Archivio | giugno, 2016

Che fare?

21 Giu

“Che fare?” è il titolo dell’opera di Lenin che dette il via alla costruzione del partito comunista come movimento rivoluzionario ed ha per sottotitolo ‘questioni urgenti del nostro movimento’. L’accostamento potrà sembrare irrispettoso e anche presuntuoso, ma mi è parso che esprima perfettamente uno stato d’animo che non è certo solo mio. Penso infatti che questa domanda cerchi una risposta nelle menti della moltitudine di elettori del Pd che si sono trovati improvvisamente davanti lo straordinario successo del M5s da un lato – che assume un particolare significato a Roma con l’elezione  di Virginia Raggi – e dall’altro alla catastrofe che ha travolto il Pd cittadino. Non è questa solo una sconfitta elettorale: è una dichiarazione di aperta sfiducia, è la condanna senza appello di una dirigenza incapace di ascoltare la sua gente, di guardare al bene comune – del partito come della città –  tesa solo ad affermare il proprio potere e i propri interessiLeninDiscorso

Parto quindi da Roma. Questa è la base da cui muoversi per capire, per analizzare la situazione e cercare soluzioni, idee, progetti. Qui c’era un sindaco inviso a un Pd incrostato di risaputi interessi, personali e consociativi, incrociati con quelli di certi ambienti imprenditoriali,  di un certo potere insomma, venuti alla luce con Mafia Capitale. Che Marino fosse stato eletto da due votanti su tre e avesse conquistato tutti e quindici Municipi romani venne vissuto come una sciagura di cui liberarsi il prima possibile, soprattutto da chi, nel partito romano, si muoveva nell’ambito delle correnti che tuttora lo infettano. Ma a costoro Renzi ha dato ascolto, preferendo il consenso dei capicorrente a quello della base e degli elettori. E questo è stato il primo errore. Il secondo è stato nominare un commissario, Orfini, che ha badato – ed era facile immaginare che l’avrebbe fatto – solo a liberarsi di chi avrebbe potuto fargli ombra (Marino in primis) e a rafforzarsi, muovendosi in spregio allo statuto e alle norme del partito con l’appoggio anche di insospettabili (a proposito: che dice Barca?). Tralascio le rozze modalità con cui Orfini ha gestito l’estromissione di Marino, calpestando la sovranità popolare con la grottesca commedia dell’atto notarile e rifiutando di prestare attenzione alla vibrata protesta che è seguita (sbagliata per definizione, secondo lui). Insomma, ciò che è stato fatto a Roma ha rappresentato il detonatore per un’ondata di indignazione generale che si è diffusa rapidamente ovunque e che Renzi non ha tenuto in nessun conto. Terzo errore: provocare la caduta di Marino senza avere un candidato pronto, preparato e gradito all’elettorato, senza insomma l’alternativa vincente. L’arroganza e l’inettitudine avranno fatto pensare che non ce n’era bisogno? A Giachetti, poveraccio, è stata imposta all’ultimo momento (nessun altro aveva voglia di massacrarsi) una prova disumana: chissà quale peccato aveva da scontare. Quarto errore: le liste delle candidature zeppe di “traditori”, come li ha chiamati Marino, prova indiscutibile di un mercato boario svoltosi impudentemente alla luce del sole, calate dall’alto, senza il processo di selezione necessario, auspicato e richiesto dalla base. Il quinto errore Renzi l’ha fatto con la nomina di Tronca, un commissario algido ed estraneo alla città, ed è stata la ciliegina amara su una torta immangiabile. E ora ci si meraviglia del disastro?

Quindi, che fare a Roma? Opposizione in Campidoglio? A leggere i nomi dei 9 che rappresenteranno il Pd nel Consiglio comunale lo sconforto aumenta: oltre a Giachetti, abbiamo Antongiulio Pelonzi, Michela De Biase (l’unica che abbia aumentato i voti rispetto alla scorsa elezione: che ciò sia dovuto al fatto che venga chiamata ‘lady Franceschini’ è solo cattiveria) Valeria Baglio, Orlando Corsetti, Marco Palumbo, Ilaria Piccolo, Giulia Tempesta e Svetlana Celli della lista civica. Gli ultimi 7 sono tra quelli noti per la nauseante vicenda del notaio. Quale opposizione potranno mettere in atto costoro lo sanno solo gli dei della politica e quale fiducia e supporto potranno avere dai furiosi rimanenti iscritti del Pd idem. Le pennellate finali al capolavoro al contrario di Orfini sono queste.  Non illudiamoci, quindi: il Pd romano, ancorché popolato tuttora da sinceri militanti (gli opportunisti che l’hanno infestato faranno presto a riciclarsi altrove), ce ne metterà per riprendersi.

La strada dev’essere un’altra e ci coinvolge tutti: spetta a noi cittadini vigilare sull’operato della nuova Giunta e occorre farlo con obbiettiva severità, senza preconcetti, in nome del bene comune, senza far sconti ma senza  condanne anticipate. Per questo, le forze della società civile e quelle politiche, ancorché disperse e deluse, dovranno trovare un terreno comune, anzi, un tavolo comune intorno al quale sedersi e pianificare il prossimo futuro. La sinistra tradita ha tutte le carte per ricostruire un domani: dai mariniani di ParteCivile a Possibile, dai militanti di SeL ai vari movimenti per l’acqua o contro il TTIP, dai centri sociali ai sindacati di base, dalle associazioni civiche fino agli stessi tanti iscritti del Pd delusi e demotivati, c’è tutto un popolo che non si arrende e non si accontenta dei sondaggi on line e dei proclami del leader maximo. Quello che non mi convincerà mai del M5s è il populismo esasperato e fine a sé stesso, è la finta democrazia della Rete, è l’assenza di trasparenza dei vertici, sono certe inaccettabili e avventurose prese di posizione (l’incontro con Farage, tanto per dirne una, è per me una macchia indelebile, una vergogna scolpita nella pietra). Tocca a noi, ripeto, a chi continua a credere in quella che io continuo, forse   nostalgicamente, a chiamare “sinistra” e che non ha mai dimenticato la solidarietà, la lotta alle disuguaglianze, la difesa di tutti i diritti di tutti e prima ancora di quelli degli ultimi.

Ma non ci si può fermare a Roma, anche se è da qui che è partito il segnale che poi ha provocato il corto circuito. Torino, Trieste, Napoli, perfino Sesto Fiorentino, il limitato successo di Sala a Milano sono tutti segnali ben visibili, non solo campanelli d’allarme. Ha voglia di dire Renzi che non è un voto di protesta ma una richiesta di cambiamento: è tutt’e due, incontestabilmente. E’ da Roma quindi che si deve ripartire per una nuova stagione e il primo passo è dato dai referendum. Ne abbiamo due: quello contro l’Italicum e quello contro le modifiche alla Costituzione. Se io fossi Renzi cercherei di modificare la legge elettorale, perché se è vero che le elezioni nazionali ci saranno nel 2018, il trend vittorioso innescato dai 5 stelle è di là da esaurirsi: l’elettore ha annusato la possibilità di eliminare la parte marcia del sistema dei partiti e neppure un miracolo potrà fargli cambiare idea. Non sto a ripetere qui i difetti macroscopici dell’Italicum: sta di fatto che si corre il rischio grave e concreto – col combinato disposto delle modifiche costituzionali – di consegnare l’Italia a un soggetto politico che non offre tutte le necessarie garanzie per governare il Paese, a cominciare dalla sua struttura politica. Il referendum di ottobre sulle modifiche alla Costituzione sarà quindi il nuovo banco di prova del Pd di Renzi e non è difficile pronosticare che l’entusiasmo montante dei 5 stelle sarà l’onda lunga che getterà un’ombra pesante sul futuro del presidente del Consiglio.  In queste condizioni Renzi dovrebbe quindi paradossalmente sperare che i referendum smantellino tutta l’architettura  messa in piedi e ricominciare daccapo. Farà qualcosa per accelerare o favorire questa marcia indietro? Non ho molte speranze. L’uomo è cocciuto e anche arrogante, come gli ha recentemente rinfacciato Cuperlo, e difficilmente ammetterà di aver sbagliato. “Non cambio certo idea perché abbiamo perso” pare abbia dichiarato ieri sera di fronte allo tsunami elettorale. Quindi il primo passo è unirsi per smontare la macchina disegnata dalla Boschi e dal cerchio magico fiorentino quando tutto sembrava andasse nella direzione da loro auspicata. Oggi lo scenario si è capovolto e abbiamo a portata di mano una preziosa occasione per la prima prova di quell’unione di forze che mi sono immaginato e augurato per Roma, ma con una proiezione nazionale che ne è la naturale evoluzione.
E quindi non rassegnatevi. Non siate indifferenti. La sinistra ha le forze, le persone, i talenti, le capacità per riprendere in mano i fili di una tela strappata e ricucire i rapporti, risvegliare le coscienze. Soprattutto, ne ha la responsabilità.

elezioni Roma: #fateveneunaragione

20 Giu

Leggo su massimocomunemultiplo, il blog di Anna Maria Bianchi, un bellissimo commento dsulle elezioni. Mi piacerebbe averlo scritto: non avendolo fatto, lo metto a vostra disposizione. So che lo apprezzerete.
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massimocomunemultiplo

ponte della musica 17 giugno ore 19.58 ponte della musica 17 giugno ore 19.58 durante intervento Roberto Giachetti

(e rimbocchiamoci le maniche per la città)

Come  la fiaba di quel tale che parte per vendere la mucca al mercato e a forza di scambi al ribasso si ritrova con un uovo,  il Partito Democratico a Roma ha dissipato in poco tempo il suo consenso, passando dai  664.490 voti raccolti dal suo candidato Ignazio Marino al ballottaggio  del 2013, ai 376.935 del suo successore  Roberto Giachetti del 2016*. Tra le due date è successo di tutto, ma il Partito Democratico deve finalmente guardare in  faccia la realtà.

Basterebbe  guardare alcune  immagini dell’ultimo giorno di campagna elettorale per capire la profonda frattura tra il  Partito Democratico e la città. Una piazza strapiena a Ostia ad acclamare la candidata M5S Virginia Raggi, un gruppo di sostenitori di Roberto Giachetti che non riempiva neanche metà dello stretto Ponte della Musica.

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A Roma, a partire da lunedì.

18 Giu

Domani si vota e io ancora non ho deciso cosa fare, ma mi è ben chiaro che non voterò certo per Giachetti: questo sì che sarebbe tradire i miei principi e soprattutto quel Pd per cui mi sono battuto ben prima che nascesse, di cui sono stato fondatore e dal quale, con infinita amarezza, mi sono allontanato dopo anni di quotidiana militanza. Tutto lascia pensare che si confermerà l’impressionante travaso di voti  del primo turno a fronte del quale le  obiezioni più valide del Pd sono state il banale “salto nel buio” e che  i 5 stelle hanno fatto del loro meglio per collaborare alla chiusura anticipata della sindacatura Marino e non  non meriterebbero quindi quel voto. Già, perché il Pd cosa ha fatto?

I 5 stelle hanno l’obbiettivo di sostituirsi all’attuale sistema di partiti: dal loro punto di vista, e dei tanti che gli danno fiducia, è l’unico modo per liberarsi dalla latrina dei compromessi, degli accordi consociativi, dei cinici giochi correntizi, degli interessi personali, della dilagante corruttela  nella politica italiana. Per loro, anche chi fa bene – ma è legato a un partito – è un avversario e va demolito. Questo è un dato di fatto.

Occorre poi aggiungere che, paradossalmente, sono stati gli inconfessabili interessi che si muovono all’interno del Pd ad aiutarli: la ridicola faccenda della Panda rossa non l’hanno inventata loro, ma i media sollecitati proprio da quella parte del Pd che aveva manifestato la sua insofferenza per Marino fin da pochi giorni dopo il suo insediamento; ricordo – tanto per dirne una – l’assurdo sondaggio nell’ottobre del 2014 commissionato da tale D’Ausilio, capogruppo Pd  (!)  nel Consiglio comunale, che registrava un presunto crollo dei consensi del sindaco; ricordo ancora che circa un mese dopo, in una riunione della Direzione romana del Pd, la consigliera De Biase (meglio nota come lady Franceschini e come l’unica candidata che alle attuali elezioni abbia aumentato i consensi) invocava a gran voce la sfiducia per il sindaco Marino, ignara che pochi giorni dopo sarebbe esploso in tutta la sua virulenza il verminaio di Mafia capitale in cui erano infognati (è il caso di dirlo) importanti esponenti del Pd romano, alcuni dei quali operanti al Comune.

Di tutto questo i 5 stelle hanno sempre immediatamente approfittato: ogni volta hanno colto l’occasione. E il Pd gli ha dato ben più di una mano quando ha semplicemente finto di appoggiare (per la prima volta dall’elezione) il suo sindaco, mentre il segretario nazionale nominava il commissario che da un lato si sperticava in lodi ufficiali, dall’altro tesseva sottotraccia le sue trame per logorare la Giunta inserendovi i suoi accoliti per giungere alla fine all’assurdo, indecente e suicida accordo con le opposizioni certificato da un notaio che ha portato al tradimento della volontà popolare espressa nell’elezione di Marino.

Da qui il disorientamento, il disgusto, il disagio, l’allontanamento di tanti elettori del Pd, la sua disgregazione e la naturale protesta tramutatasi in un voto per i 5stelle. Che apparirà pure un voto emotivo e poco razionale, ma appare oggi l’unico modo per liberarsi di una dirigenza del Pd irresponsabile e incapace, per non dire di peggio. Non posso dimenticare l’indignazione che mi ha travolto davanti al falso candido stupore di Orfini di fronte al vaso di Pandora scoperchiato dalla Procura romana e la sua indecente chiamata di correità verso i militanti che secondo lui non si erano accorti di quanto accadeva o avevano taciuto, mentre invece innumerevoli erano state le loro proteste e le loro denuncie. E lui dov’era stato in tutti quegli anni?

Ecco perché guardo con comprensione, se non con simpatia,  all’elettore del Pd che,  dopo avergli dato fiducia per anni, si sta arrovellando intorno alla decisione se votare o no per la Raggi, pur turandosi il naso e maledicendo chi l’ha costretto a questo passo. Di fiducia non ce n’è più: andrà come deve andare. Pensiamo piuttosto a cosa faremo, noi cittadini romani: a partire da lunedì, dovremo controllare l’operato della nuova Giunta: sarà nostro dovere sollecitarla e stimolarla con ogni mezzo a proseguire nell’opera di risanamento del bilancio comunale, nella ristrutturazione delle aziende municipalizzate, nel recupero di efficienza della macchina del Comune, nello smantellare il sistema occulto di interessi che si regge intorno al Campidoglio. Ma avremo anche un nuovo compito, forse più importante ancora. Mi spiego. 
Quanto potrà durare la nuova sindacatura? La sensazione, non solo mia, è che non avrà vita facile e per varie ragioni, ma prima di tutto perché mancherà l’appoggio del governo per motivi più che ovvi e in particolare per l’opposizione alle Olimpiade espressa dai 5 stelle: esso non sarà certo generoso nel mettere a disposizione i fondi per gli urgenti e necessari investimenti, per dire la prima che mi viene in mente. Ecco perché dovremo pensare a costruire una nuova forza civica che possa davvero rappresentare noi cittadini romani in quell’opera di controllo e di confronto di cui dicevo più sopra, ma soprattutto qualora si dovesse tornare a breve nuovamente ai seggi elettorali. Stavolta toccherà a noi.

C’è un solo popolo al mondo. Noi.

5 Giu

Ma dovremmo esserne consapevoli. E mettere da parte preconcetti, sovrastrutture mentali, culture devianti. Perché risalendo all’indietro nei nostri passati fino alla notte dei tempi, alla fine emerge prepotente solo questa verità: non ci sono razze o religioni o storie che possano dividerci, siamo tutti, tutti, parte di un unico popolo. L’umanità.

 

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