrazione.

Ecco: scollamento è la parola chiave che emerge da tutto il rapporto sulla sicurezza realizzato da Fondazione Unipolis, Demos&Pi e Osservatorio di Pavia, che prende in considerazione sei diversi Paesi europei.

Scollamento impressionante direi: non solo tra cittadini e media, ma soprattutto tra cittadini e istituzioni. Guardate ad esempio la tabella qui sotto, fa abbastanza effetto:

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Ma accanto allo scollamento tra cittadini e politica (la famosa diade piazza-palazzo) c’è anche, più in generale, quello tra cittadini e corpi intermedi; e alla fine pure tra cittadini e cittadini, cioè tra individui. Ciascuno dei quali ha fatto tristemente propria la nozione che per sopravvivere può fare affidamento solo su stesso e al limite sulla buona sorte, ma su niente altro.

È un mezzo disastro sociale, quello che emerge da questo studio. Che spero finisca rapidamente sui tavoli della politica, tutta ma proprio tutta. «Chi prova solitudine percepisce una maggiore insicurezza rispetto agli altri», ha detto Ilvo Diamanti commentandolo, mentre monsignor Nunzio Galantino ha aggiunto che «servirebbe il reddito minimo» – e benvenuto. A me leggendolo è invece venuta in mente solo una bella e atroce frase di Zygmunt Bauman, che avevo letto qualche tempo fa: «Siamo come i passeggeri di un aereo quando scoprono che la cabina di pilotaggio è vuota e che la voce rassicurante del capitano era solo la ripetizione di un messaggio registrato molto tempo prima».

 

Una notizia buona e una cattiva.

1 Dic

E’ una vecchia storiella. In un’azienda i due ai massimi vertici s’incontrano e uno dice all’altro:
– “Ho due notizie per te, una buona e una cattiva. Quale vuoi per prima?”
-“Occristo, dammi quella cattiva, dai”.
-“Siamo nella merda”.
-“Porcavacca. E la notizia buona?”
-“Ce n’è tanta”.

Ecco, mi è venuta in mente leggendo poco fa questa lucida e impietosa analisi di Alessandro Gilioli.
Se queste sono le premesse – e mi pare proprio che lo siano – quale che sia la direzione che prenderanno i fatti non mi pare che ci sia da esserne felici e giubilanti. Ce n’è tanta, è vero.

Oh, se la vedete diversamente fatemelo sapere, non fate i soliti.

Potrebbe sempre andare peggio

25 Nov

Mio nonno, un solido veronese che aveva fatto due guerre mondiali, quando le cose si mettevano male diceva: “potrebbe sempre andare peggio“. Molti anni dopo ho capito che oltre alla funzione scaramantica la frase era anche l’espressione di una irriducibile volontà di resistenza in uno che davvero ne aveva viste di tutti i colori. Mi è tornata alla mente oggi, di fronte alla clamorosa astensione dal voto nelle  elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria. Poteva andar peggio, mi son detto, complice il mio inguaribile ottimismo.

Poi ho guardato all’istantanea che questo non-voto rappresenta. Un Paese rassegnato e sconfitto. Uno schiaffo alla classe politica. Come se l’elettorato, i cittadini, il popolo avesse detto ad alta voce alla casta: ah, volete continuare a fare come vi pare? Non ascoltate la nostra voce? Respingete le più elementari regole del vivere civile e della democrazia? Ignorate le nostre legittime richieste, i nostri diritti? Va bene, allora vi lasciamo fare. Anzi, vi lasciamo.

Perfino la protesta populistica di Grillo esce battuta ed è forse, oltre all’ascesa della Lega, il segnale più evidente della sfiducia  mista a protesta dei cittadini. Il potere politico ha fatto di tutto per dare il peggio di sé: scandali, corruzione, incapacità, errori, sul piano locale come su quello nazionale. Sempre nella totale indifferenza per l’elettore.  Per cui non c’è da meravigliarsi se ci si compiace della vittoria comunque raccolta, ancorché basata su percentuali di voto che sarebbero ridicole se non fossero, al contrario, preoccupanti.  Infatti, come se non bastasse il tweet del mattino, Renzi ha ribadito che l’astensione è “un problema secondario”.
Renzi tw
Il camaleontismo di Renzi non dovrebbe più meravigliare, eppure , come ha acutamente ricordato Antonio Sicilia, fa un certo effetto risentire quanto dichiarava  all’indomani delle elezioni siciliane di due anni fa.

Ora, io non voglio metterla giù pesante e cominciare a citare il Titanic (tanto l’ha già fatto più d’uno), ma certo qualche colossale e minaccioso iceberg nella notte che ci avvolge si sta avvicinando. Secondo questo prospetto (grazie, Nando Longoni) il Pd ha perso 300.000 voti tra le due consultazioni regionali. Ma si può essere sicuri che siano tutti voti targati Pd o la diaspora è ancora maggiore ma non visibile, in quanto rimpiazzata da voti provenienti dal centro e dalla destra?

Elezioni regionali 23 11 14
Alessandro Gilioli, con cui spesso concordo, infatti la vede così:

“…se il centrodestra e il centrosinistra sono ormai indistinguibili per proposta politica; se a sinistra del centrosinistra non c’è niente, come rappresentanza; se a destra del centrodestra c’è invece Salvini; e se infine il Movimento 5 Stelle da un anno e mezzo corre come un criceto sulla ruota; beh, francamente, se accade tutto questo non mi pare questa gran sorpresona il fatto che in pochi abbiano voglia di andare a votare”.

L’analisi di Gilioli chiude poi con una fosca previsione (tutt’altro che fantasiosa, però):

“…chissà se non capisce [Renzi] o fa finta di non capire come stanno le cose, e chissà se farà i caroselli anche quando il Pd avrà il 60 per cento del 20 per cento degli italiani.
Cioè, di questo passo, tra un paio d’anni”.

Qualcuno mi faceva notare che il nostro Macchiavelli reincarnato sarebbe felice di questa prospettiva, potendo così contare sul 60% dei parlamentari. Nonostante tutto, io auguro invece a Renzi di rendersi consapevole quanto prima che con questo tasso di astensione il suo destino sarebbe quello di un leader dimezzato, non potendosi mai identificare come il Presidente della maggioranza degli elettori. In altre parole, se Renzi tiene al futuro dell’Italia (dopo il proprio, ovvio) non dovrebbe esultare davanti  alla prospettiva dell’80% di rifiuto del voto. Sarebbe la bocciatura sua e di tutto il sistema,  la bancarotta delle istituzioni, il Paese allo sbando senza motivazione e senza volontà. E che se ne farebbe allora del 60% dei parlamentari?

Un paese dove vota solo il 20% è un Paese sconfitto, senza volontà, dove vince la rassegnazione. E’ un paese morto. Ma soprattutto sarebbe un paese dove l’80%  respinge o ignora il suo leader (che per un tipino come Renzi forse è pure peggio). Se quindi ne è consapevole, Renzi farà/dovrà fare qualcosa per cambiare e dobbiamo solo augurargli buona fortuna.
Se non lo è – o se ne frega – peggio per lui e, purtroppo, per tutti noi.
E stavolta mio nonno avrebbe torto.

Juncker: un traditore della UE?

8 Nov

luxleaks
Così pare, leggendo quanto rivelato dal gruppo di giornalisti che si riuniscono sotto la sigla ICIJ (International Consortium of Investigative Journalism). 80 giornalisti di 26 paesi hanno esaminato e passato al setaccio oltre 26.000 pagine di documenti riservati del governo lussemburghese. Il loro lavoro è qui, in un sito chiamato Luxembourg Leaks, dove sono elencate e riportate 548 sentenze fiscali e altri documenti che coinvolgono gli accordi segreti relativi alla tassazione tra il Lussemburgo e 343 aziende di tutti i paesi, intercorsi tra il 2002 e il 2010. Per l’Italia, sono emerse finora la Banca delle Marche, la Popolare dell’Emilia Romagna, Finmeccanica, Banca Sella, Intesa San Paolo, Unicredit.

Tutte queste aziende, da Amazon a Ikea, da Procter&Gamble a Glaxo e così via, hanno incanalato nel Granducato miliardi dollari risparmiandon e, dopo gli accordi col governo lussemburghese, la massima parte e giungendo in qualche caso a pagare meno dell’1% di quanto avrebbero dovuto nel Paese d’origine. Per mesi UE e Lussemburgo hanno tenuto viva una disputa sulla documentazione che i funzionari del Granducato avrebbero dovuto produrre e si sono rifiutati di fare. Dopo di che i giornalisti dell’ICIJ si sono messi al lavoro e hanno messo a disposizione dei media internazionali e della pubblica opinione questa inchiesta.

Una prima conclusione è che uno Stato membro della UE ha scientemente tradito lo spirito dell’Unione e ha sottratto agli altri Stati membri  di volta in volta coinvolti  rilevanti volumi di tasse sui profitti. E a poco vale la scusa che questa è la regolamentazione del sistema fiscale lussemburghese: è l’elasticità insita nel sistema che produce queste distorsioni.

E veniamo a Jean-Claude Juncker, già Primo Ministro del Lussemburgo e oggi Presidente della Commissione Europea a seguito delle elezioni del 25 maggio e dell’accordo tra il suo partito, il PPE, e i socialisti di Martin Schultz. Solo la sinistra radicale e i verdi si opposero alla sua candidatura, invocando l’abbandono della politica tecnocratica e un’Europa dei cittadini. Ma così non è stato e, come dice giustamente Alessandro Gilioli nel suo post dal titolo “Juncker, vergogna d’Europa” (il neretto è mio)

“…da ieri si hanno le prove – le prove – che il nuovo presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker è un signore che per 18 anni, cioè per tutto il tempo in cui è stato premier del Lussemburgo, ha aiutato decine di corporation private a eludere le tasse nei Paesi europei in cui facevano profitti; e che ciò avveniva attraverso accordi segreti con il governo che lui stesso presiedeva, quello appunto lussemburghese….Il presidente Juncker non ha commesso nulla d’illegale, questo è chiaro, avendo agito secondo le leggi del paese-paradiso fiscale di cui era premier. La questione quindi non è giudiziaria: è squisitamente politica. Infatti il presidente Juncker, che oggi incarna il governo di 506 milioni di cittadini europei, per 18 anni ha sottratto a questi stessi cittadini soldi e servizi per aiutare centinaia di aziende a eludere le tasse nei Paesi in cui facevano profitti.
E’ adatto, quindi, Juncker a presiedere il governo dell’Europa unita? È la persona giusta per “avvicinare i cittadini alle istituzioni europee”, così come dicevano i diversi partiti delle larghe intese in coro, durante la campagna elettorale? Di più: avrà qualche autorevolezza nel chiedere ai cittadini europei “sacrifici” e “austerità”, dopo aver sottratto loro centinaia di milioni di euro?”

E io aggiungo che c’è in tutto questo una gigantesca esigenza di etica, un problema che va risolto in modo chiaro e netto. Anche perché il pericolo è che questa stridente contraddizione subisca le basse manovre della politica e veda democristiani e socialisti difendere ottusamente il loro candidato contro gli interessi dei loro stessi paesi e prima ancora dello spirito dell’Unione.

Ecco perchè aspetto che su questa sciagurata faccenda si dichiari al più presto il Presidente di turno della UE, il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Forse non ce ne rendiamo conto, ma il sogno dell’Europa Unita si allontana sempre di più: da una parte i movimenti locali anti-euro, dall’altra le fredde tecnocrazie e gli egoismi dei più forti. E noi, semplici cittadini, in mezzo.

 

 

 

Dov’è finita la sinistra?

9 Ago

La diaspora
Sto leggendo questo libro di Alessandro Gilioli sugli ultimi anni della sinistra italiana e lo trovo avvincente come un romanzo. Ho scritto ‘ultimi’ involontariamente, lo giuro, dev’essere stato un riflesso freudiano. 🙂

Una spaventosa responsabilità

16 Lug

Alessandro Gilioli, uno dei più attenti osservatori della nostra quotidiana realtà, ha scritto questo post (riportato integralmente più sotto) con cui concordo pienamente. E’ la sintesi cui ci hanno portato gli ultimi vent’anni ma dove non sono comunque racchiuse tutte le responsabilità: gli anni del Berlusconi trionfante affondano le radici fin dai ’60, quando la classe politica si beava del florido sviluppo cui stava assistendo e di cui aveva ben pochi meriti,  non pensando – per pura incapacità – a costruire il futuro economico, politico, sociale e culturale del Paese.

Tra la fine di quel decennio e quello successivo si vivono gli anni di piombo: e neppure allora la classe dirigente, nonostante i segnali del ’68 fossero chiari, si preoccupò di individuare le origini del disagio e del malessere, porvi rimedio, studiare come lanciare i ponti per un futuro fatto di responsabilità e consapevolezza.  Era forse una delle ultime occasioni per ricostruire la scuola e l’istruzione, dare una coscienza civica al Paese, investire nel sociale; in altre parole, puntare all’obbiettivo vitale delle giovani generazioni come i nuovi italiani liberati dalle scorie del passato: politici preparati e integerrimi, imprenditori lungimiranti, cittadini con un profondo e innato senso del dovere.

Il vaso di Pandora esplose con Tangentopoli e nacque ancora una volta la speranza che la piccola Italia della collusione, della corruzione, dei furbi inetti ma potenti, sarebbe stata spazzata via. Invece arrivò  – terribile ironìa della sorte nelle parole – Forza Italia.  E da allora cominciò la discesa inarrestabile che ci ha portati fin qui e alle parole di Zavoli che riporta Gilioli.

Ecco quindi la spaventosa responsabilità: per il passato, di quelli che cinquant’anni fa non furono capaci – pur avendo tutto, ma proprio tutto, a disposizione – di progettare e realizzare la nuova Italia; di quelli che seguirono ricalcando pigramente o per convenienza personale  il percorso dei predecessori; di Berlusconi e dei suoi elettori, inclusi quelli in buona fede.
Per il presente, – e per il futuro – la spaventosa responsabilità è di chi guida oggi il Paese e punta su riforme che tendono a creare un concentrato di potere mai visto nè immaginato nelle mani di una sola persona, dimenticando o mettendo scientemente da un lato la partecipazione democratica alle scelte. Come ha scritto sul Corriere Mauro Magatti,

“Ma per costruire e cambiare davvero, per rianimare un’intera società, occorre saper decidere delineando il senso di un cambiamento di cui sia possibile condividere con altri le aspirazioni e le ragioni. Che vengono prima e vanno oltre la persona del leader. E di cui egli porta, solo provvisoriamente, la responsabilità.”

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l ricatto e il pugno di mosche

di Alessandro Gilioli

«Siamo tutti sotto ricatto. Stiamo approvando una riforma spaventosa ma, se casca questo governo, è la barbarie. Se Renzi fallisce si apre una voragine pericolosa». Così Sergio Zavoli, che a 90 anni ha l’età in cui, diciamo, non si temono conseguenze.

È proprio così, in questo Paese.

Dove nessuno vede un’alternativa realistica all’esecutivo in carica: non solo i poteri economici e mediatici – conformisti come non erano mai stati – ma neppure milioni di cittadini comuni, siano partite Iva o dipendenti preoccupati per la sorte della propria azienda, pensionati o Cocopro. Tutti renziani? In un certo senso sì, ma più per necessità che per amore, insomma soprattutto per mancanza d’altro alle viste.

Colpa di tutti, s’intende.

Colpa di una destra che per vent’anni si è schierata dietro Berlusconi, e oggi esiste solo come corrente renziana. Colpa di una sinistra che non ha saputo sostituire la vecchia oligarchia piddina con una generazione preparata e consapevole: ammannendoci ai posti di comando incapaci arroganti come Boschi o Serracchiani. Colpa di un Movimento 5 Stelle che non ha capito la responsabilità ciclopica di essere diventato l’unica opposizione e non ha quindi saputo proporsi come credibile alternativa di governo.

Quindi ci resta in mano un pugno di mosche. Il niente. E il ricatto di cui parla Zavoli: “una riforma spaventosa”, a cui tuttavia pochissimi hanno il coraggio di opporsi nei suoi pessimi contenuti, in nome di una real politik che è la sconfitta di tutti.

 

 

 

 

 

 

 

Civati, la coerenza e gli altri.

21 Nov

 “Non c’è bisogno di aspettare l’intervento della magistratura. Di fronte a fatti così gravi, che ledono il prestigio delle istituzioni, sarebbe doveroso da parte dei ministri coinvolti rassegnare le proprie dimissioni e avere il gusto, lo stile, di ritirarsi dalla politica e cambiare mestiere.”
Enrico Berlinguer, Tribuna Politica, 15 dicembre 1981, a proposito dei ministri del Governo coinvolti nello scandalo P2
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Non credo sia un mistero, per i pochi che mi seguono qui e altrove, che sostengo Civati nella sua corsa per la segreteria del Pd ed è principalmente per questo motivo che i fatti dell’altra sera mi hanno sgradevolmente colpito. Invece di assicurare il rigore tanto sbandierato (bisogna «essere garantisti e garantire opportunità e rispetto delle regole» come «elemento chiave del nostro governo») invitando il ministro Cancellieri a presentare le dimissioni, Letta ha preferito sostituirsi al segretario del Pd – rimasto nell’occasione  inspiegabilmente silenzioso – per brandire la clava di una sfiducia al suo governo che non aveva motivo di minacciare, se non come disposizione pervenuta da una voce autorevole. Intendiamoci, quest’ultima è stata al momento una mia personalissima quanto emotiva  interpretazione dei fatti che però vedo stia assumendo ora contorni più concreti, anche se ribadisco che allo stato attuale non c’è prova che essa abbia riscontro nella realtà.

Ma torniamo a quanto accaduto l’altra sera alla riunione del gruppo parlamentare del Pd alla Camera. Per presentare una mozione di sfiducia alla Camera servono 63 voti e Civati di firme ne aveva raccolte una decina ma contava di raccoglierne altre principalmente tra i deputati schierati con Renzi, che aveva condiviso l’idea della mozione di sfiducia alla Cancellieri. E’ andato all’assemblea e ha presentato la mozione. Ma prima è intervenuto Letta a dire che se cadeva la Cancellieri cadeva il governo, poi è intervenuto Cuperlo e ha minacciato, infine i renziani hanno fatto inversione a U e mentre prima dicevano “si alla sfiducia” improvvisamente hanno detto “sì, signore”.

Dell’ intervento di Cuperlo riporto qui questo brano (diretto indovinate a chi), tanto per dare un’idea dell’aria che tirava: “La stessa chiarezza con la quale mi permetto di dire che non è accettabile che si assuma individualmente, e a mezzo stampa, l’iniziativa di una mozione di sfiducia verso un ministro del nostro governo, senza prima porre quel tema nella sede deputata che è l’assemblea del gruppo parlamentare al quale si è aderito. E però capisco che in un partito dove anche votare la fiducia al governo è diventata una variabile soggettiva, questa non sia considerata una priorità.” Ora, Civati era proprio lì, all’assemblea, a presentare la sua mozione e – come detto prima – cercava altre firme tra i seguaci di Renzi che nel frattempo avevano deciso di soprassedere. Perché? Chiedetelo a loro.

Dice Civati nell’intervista ad Alessandro Gilioli su l’Espresso: «Ho cercato di riportare la cosa al suo significato originale: la mozione di sfiducia individuale verso un ministro. Non un voto sul governo, dunque. Ho citato l’articolo 95 della Costituzione. Ho contestato il metodo e il merito con cui il Pd aveva gestito tutta la vicenda. Intorno ridacchiavano, facevano smorfie». A quel punto a Civati restavano solo due opzioni di testimonianza, cioè la partita l’aveva comunque persa, poteva solo fare un gesto dimostrativo, inutile.

La prima opzione era votare la mozione del M5S, che però faceva schifo sia per come era scritta tecnicamente, sia per i contenuti. Oppure poteva astenersi: ma in entrambi i casi rischiava l’espulsione dal PD a dieci giorni dalle primarie. E il tutto per non ottenere niente, solo una prima pagina sui giornali.

Oggi Civati ribadisce nel suo blog: “non ho affatto ritirato la mozione, come scrivono in molti, solo che la mozione era una proposta al Pd, come ho spiegato fin dal primo giorno, nonostante qualcuno avesse maliziato in proposito. Non era una mozione individuale era una sfiducia individuale. Peccato averla trasformata in qualcosa di diverso. Peccato che nessuno abbia voluto raccogliere la proposta. Peccato che nessuno abbia tenuto fede alle parole stentoree dei giorni precedenti.”

Quindi, (traggo sempre dall’intervista a Gilioli) “l’unica alternativa era lasciare il partito. A due settimane dalle primarie in cui sono candidato alla segreteria. E anche se può sembrare strano, non è affatto facile andare in una riunione di gruppo in cui sei quasi isolato e dire come la pensi. Ribadendolo anche in aula, il giorno dopo, con tutti pronti a saltarmi addosso”. Cosa che ha puntualmente fatto: “ho detto, nel tempo che avevo a disposizione, che la mia proposta di mozione di sfiducia individuale era diretta al gruppo del Pd, che invece aveva deciso diversamente, quindi avrei votato anch’io ‘no’ alla mozione del M5S, come tutto il gruppo”.

Lasciare il Pd? Confesso che io invece sono stato tentato di farlo, ma ho sempre abbandonato l’idea: nel Pd nonostante tutto ci sono tante, ma proprio tante persone valide, in quel partito ci sono ideali condivisi, in quel partito è stata investita fiducia e fatica. A quel partito fanno riferimento tanti cittadini che meritano ben altre risposte e con una adeguata leadership quel partito potrebbe rappresentare la tanto sospirata svolta che il nostro Paese attende. Per cui bene ha fatto Civati a tener duro: aspettiamo le Primarie dell’8 dicembre e ci sarà tempo per decidere il da farsi.

Concludo per aggiungere solo alle considerazioni su questa vicenda che non ho parole per definire, nell’ordine: Letta, Renzi e Cuperlo.
Letta, perché tenere in piedi un governo con questi metodi è impensabile; Renzi perchè questa era la sua occasione per far vedere come dovrebbe comportarsi il segretario di un importante partito e adeguandosi disciplinatamente si è invece giocato questa importante opportunità; Cuperlo, perchè ha dimostrato che non potrebbe fare il segretario di un partito, uno qualunque, perché farà sempre e comunque quel che gli viene detto di fare dal superiore di turno.

 

 

 

 

Potrebbe andare peggio?

30 Ago

Il genio di Altan e la breve, lucida e diretta  analisi di Alessandro Gilioli su l’Espresso ci danno il quadro della situazione. Raccapricciante.
Mio nonno, che aveva fatto due guerre mondiali, quando nasceva un problema usava dire ‘potrebbe sempre andare peggio’. Era un modo per consolarsi e per farsi forza. Mi sto domandando se oggi posso permettermi di dirlo.

Altan non volevamo niente

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