Archivio | Maggio, 2016

Sindaci “a condizione che”.

29 Mag

Il significativo pseudonimo mi impedisce purtroppo di complimentarmi direttamente con l’autore di questo breve articolo che ha il pregio di dimostrare, una volta per tutte, la deriva autoritaria che ha ormai travolto ogni limite democratico dei partiti e dei movimenti che ancora si agitano disordinatamente sulla scena della politica italiana. N.b. Il neretto è tutto mio.

Sindaci nelle mani delle segreterie di partito

La legge che prevede l’elezione diretta dei sindaci dei comuni con oltre quindicimila abitanti fu approvata dalle Camere sull’onda di due referendum in materia elettorale, del 1991 e del 1993. I giovani di oggi ricordano poco o nulla, ignorano o quasi chi sia Mario Segni, che quell’ondata referendaria promosse con tenacia e testardaggine sarda, trasformando l’iniziale irrisione delle forze politiche in un’adesione tanto massiccia quanto calcolata ed autoconservativa. Il carro del vincitore si affollò come non mai di migranti e rifugiati politici di qualsiasi provenienza e mediocre prospettiva. Rimase a terra, orgoglioso del suo carattere controcorrente, il solo Bettino Craxi, tra i cui difetti non rientrò mai quello del muoversi per convenienza al seguito di altri. Assieme alla legge chiamata Mattarellum, ma ben più di questa,la legge sui sindaci iniettò nel pigro e comodo proporzionalismo del nostro ordinamento dosi massicce di spirito maggioritario, non disgiunte da un’evidente e non dissimulata tendenza presidenzialistica: che lì, al livello dei sindaci, si arrestarono, dopo avere influenzato l’elezione dei presidenti di regione. Non a caso da quel giorno chiamati pomposamente governatori, a pedissequa emulazione dei presidenzialissimi Stati Uniti. Che la ventata maggioritaria sia stata subita, anzichè promossa dalle forze politiche, lo rivelò la deriva partitocratica che, con una legge elettorale regressiva, portò la coalizione berlusconiana a confinare la sovranità degli elettori nell’adesione passiva ed umiliante ad un intangibile elenco di persone confezionato dalle segreterie dei partiti. Elenco da prendere o da lasciare per intero: con l’effetto della recisione chirurgica di qualsiasi legame diretto tra elettori ed eletti. Rappresentati e rappresentanti, da allora, non si conobbero più. MarinoCampidoglioIl legame diretto è rimasto, sulla carta integro, tra i cittadini ed il proprio sindaco, ed ha il significato di trasferire il potere sull’eletto e sulla sua sorte dal partito che lo ha candidato agli elettori che lo hanno votato. Con una deroga: la via per riprendere il controllo da parte del partito è prevista e disegnata, ma richiede la trasparenza di un dibattito pubblico e di una decisione in sede di consiglio comunale. Procedura ben diversa da quella adottata, per fare un esempio, dal partito democratico per sbarazzarsi dell’ultimo sindaco eletto,con una motivazione generica, indimostrata e soggettiva; ed attraverso atti singoli e privati dei propri docili consiglieri. Ancora più differente, quella procedura, dalle scomuniche con finale espulsivo in uso disinvolto, anche nei confronti di sindaci, eletti presso il movimento cinquestelle, ad opera di soggetti o organismi del tutto anonimi e giuridicamente clandestini. Nel più plateale disprezzo per le istituzioni. Eppure, se la legge sull’elezione diretta non piaceva, bastava che qualcuno proponesse di cambiarla, cercando una maggioranza che peraltro non si sarebbe mai configurata. Perché violare una legge, e tanto più una legge “popolare”, è più facile, silenzioso e meno compromettente che non dichiarare di volerla cambiare e agire di conseguenza. A meno di due settimane dal voto, non vi è alcuna garanzia che Raggi, Giachetti, Meloni e Marchini- i possibili sindaci della capitale, stando ai sondaggi -, una volta eletti siano al sicuro da atti di forza dei rispettivi partiti. Si preferisce far credere ai cittadini che, almeno nel caso dei sindaci, la politica concede loro quello che ha tolto nell’elezione di deputati e senatori: anziché mostrare che, di quel potere generosamente riconsegnato, la chiave deve rimanere ben stretta nelle mani dei partiti. Che oggi hanno l’occasione per assicurare che il sindaco eletto lo sia, per quel che li riguarda, per l’intera durata del mandato. A scanso di abusi. Così come i candidati hanno la simmetrica occasione per dichiarare sospesa, per l’identica durata, la loro dipendenza dai partiti di appartenenza. È troppo chiedere, agli uni ed agli altri, un gesto che ridia un minimo di credibilità ad una politica in debito di legittimità?

E se un giorno ci trovassimo in Italia uno come Hofer*? (A proposito di Italicum e modifiche alla Costituzione)

25 Mag

nazischmierereien-1-737x470 (1)Il Governo Renzi sta svuotando di contenuto  le regole democratiche. Con la modifica della legge elettorale e della Costituzione sarà concentrato nelle mani del governo un potere senza precedenti. Nessun governo del passato era riuscito a tanto.

La Costituzione Repubblicana, frutto della lotta di Liberazione, è il punto culminante della storia del nostro Paese. Un patto di civile convivenza fra donne e uomini liberi, di diversi orientamenti, di destra e di sinistra, cattolici e laici, che hanno condiviso principi e regole. Essa è espressione delle tante culture del nostro paese, del rispetto di tutte le minoranze ed è intesa ad impedire e prevenire qualsiasi tentazione e pratica autoritaria.

Le modifiche costituzionali – combinate con la nuova legge elettorale e con le riforme della Pubblica Amministrazione –realizzano una grande concentrazione di potere nelle mani del Governo e del suo capo, attribuendo di fatto ad un unico partito – che  potrebbe anche essere espressione di una ristretta minoranza di elettori – potere esecutivo e potere legislativo, condizionando, altresì, la nomina del Presidente della Repubblica e dei componenti della Corte Costituzionale.

Va ricordato, poi, che molti partiti hanno assunto una deriva oligarchica, sono in mano a gruppi di potere ristretti e, spesso, ad un unico capo politico.

Il Parlamento viene ricondotto alla funzione di ratifica dei provvedimenti del Governo, nel quadro di un generale soffocamento del ruolo delle autonomie regionali e locali. Se a ciò si aggiunge il potere dei capi di partito di determinare i candidati e le liste ci si accorge del passaggio da una democrazia rappresentativa ad una democrazia dell’investitura (il capo – e non il popolo- sceglie i parlamentari).

Non può essere definita una riforma, ma una deforma. Talmente sbagliata, da essere avversata dalle più disparate culture politiche. Tutte le opposizioni, di sinistra, di centro (liberali), di destra (Forza Italia) Federaliste (Lega), nonché quelle non classificabili negli schemi canonici (Cinque Stelle) si sono espressi contro.

Una democrazia non si giudica dai poteri che attribuisce al partito di governo, ma dalla tutela del pluralismo e dalla rilevanza data ai diritti sociali e delle minoranze.  Si pensi ad un’estemporanea vittoria elettorale di partiti autoritari.  E’ veramente irresponsabile attribuire ai prossimi governi poteri quasi illimitati.

Salvaguardare la democrazia oggi, è garantire la propria libera voce domani e la sovranità popolare per le generazioni successive. 

http://www.iovotono.it/

Hofer*: chi è Norbert Hofer

Con questi avversari e questa stampa contro, Marino vincerebbe passeggiando.

23 Mag

Che il solo nome di Ignazio Marino inquieti ancora i sostenitori del Pd renziano è fuori discussione. Basterebbe a dimostrarlo l’articolo della prima pagina di Repubblica Roma del 20 maggio, dal fuorviante titolo “Sette romani su dieci  delusi da Marino”. Ma andiamo con ordine.
Marino, dichiarano ad ogni piè sospinto gli sfiducianti dal notaio, i loro ispiratori e il disciplinato gregge che li segue, appartiene ormai al passato di Roma. E allora che bisogno c’è di evocarlo ad ogni piè sospinto? E perché Mauro Favale, l’autore dell’articolo di cui sopra, si scomoda e si scalda tanto per commentare la ricerca della Demos? Tutto questo non contraddice l’assunto e le disposizioni di delenda memoria che sembra siano state impartite? O tutti costoro sentono ancora il bisogno di rassicurarsi a vicenda, come i complici di una marachella che temono di essere scoperti? Francamente, a me appaiono patetici soprattutto in considerazione della sconfitta del Pd che appare ormai certa e definita. E perdere Roma, i suoi quindici Municipi e la primazia nella Capitale, tutto in un colpo solo, deve apparire ai suoi massimi vertici – un po’ tardivamente, in effetti – preoccupante.

Quello che però dovrebbe preoccupare maggiormente i sopradetti vertici romani e nazionali è la loro incapacità a leggere non solo le situazioni e le tendenze, ma perfino gli inequivocabili numeri dei sondaggi. Non mi riferisco a quelli sui candidati a sindaco, ma proprio a quelli di Demos che hanno ispirato lo sfortunato articolo di Favale.
Il quale si è avventurosamente lanciato in un titolo spavaldo senza riflettere su quanto potesse clamorosamente ribadire esattamente il contrario di quanto intendeva lui. Infatti, se è vero (se) che sette romani su dieci sono “delusi”, è  altrettanto vero che tre su dieci esprimono una valutazione positiva dell’amministrazione del sindaco Marino, alla faccia della sprovveduta dichiarazione che riferiva di un presunto e mai dimostrato rapporto interrotto tra i Campidoglio e la città. E un 30% di consensi basterebbe oggi a contendere la vittoria nelle prossime elezioni: secondo Demos la Raggi ha oggi il 30,5% dei voti. Ma il povero Favale non c’ha pensato e la “sentenza senza appello” dice che neppure lui – passi per  un politico, ma è grave per uno che fa il giornalista – sa leggere i sondaggi.
Ultimosondaggio
Non basta. La rilevazione di Demos si basa su un campione di 1.025 intervistati, rappresentativo del totale degli elettori romani. Dal sito della società non appare la specifica “votanti” ed è quindi evidente che i rilevatori sono andati a pescare nell’universo dell’elettorato, cioè tra i 2.357.376 aventi diritto al voto. Ma quanti di questi andranno a votare?
Favale ipotizza – e lo scrive – “che stavolta già al primo turno, il 5 giugno, la percentuale di votanti possa scendere al di sotto del 50%”, e i valori  di cui sono accreditati i vari  concorrenti si basano, ovviamente, sui votanti, non certo sul totale includendo anche chi si asterrà. Ora facciamo un passo indietro. Nel 2013 andarono a votare al ballottaggio 1.062.892  romani su 2.359.119 (il 45,05%) e Marino ebbe 664.490 voti, pari al 63,93%. Ma se rapportiamo i voti al totale dei potenziali elettori (664.490/2.359.119), la percentuale è del 28%. Cioè Marino fu preferito da tre votanti su dieci, mentre gli altri sette gli erano contrari. Né più, né meno, di quanto confermato oggi da Demos sull’elettorato complessivo. E viene allora da pensare che se Marino si fosse presentato a questa tornata avrebbe con ogni probabilità vinto di nuovo. Con buona pace di tanti interessati suoi avversari e del club dei suoi detrattori ospitato tanto generosamente quanto incomprensibilmente da Repubblica.
Ma il tempo, si sa, è galantuomo e basta saper aspettare.

 

 

Gianfranco Pasquino: 10 No al referendum costituzionale

21 Mag

Ecco l’appello per il No al referendum costituzionale di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’università di Bologna, già sottoscritto da Carlo Galli, Marco Valbruzzi e Maurizio Viroli.

“Noi crediamo profondamente in una democrazia così intesa, e noi ci batteremo per questa democrazia. Ma se altri gruppi avvalendosi, come dicevo in principio, di esigue ed effimere maggioranze, volessero far trionfare dei princìpi di parte, volessero darci una Costituzioneche non rispecchiasse quella che è la profonda aspirazione della grande maggioranza degli italiani, che amano come noi la libertà e come noi amano la giustizia sociale, se volessero fare una Costituzione che fosse in un certo qual modo una Costituzione di parte, allora avrete scritto sulla sabbia la vostra Costituzione ed il vento disperderà la vostra inutile fatica” (Lelio Basso, 6 marzo 1947, in Assemblea Costituente).

1. Il NO non significa immobilismo costituzionale. Non significa opposizione a qualsiasi riforma della Costituzione che sicuramente è una ottima costituzione. Ha obbligato con successo tutti gli attori politici a rispettarla. Ha fatto cambiare sia i comunisti sia i fascisti. Ha resistito alle spallate berlusconiane. Ha accompagnato la crescita dell’Italia da paese sconfitto, povero e semi-analfabeta a una delle otto potenze industriali del mondo. Non pochi esponenti del NO hanno combattuto molte battaglie riformiste e alcune le hanno vinte (legge elettorale, legge sui sindaci, abolizione di ministeri, eliminazione del finanziamento statale dei partiti). Non pochi esponenti del NO desiderano riforme migliori e le hanno formulate. Le riforme del governo sono sbagliate nel metodo e nel merito. Non è indispensabile fare riforme condivise se si ha un progetto democratico e lo si argomenta in Parlamento e agli elettori. Non si debbono, però, fare riforme con accordi sottobanco, presentate come ultima spiaggia, imposte con ricatti, confuse e pasticciate. Noi non abbiamo cambiato idea. Riforme migliori sono possibili.
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2. No, non è vero che la riforma del Senato nasce dalla necessita’ di velocizzare il procedimento di approvazione delle leggi. La riforma del Senato nasce con una motivazione che accarezza l’antipolitica “risparmiare soldi” (ma non sarà così che in minima parte) e perché la legge elettorale Porcellum ha prodotto due volte un Senato ingovernabile. Era sufficiente cambiare in meglio, non in un porcellinum, la legge elettorale. Il bicameralismo italiano ha sempre prodotto molte leggi, più dei bicameralismi differenziati di Germania eGran Bretagna, più della Francia semipresidenziale e della Svezia monocamerale. Praticamente tutti i governi italiani sono sempre riusciti ad avere le leggi che volevano e, quando le loro maggioranze erano inquiete, divise e litigiose e i loro disegni di legge erano importanti e facevano parte dell’attuazione del programma di governo, ne ottenevano regolarmente l’approvazione in tempi brevi. No, non è vero che il Senato era responsabile dei ritardi e delle lungaggini. Nessuno ha saputo portare esempi concreti a conferma di questa accusa perché non esistono. Napolitano, deputato di lungo corso, Presidente della Camera e poi Senatore a vita, dovrebbe saperlo meglio di altri. Piuttosto, il luogo dell’intoppo era proprio la Camera dei Deputati. Ritardi e lungaggini continueranno sia per le doppie letture eventuali sia per le prevedibili tensioni e conflitti fra senatori che vorranno affermare il loro ruolo e la loro rilevanza e deputati che vorranno imporre il loro volere di rappresentanti del popolo, ancorche’ nominati dai capipartito.

3. No, non è vero che gli esponenti del NO sono favorevoli al mantenimento del bicameralismo.

Anzi, alcuni vorrebbero l’abolizione del Senato; altri ne vorrebbero una trasformazione profonda. La strada giusta era quella del modello Bundesrat, non quella del modello misto francese, peggiorato dalla assurda aggiunta di cinque senatori nominate dal Presidente della Repubblica (immaginiamo per presunti, difficilmente accertabili, meriti autonomisti, regionalisti, federalisti). Inopinatamente, a cento senatori variamente designati, nessuno eletto, si attribuisce addirittura il compito di eleggere due giudici costituzionali, mentre seicentotrenta deputati ne eleggeranno tre. E’ uno squilibrio intollerabile.

4. No, non è vero che e’ tutto da buttare. Alcuni di noi hanno proposto da tempo l’abolizione del CNEL. Questa abolizione dovrebbe essere spacchettata per consentire agli italiani di non fare, né a favore del “si’” ne’ a favore del “no”, di tutta l’erba un fascio. Però, no, non si può chiedere agli italiani di votare in blocco tutta la brutta riforma soltanto per eliminare il CNEL.

5. Alcuni di noi sono stati attivissimi referendari. Non se ne pentono anche perché possono rivendicare successi di qualche importanza. Abbiamo da tempo proposto una migliore regolamentazione dei referendum abrogativi e l’introduzione di nuovi tipi di referendum e di nuove modalità di partecipazione dei cittadini. La riforma del governo non recepisce nulla di tutta questa vasta elaborazione. Si limita a piccoli palliativi probabilmente peggiorativi della situazione attuale. No, la riforma non è affatto interessata a predisporre canali e meccanismi per una più ampia e intensa partecipazione degli italiani tutti (anzi, abbiamo dovuto registrare con sconforto l’appello di Renzi all’astensione nel referendum sulle trivellazioni), ma in particolare di quelli più interessati alla politica.

6. No, non è credibile che con la cattiva trasformazione del Senato, il governo sarà più forte e funzionerà meglio non dovendo ricevere la fiducia dei Senatori e confrontarsi con loro. Il governo continuerà le sue propensioni alla decretazione per procurata urgenza. Impedirà con ripetute richieste di voti di fiducia persino ai suoi parlamentari di dissentire. Limitazioni dei decreti e delle richieste di fiducia dovevano, debbono costituire l’oggetto di riforme per un buongoverno. L’Italicum non selezionerà una classe politica migliore, ma consentirà ai capi dei partiti di premiare la fedeltà, che non fa quasi mai rima con capacità, e di punire i disobbedienti.

7. No, la riforma non interviene affatto sul governo e e sulle cause della sua presunta debolezza. Non tenta neppure minimamente di affrontare il problema di un eventuale cambiamento della forma di governo. Tardivi e impreparati commentatori hanno scoperto che il voto di sfiducia costruttivo esistente in Germania e importato dai Costituenti spagnoli è un potente strumento di stabilizzazione dei governi, anzi, dei loro capi. Hanno dimenticato di dire che: i) è un deterrente contro i facitori di crisi governative per interessi partigiani o personali (non sarebbe stato facile sostituire Letta con Renzi se fosse esistito il voto di sfiducia costruttivo); ii) si (deve) accompagna(re) a sistemi elettorali proporzionali non a sistemi elettorali, come l’Italicum, che insediano al governo il capo del partito che ha ottenuto più voti ed è stato ingrassato di seggi grazie al premio di maggioranza.

8. I sostenitori del NO vogliono sottolineare che la riforma costituzionale va letta, analizzata e bocciata insieme alla riforma del sistema elettorale. Infatti, l’Italicum squilibra tutto il sistema politico a favore del capo del governo. Toglie al Presidente della Repubblica il potere reale (non quello formale) di nominare il Presidente del Consiglio. Gli toglie anche, con buona pace di Scalfaro e di Napolitano che ne fecero uso efficace, il potere di non sciogliere il Parlamento, ovvero la Camera dei deputati, nella quale sarà la maggioranza di governo, ovvero il suo capo, a stabilire se, quando e come sciogliersi e comunicarlo al Presidente della Repubblica (magari dopo le 20.38 per non apparire nei telegiornali più visti).

9. No, quello che è stato malamente chiesto non è un referendum confermativo (aggettivo che non esiste da nessuna parte nella Costituzione italiana), ma un plebiscito sulla persona del capo del governo. Fin dall’inizio il capo del governo ha usato la clava delle riforme come strumento di una legittimazione elettorale di cui non dispone e di cui, dovrebbe sapere, neppure ha bisogno. Nelle democrazie parlamentari la legittimazione di ciascuno e di tutti i governi arriva dal voto di fiducia (o dal rapporto di fiducia) del Parlamento e se ne va formalmente o informalmente con la perdita di quella fiducia. Il capo del governo ha rilanciato. Vuole più della fiducia. Vuole l’acclamazione del popolo. Ci “ha messo la faccia”. Noi ci mettiamo la testa: le nostre accertabili competenze, la nostra biografia personale e professionale, se del caso, anche l’esperienza che viene con l’età ben vissuta, sul referendum costituzionale (che doveva lasciare chiedere agli oppositori, referendum, semmai da definirsi oppositivo: si oppone alle riforme fatte, le vuole vanificare). Lo ha trasformato in un malposto giudizio sulla sua persona. Ne ha fatto un plebiscito accompagnato dal ricatto: “se perdo me ne vado”.

10. Le riforme costituzionali sono più importanti di qualsiasi governo. Durano di più. Se abborracciate senza visione, sono difficili da cambiare. Sono regole del gioco che influenzano tutti gli attori, generazioni di attori. Caduto un governo se ne fa un altro. La grande flessibilità e duttilità delle democrazie parlamentari non trasforma mai una crisi politica in una crisi istituzionale. Riforme costituzionali confuse e squilibratrici sono sempre l’anticamera di possibili distorsioni e stravolgimenti istituzionali. Il ricatto plebiscitario del Presidente del Consiglio va, molto serenamente e molto pacatamente, respinto.

Quello che sta passando non è affatto l’ultimo trenino delle riformette. Molti, purtroppo, non tutti, hanno imparato qualcosa in corso d’opera. Non è difficile fare nuovamente approvare l’abolizione del CNEL, e lo si può fare rapidamente. Non è difficile ritornare sulla riforma del Senato e abolirlo del tutto (ma allora attenzione alla legge elettorale) oppure trasformarlo in Bundesrat. Altre riforme verranno e hanno alte probabilità di essere preferibili e di gran lungamigliori del pasticciaccio brutto renzian-boschiano. No, non ci sono riformatori da una parte e immobilisti dall’altra. Ci sono cattivi riformatori da mercato delle pulci, da una parte, e progettatori consapevoli e sistemici, dall’altra. Il NO chiude la porta ai primi; la apre ai secondi e alle loro proposte e da tempo scritte e disponibili.

da il Fattoquotidiano.it, 14 maggio 2016

Michela Marzano: la coerenza e l’integrità (e il Pd)

14 Mag

“Credo che l’integrità e la coerenza siano valori che la politica, se vuole veramente recuperare la fiducia dei cittadini, dovrebbe cercare di rivalutare.”

Questa splendida frase di Michela Marzano, racchiusa nel suo commento su Facebook all’Amaca di Michele Serra, spiega tutto. Spiega il disorientamento (se non il disgusto) di tanti elettori, il loro rifiuto, la protesta, perfino il qualunquismo. La politica, in questo nostro povero Paese, non è più, da tempo, il momento più alto e nobile della civitas, cioè della vita della comunità: per troppi è ormai – in Parlamento come in un Consiglio comunale, sul piano nazionale come su quello locale, cioè – un’opportunità da sfruttare, l’esatto opposto del concetto di disinteressato servizio per il bene comune su cui essa politica è da sempre fondata.
Ecco perché il gesto di Michela Marzano mi dà nuova fiducia: finché ci saranno persone così c’è speranza.

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Michela Marzano
La mia risposta a ‪#‎MicheleSerra‬ ‪#‎unionicivili‬ ‪#‎PD‬
Caro Michele Serra, hai ragione che i tempi del renzismo sono febbrili (nel bene e nel male), ma forse il tempo della discussione possiamo prendercelo non credi? È per questo che, prima ancora di cercare di risponderti, ti ringrazio per

l’opportunità che mi dai oggi con la tua «Amaca» di iniziare un dibattito che può, quindi, anche non essere solo ipotetico. È vero, e hai ragione nel ricordarlo, che ho parlato di «coerenza» per spiegare la mia uscita dal Gruppo Parlamentare del PD dopo l’approvazione delle legge sulle unioni civili – che continuo a reputare importante e necessaria, ma non sufficiente e, sul capitolo dei bambini che continuano a essere penalizzati in ragione dell’orientamento sessuale dei genitori, proprio brutta. La coerenza cui però ho fatto riferimento, non è tanto o solo « con me stessa ». Se fosse questo il problema, sarebbe stato poco interessante, anzi banale. « I am not that important » mi disse un giorno un amico, e credo che sia vero per chiunque di noi. La coerenza che mi interessa, è quella con gli ideali etici e morali che giustificano – o dovrebbero giustificare – l’impegno in politica. E quindi soprattutto la coerenza con l’uguaglianza di tutte e di tutti. Un’uguaglianza che resta, almeno per me, la stella polare della sinistra. Un’uguaglianza che non si può sempre e solo MichiserraMarzano invocare, prima di continuare a trattare alcune persone come « meno uguali » rispetto alle altre La politica, scrivi giustamente, non ha come parametro il sé, ma la società. Ma è proprio la società che avevo in mente quando ho parlato di coerenza. Non è un caso che abbia citato nella mia lettera di dimissioni Jean Guehenno e il suo invito a « non seguire il mondo come va ». Il mio gesto, in fondo, è solo questo: una testimonianza del fatto che si può, e talvolta si deve, non seguire il mondo come va. Credo che l’integrità e la coerenza siano valori che la politica, se vuole veramente recuperare la fiducia dei cittadini, dovrebbe cercare di rivalutare.
PS: visto che parli di «fatica» e «dolore» mi permetto di parlare del dolore e della fatica di questa mia scelta. Dal gelo che mi ha accolto ieri in Aula, dove in tanti hanno smesso non solo di salutarmi, ma anche di guardarmi negli occhi, alle tantissime mail di chi, invitandomi a tornare a Parigi, mi hanno dato dell’ingrata, dell’arrogante o della poveretta (e tralascio gli insulti o le minacce, che non meritano nemmeno di essere citate). Ma va bene così. In fondo, sono stata io a scegliere di non seguire il mondo come va, no?

 

Panama Papers, parla John Doe: chi, come, quando e perchè

11 Mag

In una nota di Peter Bale del The Center for Public Integrity  viene raccontato come si è venuti in possesso dei documenti meglio conosciuti internazionalmente come Panama Papers (pubblicati in Itaia da l’Espresso), analizzati, verificati e poi resi pubblici dell’ICIJ (International Consortium of Investigative Journalism). L’ICIJ è un  progetto del CPI stesso nato 27 anni fa per estendere l’attività del giornalismo investigativo e di controllo oltre le frontiere nazionali su  temi come corruzione, criminalità internazionale,  verifica dell’attività del potere. Conta su 190 giornalisti in oltre 65 paesi.
Il testo originale lo trovate nel link più sopra: qui di seguito la (spero passabile) traduzione.
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JOHN DOE SPIEGA I PANAMA PAPERS E PERCHE’ L’ICIJ

La storia delle Panama Papers ha guadagnato un nuovo impulso con una importante dichiarazione da parte di chi ha diffuso la notizia, spiegando le motivazioni della più grande fuga di notizie mai avvenuta e le ragioni per cui è stata proposta al quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung e al nostro Consorzio Internazionale di Giornalismo Investigativo  (ICIJ).

In una eloquente dichiarazione rilasciata al giornale tedesco e da questi verificata, il leaker – identificato solo come “John Doe”, come lui o lei si è fatto chiamare durante tutto il rapporto durato un anno con i giornalisti del Suddeutsche Zeitung – accusa politici, avvocati, accademici e e i media per “non aver affrontato la metastasi dei paradisi fiscali che disonorano il mondo” e che contribuiscono alla disuguaglianza.

“Doe” elogia direttamente il lavoro dell’ ICIJ – il braccio internazionale del Center for Public Integrity – nel prendere l’iniziativa sulle notizie trapelate che altri media avevano respinto e nota come “manchino i finanziamenti per seri giornalisti investigativi”. Può sembrare autoreferenziale, ma qui non mi riferisco alla notizia della dichiarazione di Doe: è piuttosto una mia nota personale per i lettori e confermo che la ICIJ è parte di un’organizzazione non-profit che fa affidamento solo sulle donazioni di filantropi e di singoli individui.

La dichiarazione completa di Doe è pubblicata sul sito dell’ICIJ dedicato a Panama Papers.

Negando con decisione le teorie circa una cospirazione un’agenzia di intelligence dietro la fuga di 11,5 milioni di documenti dallo studio legale panamense Mossack Fonseca, “Doe”, scrive: “Per la cronaca, io non lavoro e non ho mai lavorato per una qualsiasi agenzia governativa o di intelligence, direttamente o come imprenditore. Il mio punto di vista è assolutamente personale, come era mia la decisione di condividere i documenti con Suddeutsche Zeitung e il Consorzio Internazionale di Giornalismo Investigativo (ICIJ), non per un qualsiasi specifico scopo politico, ma semplicemente perché ho capito abbastanza dai loro contenuti per comprendere quale proporzione di ingiustizie vi siano descritte”.

Doe accusa Mossack Fonseca di sfruttare un sistema globale di paradisi fiscali che consente una “massiccia, dilagante corruzione” e di usare la sua influenza per “scrivere e adattare leggi in tutto il mondo per favorire gli interessi di criminali …” Il rivelatore di notizie saluta con favore il “nuovo dibattito globale “che il Panama Papers (un termine coniato dal ICIJ e SZ, non da lui) ha generato. “Doe” si offre di collaborare con le autorità, ma condanna l’azione penale o la persecuzione di informatori, tra cui Edward Snowden e coloro che sono coinvolti in quella che divenne la base per un’altra inchiesta ICIJ, “Lux Leaks” [nota mia: si tratta di un’inchiesta da cui è emersa la precisa volontà del governo lussemburghese di realizzare accordi segreti relativi alla tassazione tra il Lussemburgo e centinaia di aziende di tutti i paesi: vedi qui].

“Informatori legittimi che denunciano illeciti indiscutibili, siano addetti ai lavori o no, meritano l’immunità dalle reazioni dei governi, punto e basta”, afferma Doe nella sua dichiarazione, aggiungendo che in assenza di tale protezione gli informatori devono fare affidamento solo sulla portata di organizzazioni mediatiche come l’ICIJ.

Con la mazzata al circuito di denaro-in-politica negli Stati Uniti che ha portato alla creazione del Center for Public Integrity 27 anni fa, Doe condanna la collusione tra i politici degli Stati Uniti e dei loro finanziatori: “L’evasione fiscale non può assolutamente essere fermata mentre funzionari eletti stanno supplicando soldi dalle stesse élites che hanno gli incentivi più forti per evitare le tasse rispetto a qualsiasi altro segmento della popolazione.”

 

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