Archivio | luglio, 2015

Il diktat alla Grecia visto da Mariana Mazzuccato

13 Lug

bandiera-greciaL’emergenza ellenica riguarda tutta l’economia, dai dati “macro” alle singole imprese. Ma l’ipocrisia tedesca e il rigore “copia e incolla” non servono: bisogna agire come la Germania post-1945. L’austerità non aiuta, come sapeva bene Keynes, però ai greci si chiedono tagli su tagli.

L’articolo di Mariana Mazzuccato su Repubblica di oggi è tutto in questa sintesi. E presenta lucidamente il dramma cui va incontro tutto il sogno dell’Europa Unita, soggiogata dal gretto e limitato interesse della potenza germanica e dei suoi gnomi. La Grecia si salva – posto che il suo Parlamento approvi in 48 ore le riforme imposte – ma solo per il momento. Dovrà continuare a pagare interessi su interessi, cedere in pegno il sistema bancario e altri assets, restare sotto l’arcigna guardianìa della Trojka, quella stessa che l’ha condotta sconsideratamente alla fame e alla disperazione.
Al popolo greco e al suo coraggioso leader Alexis Tsipras va tutta la mia solidarietà, per quel che può servire, ma alla Germania arrogante, ottusa e ingrata può andare solo il mio disprezzo.
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Solo lo spirito del Dopoguerra potrà salvarci dalla crisi eterna

L’emergenza ellenica riguarda tutta l’economia, dai dati “macro” alle singole imprese. Ma l’ipocrisia tedesca e il rigore “copia e incolla” non servono: bisogna agire come la Germania post-1945. L’austerità non aiuta, come sapeva bene Keynes, però ai greci si chiedono tagli su tagli

di MARIANA MAZZUCATO

Gli economisti si dividono in macroeconomisti e microeconomisti. I primi focalizzano la loro attenzione sugli aggregati, come l’inflazione, l’occupazione e la crescita del Pil. I secondi si occupano delle decisioni a livello individuale, che si tratti di un consumatore, di un lavoratore o di un’impresa. La crisi della Grecia pone al tempo stesso un problema macroeconomico e un problema microeconomico, ma le soluzioni di rigore “copia-incolla” proposte dai creditori non hanno affrontato l’enormità di nessuno di questi due problemi.

Alla fine degli anni Novanta la Germania aveva un problema di domanda aggregata (un concetto macroeconomico). Dopo un decennio di moderazione salariale, che aveva fatto calare il costo unitario del lavoro, ma anche il tenore di vita, non c’era più abbastanza domanda in Germania per i beni prodotti dalla Germania stessa, che quindi dovette andare a cercare domanda all’esterno. La liquidità in eccedenza nelle banche tedesche fu prestata all’estero, a banche straniere come quelle greche. Le banche greche prendevano i prestiti dalla Germania e prestavano a loro volta alle imprese greche per consentire loro di acquistare beni tedeschi, incrementando in tal modo le esportazioni teutoniche. Tutto questo ha fatto crescere tanto l’indebitamento del settore privato ellenico. Non a caso sono le banche tedesche a detenere una grossa fetta del debito greco (21 miliardi di euro).

Il fattore cruciale è che il maggiore indebitamento non è stato accompagnato da un incremento della competitività (un concetto microeconomico). Le imprese greche non investivano in quelle aree che fanno aumentare la produttività (formazione del capitale umano, ricerca e sviluppo, nuove tecnologie e cambiamenti strategici nella struttura delle organizzazioni). Oltre a questo, lo Stato non funzionava, per via della mancanza di riforme serie del settore pubblico. Pertanto, quando è arrivata la crisi finanziaria, il settore privato greco si è ritrovato altamente indebitato, senza la capacità di reagire.

Come altrove, questa massa di debito privato si è tradotta in un secondo momento in un debito pubblico di vaste proporzioni. Se è vero che il sistema greco era gravato di varie tipologie di inefficienze, è semplicemente falso che i problemi siano dovuti esclusivamente all’inefficienza del settore pubblico e a “rigidità” di vario genere. La causa principale è stata l’inefficienza del settore privato, capace di tirare avanti solo indebitandosi e sfruttando i “fondi strutturali” dell’Unione Europea per compensare la propria carenza di investimenti. Quando la crisi finanziaria ha messo a nudo il problema, il governo ha finito per dover soccorrere le banche e si è ritrovato a fare i conti con un tracollo del gettito fiscale, a causa del calo dei redditi e dell’occupazione. I livelli del debito in rapporto al Pil in Grecia, come in quasi tutti i Paesi, sono cresciuti in modo esponenziale dopo la crisi, per le ragioni che abbiamo detto.

La reazione della Trojka è stata di imporre misure di rigore, che come adesso ben sappiamo hanno provocato una contrazione del Pil greco del 25 per cento e una disoccupazione a livelli record, distruggendo in modo permanente le opportunità per generazioni di giovani greci. Syriza ha ereditato questo disastro e si è focalizzata sulla necessità di accrescere la liquidità incrementando le entrate fiscali attraverso la lotta contro l’evasione, la corruzione e le pratiche monopolistiche, nonché il contrabbando di carburante e tabacco. Ha accettato di riformare la normativa del lavoro, di tagliare la spesa e di alzare l’età pensionabile. Errori sono stati commessi dal giovane governo, ma certo non si può dire che non stesse facendo progressi, perché molte riforme avevano già preso il via. Anzi, nei primi quattro mesi di governo Tsipras il Tesoro ellenico aveva ridotto drasticamente il disavanzo e aveva un avanzo primario (cioè senza calcolare il pagamento degli interessi sul debito) di 2,16 miliardi di euro, molto al di sopra degli obbiettivi iniziali di un disavanzo di 287 milioni di euro.

L’austerità ha aiutato? No. Come sottolineava John Maynard Keynes, nei periodi di recessione, quando i consumatori e il settore privato tagliano le spese, non ha senso che lo Stato faccia altrettanto: è così che una recessione si trasforma in depressione. Invece la Trojka ha chiesto sempre più tagli e sempre più in fretta, lasciando ai greci poco spazio di manovra per continuare con le riforme intraprese e al tempo stesso cercare di accrescere la competitività attraverso una strategia di investimenti.

La crisi economica ha prodotto una crisi umanitaria a tutti gli effetti, con la gente incapace di acquistare cibo e medicine. Secondo uno studio, per ogni punto percentuale in meno di spesa pubblica si è avuto un aumento dello 0,43 per cento dei suicidi fra gli uomini: escludendo altri fattori che possono indurre al suicidio, tra il 2009 e il 2010 si sono uccisi «unicamente per il rigore di bilancio» 551 uomini. Syriza ha reagito promettendo cure mediche gratuite per disoccupati e non assicurati, garanzie per l’alloggio ed elettricità gratuita per 60 milioni di euro. Si è anche impegnata a stanziare 765 milioni di euro per fornire sussidi alimentari.

La priorità data da Syriza alla crisi umanitaria e il rifiuto di imporre altre misure di austerità sono stati accolti con grande preoccupazione e una totale mancanza di riconoscimento per le riforme già avviate. I media hanno alimentato questo processo e il resto è storia: quello che è successo poi, ovviamente, è stato abbondantemente raccontato dai giornali.

L’indisponibilità a condonare almeno in parte il debito greco è ovviamente un atto di ipocrisia, se si considera che al termine della guerra la Germania ottenne il condono del 60 per cento del suo debito. Una seconda forma di ipocrisia, spesso trascurata dai mezzi di informazione, è il fatto che tante banche sono state salvate e condonate senza che la cosa abbia suscitato grande scandalo fra i ministri dell’Economia. Oggi il salvataggio di cui avrebbe bisogno la Grecia ammonta a circa 370 miliardi di euro, ma non è nulla in confronto ai salvataggi internazionali messi in piedi per banche come la Citigroup (2.513 miliardi di dollari), la Morgan Stanley (2.041 miliardi), la Barclays (868 miliardi), la Goldman Sachs (814 miliardi), la JP Morgan (391 miliardi), la Bnp Paribas (175 miliardi) e la Dresdner Bank (135 miliardi). Probabilmente l’impazienza di Obama nei confronti della Merkel nasce dal fatto che lui conosce queste cifre! Sa perfettamente che quando il debito è troppo grosso, ed è impossibile che venga restituito alle condizioni correnti, dev’essere ristrutturato.

Il terzo tipo di ipocrisia è il fatto che mentre la Germania imponeva ai greci (e agli altri vicini del Sud) politiche di austerità, per quanto la riguardava incrementava la spesa per ricerca e sviluppo, collegamenti fra scienza e industria, prestiti strategici alle sue medie imprese (attraverso una banca di investimenti pubblica molto dinamica come la KfW) e così via. Tutte queste politiche ovviamente hanno migliorato la competitività tedesca a scapito di quella altrui. La Siemens non si è aggiudicata appalti all’estero perché paga poco i suoi lavoratori, ma perché è una delle aziende più innovative al mondo, anche grazie a questi investimenti pubblici. Un concetto microeconomico. Che rimanda a un altro macroeconomico: una vera unione monetaria è impossibile tra paesi così divergenti nella competitività.

Riassumendo, la rigorosa disciplina di bilancio usata oggi dall’Eurogruppo per mettere “in riga” la Grecia non porterà crescita al Paese ellenico. La mancanza di domanda aggregata (problema macroeconomico) e la mancanza di investimenti in aree capaci di accrescere la produttività e l’innovazione (problema microeconomico) serviranno solo a rendere la Grecia più debole e pericolosa per gli stessi prestatori. Sì, servono riforme di vasta portata, ma riforme che aiutino a migliorare questi due aspetti. Non soltanto tagli. Allo stesso modo, è necessario che la Germania si impegni di più a livello nazionale per accrescere la domanda interna, e che consenta in altri Paesi europei quel genere di politiche che le hanno permesso di raggiungere una competitività reale. Il fatto che l’Eurogruppo non comprenda tutto questo è dimostrazione di incapacità di pensare a lungo termine e ignoranza economica (chi comprerà le merci tedesche se l’austerità soffoca la domanda negli altri paesi?).

Speriamo questa settimana di vedere meno mediocrità e più capacità di pensare in grande, come successe dopo la guerra e come abbiamo bisogno che succeda adesso, dopo una delle peggiori crisi finanziarie della storia.

Ha vinto l’Europa, quella vera.

6 Lug

Ora che in Europa hanno vinto il coraggio e la dignità, leggere questo breve e delizioso reportage di Roberto Soldatini, musicista e navigatore, dà un altro senso al voto. Esprime il senso profondo di un popolo orgoglioso della sua storia, che ha mantenuto e rispetta le sue tradizioni, la sua cultura, che non rinuncerà mai alla sua identità, neppure in cambio della protezione (interessata) di chi sa solo speculare.
I greci meritano tutta la nostra ammirazione. Saranno le mie lontane origini, ma sono vicino a loro come mai avrei immaginato e la speranza di un’Europa nuova, unita, solidale e generosa è oggi più solida.

Roberto Soldatini

Reportage dalla Grecia alla vigilia del referendum.
Aspettavo di attraccare ad Atene per completare il mio punto d’osservazione privilegiato di questo momento di transizione della storia greca. Non si può navigare in questo mare ed essere indifferenti ai cambiamenti della sua storia, non essere solidale con la sua gente. Rimanere alla fonda in una meravigliosa baia in questi momenti vuol dire sfruttare le loro bellezze, la loro generosità senza ripagarli.
Avevo programmato di attraccare alla capitale, e ci sono arrivato al momento giusto, per avere un quadro più chiaro. Qui oltre a poter verificare di persona se quello che i media diffondono corrisponde a verità, posso incontrare i miei amici greci, che sono tanti. E’ gente comune, ma anche gente della finanza e del governo. Così posso avere una visione a trecentosessanta gradi della situazione.
Nelle isole non avevo ancora potuto fare un’analisi obiettiva. Nelle isole i greci vivono di una realtà economica autonoma, basata solo sul turismo. Per tanto non c’è la percezione di una crisi. Ce n’è un po’ nei luoghi meno frequentati, e comunque non è maggiore di quella italiana, anzi. Ma la propaganda mediatica, la stupidità di chi gli crede, e di chi credendogli si preoccupa oltre misura, dà origine a episodi divertenti e patetici al tempo stesso. A Hydra un’anglosassone ha preso da parte la parrucchiera che stava tagliando i miei capelli, e le ha parlato sotto voce. Quando è uscita, la parrucchiera greca si è messa a ridere, e mi ha raccontato che la donna le aveva chiesto come fa a vivere con la crisi, se ha paura di uscire la sera, e se crede che potrebbe rivelarsi pericoloso stare in Grecia per gli stranieri. Abbiamo riso fino all’ultimo capello tagliato.
Ormai so che viviamo in un’epoca in cui tutto ciò che ci viene mostrato può non essere vero. Quindi non mi fido mai dei telegiornali e dei giornali. Ora sono ad Atene, e posso vedere con i miei occhi.
Di sicuro più di qualcuno sta perdendo il posto di lavoro, una cosa che avevo già constatato negli ultimi due anni, ma è così anche nel nostro paese. E i greci affrontano questa situazione con grande dignità, aiutandosi a vicenda, tra parenti e amici. Anche se si legge la preoccupazione nei loro occhi, non perdono il sorriso e l’allegria, il loro innato amore per la vita e tutto quello che può concorrere ad accrescerla e a potenziarla. Un modus vivendi che ha origine nelle radici della loro cultura.
Ma quello scenario che mostrano i media, di gente che mendica cibo per strada è falso. E’ come se una televisione estera venisse a riprendere la distribuzione dei pasti alla Caritas e propagandasse quelle immagini come una situazione diffusa in tutta l’Italia. Di certo i poveri ci sono, qui come nel nostro paese. E la crisi sta colpendo principalmente loro.
Anche la faccenda delle banche si rivela un inutile allarmismo per i turisti: le carte di credito sono accettate ovunque, sia quelle dei greci che le nostre, al momento con il bancomat gli stranieri possono prelevare senza limiti, e non ci sono file. I greci invece possono prelevare solo sessanta euro al giorno. Su questa disposizione però ho avuto risposte discordanti, anche dagli uomini del governo. C’è chi dice che sia perché nelle banche non ci sono soldi. E c’è chi dice che sia solo per frenare la corsa al ritiro di contanti, che in molti hanno pensato di accumulare in caso si dovesse tornare la dracma. Cosa che potrebbe accadere qualora, vincendo i “no” al referendum, non si riuscisse a ottenere una rinegoziazione dei dettami europei, e questo portasse poi all’uscita della Grecia dalla Comunità.
Ma vorrei chiarire che domenica prossima i greci non saranno chiamati a decidere se rimanere nell’Europa. Quello su cui voteranno sarà se accettare le condizioni a loro imposte o no. Quelli che hanno deciso di votare no, non desiderano uscire dalla Comunità Europea, ma esprimono il loro rifiuto a delle condizioni che reputano inaccettabili, e soprattutto esprimono la loro dignità. E a quanto pare potrebbe essere la maggioranza.
Ho assistito a una delle due giornate in cui il governo ha parlato alla popolazione, in quella piazza che da sempre è il simbolo della manifestazione popolare, la piazza di fronte al Parlamento, dove c’è anche il Grand Britain Hotel, dove alloggiavo quando dirigevo l’Orchestra dell’Opera d’Atene. La piazza era stipata di gente, nonostante la pioggia, affluita da tutte le parti della Grecia. E nonostante la polizia avesse bloccato alcune strade, la città non si era paralizzata. Il traffico era stato canalizzato con intelligenza. E la gente arrivava a piedi o in bicicletta.
L’atmosfera della manifestazione, per me che sono abituato a quelle italiane, è apparsa irreale. Sembrava quella di una grande festa. I greci erano sorridenti nel rispondere a ogni mia domanda, e scherzavano tra loro. Quando però un rappresentante del governo diceva qualcosa su cui erano d’accordo applaudivano fragorosamente e sventolavano con orgoglio le bandiere greche, tante in tutta la piazza.
I miei amici che fanno dei lavori normali, impiegati presso lo stato o presso privati, continuano a condurre la vita di sempre, senza grandi restrizioni, ma pur con qualche preoccupazione voteranno per ribadire la loro dignità, con un “no”. Gli amici che sono tra coloro che sorreggono l’economia di questo paese, con le loro compagnie navali, non hanno al momento grossi danni, e non ne avrebbero tanti neanche qualora il loro paese tornasse alla dracma. Perché continuerebbero comunque i loro affari venendo pagati in dollari. Loro però voteranno “sì”, per gli interessi che li lega alla Comunità.
Sì o no, sono comunque tutti molto incazzati con la Germania. E sinceramente fa incazzare anche a me, e molto, che quel paese che ha distrutto tutta l’Europa e sterminato milioni di innocenti, sia stata salvata azzerando il suo debito di guerra, e ora infierisca su questa gente buona, che sembra essere uscita delle fiabe. Ai quali, tra l’altro, proprio la Germania deve ancora restituire tutto l’oro che ha rubato dalle banche greche alla fine della guerra. Ma i greci sono consapevoli che devono risolvere i problemi relativi alla loro classe dirigente, ancor prima di regolare i conti con la Germania.
Intanto, il mio amico greco armatore di navi, quando ha visto che a causa della crisi si stava riducendo il suo profitto, non ha licenziato neanche un dipendente, come fanno invece in questi casi in molti altri paesi: si è accontentato di un guadagno minore. E mi dice che così hanno fatto anche i suoi colleghi. Come si fa a non parteggiare per questo meraviglioso popolo?
Vengo a sapere ora che a Napoli c’è stato un corteo per esprimere solidarietà ai greci. Ho scelto di trasferirmi nella città partenopea anche e soprattutto per l’affinità che c’è tra i napoletani e i greci, l’ho scritto nel mio primo libro, l’ho ribadito nel secondo (che uscirà a maggio). E questa manifestazione mi fa sentire orgoglioso di vivere a Napoli. E’ una solidarietà tra gente straordinaria, fondamentalmente buona, che come nelle favole viene continuamente colpita al cuore dai cattivi, dagli orchi e dai draghi. Non abbiamo ancora imparato niente dalle favole, come dalla storia.

Stiglitz: la Grecia, l’Europa, la democrazia

2 Lug

Io so già come voterei“, conclude l’economista e Nobel Joseph Stiglitz in questo articolo apparso lunedì 29 sul Guardian e pubblicato ieri da Internazionale col titolo: “L’Europa vuole liberarsi di Alexis Tsipras”.  E diversamente, per fortuna, da molti soloni all’amatriciana (o alla fiorentina, fate voi) di casa nostra, mette il dito sulla piaga: “è tutta una questione di potere e di democrazia, più che di denaro e di economia“.

Perché, alla faccia di quanti affermano con faciloneria che Tsipras deve “rispettare le regole” (il nostro Presidente del Consiglio nell’intervista al Sole-24Ore di ieri), Stiglitz va dritto al punto: “Diciamolo chiaramente: quasi niente dell’enorme volume di denaro prestato alla Grecia è rimasto nel paese. È servito praticamente solo a pagare i creditori privati, comprese alcune banche tedesche e francesi. La Grecia ha avuto solo le briciole e per salvare il sistema bancario di quei paesi ha pagato un prezzo altissimo“. E spiega:

Il Fondo monetario internazionale e gli altri creditori “istituzionali” non hanno bisogno dei soldi che chiedono. In una situazione normale, probabilmente li presterebbero subito di nuovo ad Atene. Ma, come ho già detto, non è una questione di soldi. Stanno semplicemente usando le “scadenze” per costringere la Grecia a cedere e ad accettare l’inaccettabile: non solo le misure di austerità, ma anche altre politiche regressive e punitive.
Perché l’Europa fa questo? Non è democratica? A gennaio i greci hanno eletto un governo che si era impegnato a mettere fine all’austerità. Se avesse semplicemente mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale, il primo ministro Alexis Tsipras avrebbe già respinto la proposta. Ma ha voluto dare ai greci la possibilità di incidere su una decisione cruciale per il futuro del paese. Questa esigenza di legittimazione popolare è incompatibile con la politica dell’eurozona, che non è mai stata un progetto molto democratico. La maggior parte dei governi dell’area non ha chiesto il parere del popolo prima di rinunciare alla sovranità monetaria a favore della Banca centrale europea. Quando il governo svedese l’ha fatto i cittadini hanno detto di no. Avevano capito che se la politica monetaria fosse stata decisa da una banca centrale preoccupata solo dell’inflazione, la disoccupazione nel loro paese sarebbe aumentata (e nessuno avrebbe prestato sufficiente attenzione alla stabilità finanziaria). L’economia ne avrebbe sofferto, perché il modello alla base dell’eurozona presume rapporti di potere sfavorevoli per i lavoratori.

Possibile che Stiglitz la interpreti così e al nostro Presidente del Consiglio questo aspetto sia sfuggito? Stento a crederlo. Renzi sa benissimo qual’é il punto focale della questione: il braccio di ferro tra l’Europa ricca e potente che non rispetta gli ideali per cui è nata e un Paese  che rappresenta solo il 2% del Pil dell’intera Unione ma che pretende di risolvere i suoi problemi senza le ingerenze della trojka (e dei suoi figli, scusate la facile battuta). E questo al netto degli errori criminali e catastrofici commessi dai precedenti governi di Atene, per cui i greci stanno pagando da cinque anni un prezzo altissimo. Prosegue infatti Stiglitz:

E senza dubbio quella che stiamo vedendo ora è l’antitesi della democrazia. Molti leader europei vorrebbero liberarsi di Tsipras, perché il suo governo si oppone alle politiche che finora hanno fatto crescere la disuguaglianza e vuole mettere un freno allo strapotere dei più ricchi. Sembrano convinti che prima o poi riusciranno a far cadere questo governo, costringendolo ad accettare un accordo in contraddizione con il suo mandato.

Non so se tra i “molti leader europei” Stiglitz comprenda anche il nostro Renzi. Personalmente credo che se egli avesse dimostrato un diverso e più fermo atteggiamento nei confronti della Merkel, forse (ripeto “forse”) la Cancelliera avrebbe considerato l’ipotesi di un atteggiamento più morbido e lungimirante, forse anche Hollande avrebbe speso qualche parola in questo senso, forse (forse) anche Spagna e Portogallo avrebbero potuto aggiungere la loro. Parlo delle economie più deboli, più esposte un domani (speriamo di no) a una replica della brutale repressione della Trojka sollecitata dai falchi come Schauble, che avrebbero avuto tutto l’interesse a una posizione comune per fronteggiare la strapotenza germanica. E forse, aggiungo in finale, forse anche Obama avrebbe dato una  mano in questo senso, preoccupato che la Grecia possa diventare succube di Putin.
Invece tutti a pecoroni, senza valutare che la non auspicata (da me) sconfitta di Tsipras sarà l’incoronamento finale di una Germania sempre più potente ed egoista e il rinvio sine die del progetto di un’Europa federata e unita, solidale, forte, generosa.  Mentre  dall’altra parte l’eventuale uscita dall’euro di una Grecia orgogliosa ma non umiliata “non sarebbe tanto un danno economico, quanto un vulnus alla credibilità politica dell’Europa” (Prodi nell’intervista di oggi a Repubblica, da leggere assolutamente).
Per concludere, qualcuno dovrà cercare di far capire all’arrogante Germania che la sua supremazia varrà assai poco in un’Europa ridotta a espressione geografica. Io voterei come Stiglitz: prima i popoli.

È difficile consigliare ai greci cosa votare il 5 luglio. Una vittoria del sì darebbe il via a una depressione a tempo indeterminato. Forse a un paese senza più risorse, che ha venduto tutto e costretto i suoi giovani a emigrare, alla fine il debito sarebbe condonato. Forse, dopo essersi ridotta a un’economia a medio reddito, alla fine Atene otterrebbe l’aiuto della Banca mondiale. Tutto questo potrebbe succedere nei prossimi dieci anni, o forse nel decennio successivo.
Una vittoria del no, invece, darebbe almeno alla Grecia, con la sua lunga tradizione democratica, la possibilità di riprendere in mano il suo destino. I cittadini avrebbero l’opportunità di costruirsi un futuro che forse non sarebbe prospero come il passato, ma sarebbe molto più carico di speranza dell’insopportabile tortura del presente. Io so già come voterei.

Orfini, quando si farà finalmente pulizia nel Pd romano?

1 Lug

Leggo, combattuto tra incredulità e ammirazione, un articolo del presidente del Pd Orfini, commissario della Federazione romana e da questo momento (bisogna obbligatoriamente dedurlo) anche grande stratega della guerra alla mafia condotta nella Capitale come nelle sue propaggini, per quel che invece ne sapevo io, dal procuratore Pignatone e dal sindaco Marino.

Così come credevo che fossero stati Marino e l’assessore Sabella ad intraprendere la crociata della legalità contro i clan e l’intrico di opachi interessi che avvolgeva Ostia, aprendo i varchi al mare, verificando la regolarità delle concessioni, accertando e sanzionando abusi, mettendo in azione le ruspe. Solo che nessuno dei due viene minimamente citato da Orfini e questo mi pare un pò bizzarro, per non dire da irriconoscenti. Tutto ciò senza nulla togliere al sub-commissario Esposito, il quale sta intervenendo sulla parte che riguarda il Pd locale  che merita tutte le sue attenzioni, considerate anche le posizioni e le preferenze espresse nell’ultima tornata elettorale. Ricordo solo che all’epoca quel Pd era considerato assolutamente nella norma.

Nella norma era apparentemente anche Roma, dove tutto era regolare e mai una parola c’è stata dai vertici del Pd cittadino e tantomeno del nazionale sul progressivo degrado del partito che ha condotto a “una battaglia interna che ha perso ogni valenza politica ed è diventata solo uno scontro di potere. E così ha finito per allontanarsi dalla città e dai suoi problemi”.
Sono parole di Orfini e glie ne va dato atto. Ricordo bene tuttavia l’obiezione che gli rivolsi solo pochi giorni dopo l’assemblea del 9 marzo, quella in cui il commissario chiamò a correi tutti, iscritti, dirigenza, elettori. Tutti sapevamo e nessuno fece nulla per arginare la deriva, questo il succo dell’apertura della  sua relazione. Tutto filava liscio, nonostante i ricorsi ignorati o respinti

Il catoblepa, da cui il catoblepismo di Mattioli.

Il catoblepa, da cui il catoblepismo di Mattioli.

dalle commissioni di garanzia, gli ordini del giorno dei circoli indignati, il malessere dei militanti che potevano verificare l’estendersi della ragnatela di interessi che dal partito si estendevano verso altri interessi, un vero sistema con i suoi equilibri che, sconvolto dall’arrivo di Ignazio Marino e dai suoi interventi, decise di dichiarargli guerra. Appoggiato, per di più, da un certo Pd, svanito istantaneamente con l’esplosione dell’inchiesta “Mondo di mezzo” e che oggi tira fuori di nuovo e arrogantemente il capino.

Gli chiesi, senza avere risposta, come fosse possibile che ai vertici nulla si sapesse. Perché delle due l’una: o veramente si ignorava, e allora c’era davvero da chiedersi dove fossero, in quale mondo vivessero dirigenti ed esponenti romani del partito, cosa ci stessero a fare (escluse Marianna Madia che nel giugno del 2013 aveva coraggiosamente denunciato “vere e proprie associazioni a delinquere sul territorio” e poco prima Cristiana Alicata); oppure sapevano (e forse sapevano anche di più, mi vien da pensare) e – nella migliore delle ipotesi – hanno taciuto. Ecco, tra l’altro, un’ottima ragione per cui il commissario non avrebbe mai dovuto essere un romano: tanto per fare un esempio, non ricordo una sua scandalizzata presa di posizione sulla vergognosa faccenda dei fondi del gruppo consiliare Pd alla regione Lazio nel 2011. Ma tant’è.

D’altra parte sono purtroppo consapevole di pretendere (anche se continuo a sperarlo) qualcosa di vicino all’impossibile: il pronto ritorno del Pd romano alla concordia, all’efficienza, al rispetto delle regole.  Il 3 luglio prossimo si compiranno sette mesi dalla nomina di Orfini a commissario e se qualcuno volesse fare un consuntivo della sua opera di risanamento farebbe in fretta. Vediamo.
– Il nuovo Regolamento del Pd romano, fantasioso e impreciso, che stravolge la rete dei circoli, annulla la partecipazione tanto sbandierata, contrasta con lo Statuto nazionale ed è stato approvato irregolarmente da un organo esecutivo – la Direzione – cessato e illegittimamente convocato. A questo proposito è stato presentato due settimane fa un ricorso (vedi in calce) alla Commissione nazionale di garanzia cui non mi risulta sia stata ancora data risposta.
– La ricerca di Fabrizio Barca sui circoli romani, presentata pochi giorni fa alla Festa dell’Unità.
– La verifica sull’effettiva iscrizione dei militanti, chiamati uno per uno. Quest’ultima è però ancora in esecuzione, stante lo scarso numero di volontari (credo sei, tutti GD, però;  ma non si capisce perché non si chiamano anche altri iscritti di provata fede a dar man forte. O forse si capisce).

Non mi pare ci sia molto altro, nonostante le ansiose attese dei militanti veri .
Nulla circa lo spaventoso buco nel bilancio della Federazione (tra 1,4 e 2 milioni di euro). Come si è formato in soli sette anni, chi abbia responsabilità, se ci siano sotto altre faccende non riferibili; nulla, in barba alle più elementari norme sulla trasparenza, sul diritto degli iscritti a sapere.
Così come non un circolo è stato ancora chiuso, nonostante Orfini avesse dichiarato che dopo la presentazione del documento  di Barca avrebbe immediatamente proceduto contro quelli “cattivi” e neppure un solo espulso (ma di iscrizioni farlocche i fedeli GD che stanno conducendo la ricerca ne hanno trovate e come. Hai voglia.). Nulla circa la convocazione dell’Assemblea, organo regolarmente vigente in quanto elettivo, nonostante siano passati più di tre mesi dall’ultima e nonostante la regolare richiesta rivolta al presidente Giuntella. Cioè, no, qualcosa c’è stato: il nervoso e irritato commento di Orfini e l’inconcludente risposta del disciplinato e obbediente Giuntella.

Sette mesi. Come si possa ancora parlare in questo partito di partecipazione, trasparenza, legalità, regole, neppure più di “questione morale”,  proprio non lo so.

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ALLA COMMISSIONE NAZIONALE DI GARANZIA

PREMESSO CHE

  • in data 15 maggio scorso 40 componenti dell’Assemblea del Partito Democratico di Roma, tra cui gli scriventi, hanno indirizzato al Presidente della stessa Assemblea, Tommaso Giuntella, e per conoscenza al Commissario del PD Roma, Matteo Orfini, una richiesta di convocazione (all. 1) dell’Assemblea ai sensi del Regolamento di organizzazione e funzionamento della Federazione di Roma (art. 5, comma 6), visto lo Statuto del PD (art. 17 comma 3).
  • a tale richiesta non è stata data risposta mentre si sono potute leggere dichiarazioni del Presidente all’ANSA (all. 2) e post del Commissario sulla sua pagina ufficiale facebook (all. 3) nelle quali sostanzialmente si negava di dover procedere alla convocazione
  • il giorno 14/06 u.s. è scaduto il termine di 30 giorni previsto per la convocazione a seguito di richiesta a termini di Regolamento (come sopra citato – all.4)
  • il giorno 09/06 u.s. è scaduto altresì il termine di tre mesi previsto quale scadenza ordinaria per la convocazione di rito dell’Assemblea ai sensi del Regolamento della Federazione (art. 5, comma 6)

i sottoscritti componenti dell’Assemblea della Federazione di Roma del PD hanno ritenuto di dover adire codesta spettabile Commissione affinché, nell’esercizio delle funzioni di garanzia relative alla corretta applicazione dello Statuto nonché ai rapporti interni al Partito Democratico che lo Statuto (art. 39 comma 1) le assegna esprima il proprio parere al fine di dirimere ogni possibile controversia e di chiarire responsabilità e ruoli delle diverse istanze del Partito Democratico in merito al seguente

QUESITO

Se l’atto con cui è stato disposto il Commissariamento del PD Roma, in quanto motivato ai sensi e per gli effetti dell’articolo 17, comma 3 dello Statuto del PD nazionale, consenta di considerare estesi anche all’istanza di emanazione congressuale, l’Assemblea di Federazione, i poteri sostitutivi del Commissario e, in caso contrario, se non si debbano adottare procedure sostitutive dei poteri del Presidente dell’Assemblea per garantire il diritto dei componenti dell’istanza medesima ad essere convocati, in un frangente peraltro così delicato e travagliato della vita della Federazione del Partito Democratico di Roma.

In secondo luogo,

PREMESSO ALTRESI’ CHE

  • In data 09/06 il Commissario straordinario ha ritenuto di convocare la Direzione della Federazione di Roma del PD per il giorno 11/06
  • la Direzione della Federazione di Roma del PD è un’istanza di secondo livello, eletta dall’Assemblea della Federazione di Roma del PD quale organo di esecuzione degli indirizzi dell’Assemblea (Regolamento, art.6, alla stregua di quanto previsto dallo Statuto del PD, art. 8 comma 1 per l’analoga istanza di livello nazionale)
  • l’Assemblea non viene posta in condizione di esprimere i propri indirizzi in assenza di convocazione

i sottoscritti componenti dell’Assemblea della Federazione di Roma del PD sottopongono a codesta spettabile Commissione Nazionale di Garanzia il seguente ulteriore

QUESITO

Se la Convocazione della Direzione della Federazione di Roma del PD sia da considerare valida nonché consentita dalle norme che regolano la vita interna del Partito Democratico, a maggior ragione in considerazione del fatto che l’Assemblea non viene posta in condizione di esprimere i propri indirizzi in assenza di convocazione

Infine,

PREMESSO ULTERIORMENTE CHE

E’ stata messa in programma l’apertura del tesseramento 2015 con modalità diverse da quelle previste dal Regolamento

  • senza che siano stati resi noti i risultati delle indagini relative al tesseramento degli anni precedenti
  • nonché senza che siano stati avviati, per quanto precede, come appare doveroso, i procedimenti a carico degli iscritti del PD che si siano resi responsabili di violazioni statutarie nel corso di tali campagne
  • e senza che l’Assemblea della Federazione di Roma del PD abbia potuto porre mano al Regolamento del Tesseramento al fine di apportare le modifiche che si valutassero eventualmente necessarie nell’ottica di un più efficace contrasto dei tentativi di alterarne il corretto funzionamento

i sottoscritti componenti dell’Assemblea della Federazione di Roma del PD sottopongono a codesta spettabile Commissione Nazionale di Garanzia il seguente ultimo

QUESITO

Se alla luce di quanto esposto, in quanto appaia accertato che ci si trovi “in presenza di elementi di irregolarità del tesseramento, incompletezza o anomalie evidenti” non si configuri la necessità di procedere ai sensi dell’articolo 17 comma 4 dello Statuto del PD, a “formalizzare la nomina di commissari ad acta per la redazione delle anagrafi delle singole articolazioni territoriali del partito o di parti di esse” riconducendo ad essi in tal modo la gestione del tesseramento 2015 così da assicurare il ripristino del pieno rispetto dei principi e delle norme dello Statuto e del Codice Etico del PD in un momento in cui l’opinione pubblica e l’elettorato del Partito Democratico chiedono che ciò avvenga senza ulteriore indugio.

IN CONCLUSIONE

considerati tutti gli aspetti connessi alla dinamica temporale dei fatti fin qui esposti e la loro rilevanza, i sottoscritti componenti dell’Assemblea della Federazione di Roma del PD chiedono rispettosamente che la Commissione Nazionale di Garanzia tragga le sue conclusioni tenendo nella dovuta considerazione il carattere di urgenza che assumono per la situazione che si è venuta a determinare.

Firmano:

 

Michele Cardulli

Agata Cerbara

Susanna Crostella

Cesare Paris

Laura Lauri

Giancarlo Ricci

Antonia Spiezia

Marzia Ventimiglia

Antonio Zucaro

Roma, 16 giugno 2015


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