Tag Archives: senso del dovere

Care Sardine

4 Dic

Care Sardine, 
devo riconoscere che ho un debito con voi e voglio ringraziarvi pubblicamente.
Mi avete fatto constatare che, nonostante tutto e l’età, ho fatto bene a non rassegnarmi, a continuare a indignarmi ed agire, a pensare e sperare che qualcosa sarebbe successo, che non si poteva continuare così, che prima o poi qualcuno si sarebbe alzato in piedi e avrebbe gridato: “Ehi, ma cosa state facendo?” a quelli che stavano rubando perfino le ultime briciole del vostro domani di giovani.

Quelli, i potenti e le caste in cui si sono raccolti, credevano che dopo avervi somministrato la quotidiana dose di favole e bugie vi sareste accontentati di qualche boccone di concessioni, mentre avrebbero continuato indisturbati come squali a nuotare nei loro interessi e nei privilegi che si sono attribuiti e a saccheggiare barbaramente il vostro futuro,  Quelli che credevano di avervi narcotizzato a vita con facebook, con le playstation, con Amici, con i jeans firmati. Quelli che credevano che identificandovi come la generazione post-ideologica non avreste più potuto essere contaminati da ideali che speravano archiviati, dimenticando pericolose parole come ‘dignità’, ‘solidarietà’, ‘legalità’, roba da facinorosi sovversivi del secolo scorso. Quelli che pensavano di avervi soddisfatto concedendovi diritti da loro stessi delimitati in precedenza, dimenticando che i diritti dei giovani non hanno confini, sono tutto e sono di tutti.

Loro non sapevano e non avrebbero potuto mai capire che la sete di sapere, di essere migliori, di futuro, di felicità del dare (tutto quello cui loro hanno rinunciato in nome del più turpe potere) è qualcosa che anima ogni individuo al di là di sé stesso: non avrebbero mai immaginato le piazze piene della gente che crede in voi, che traboccano di emozioni, di canti, di energie e commozione. Loro credevano, dopo avervi marchiato per sempre come la generazione che sa solo rassegnarsi o fuggire, credevano – non sapevano – che reagire quando non c’è più nulla da perdere fosse un’illusione, non un riscatto. Perché loro hanno avuto, cioè no, si sono presi tutto in tutti i modi possibili e vogliono ancora di più, vogliono dominare il vostro domani con regole che appartengono solo alla loro convenienza. Loro, quella minoranza legata da una reciproca intesa che punta all’impunità per sempre, credevano che mai adolescenti e giovani avrebbero avuto l’intelligenza per capire che ora o mai più, ora e prima che si possa diventare come loro, ottusi e ciechi, chiusi nei loro palazzi fatti di egoismo, di avidità, di sete di potere.

Credevano insomma che, mantenendovi nell’apparente sicurezza di un mondo colorato fatto di promesse, sogni e ignoranza, non avreste ugualmente imparato, non avreste conosciuto le lezioni della storia, non avreste avvertito le sollecitazioni che nascono dal diritto di ognuno a determinare il proprio futuro, del senso del dovere che pervade ogni essere umano, del diritto al perseguimento della felicità, come invece insegnano secoli e secoli di storia dell’umanità.  Pensavano che il dettato della Costituzione repubblicana non avrebbe potuto contagiarvi, che non vi sarebbe mai passata per le mente l’dea di una Politica con la P maiuscola, intesa come bene di tutti.

Loro credevano tutto questo. Ma ora sono davanti alle loro responsabilità, sono loro a non avere un futuro. Non sanno che la vostra allegria, il vostro entusiasmo, la vostra fantasia li seppelliranno. In tanti siamo con voi, siamo molti di più di quanti noi stessi immaginiamo, siamo la maggioranza che vuole un’Italia migliore, che non vuole più vergognarsi quando si parla con uno straniero. Fategli rimangiare la loro arroganza, la loro presunzione, la loro prepotenza. Ragazzi miei, mandateli via.

Voi, i liberi cittadini di cui questa Italia è orgogliosa, avete il diritto – e prima ancora il dovere – di esigere  tutti i vostri diritti. Ora.

P.s. Ci  vediamo il 14 dicembre a piazza san Giovanni.
Iscrivetevi QUI: https://www.facebook.com/events/2440221479578185/

 

 

L’Italia e la questione morale.

4 Feb

 

Nel 2010 fondai, con alcuni amici, l’associazione ‘La questione morale’. Questo era il video di presentazione. Da allora – amareggia doverlo constatare – la situazione non è cambiata, se non in peggio. Ma io non mi rassegno, non mi rassegnerò mai e so che siamo in tanti. 

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COME UNA CASA SENZA FINESTRE
In un piccolo borgo di montagna del nostro nord-est, un mondo chiuso e apparentemente quasi ostile, il giovane carabiniere Paternò si trova di fronte al duplice omicidio di due cacciatori. Paternò non è un carabiniere comune: nonostante la giovane età ha una storia alle spalle che pesa sulla sua esistenza, con angoli bui che non conosce o forse non vuole esplorare e le indagini cui si dedica senza il permesso dei suoi superiori conducono in diverse direzioni. Incontra così vari personaggi che rappresentano tutti insieme un conciso panorama delle due realtà di una certa Italia: retriva per un lato ma dall’altro generosa, ottusa per un verso ma per un altro aspetto aperta alle istanze sociali.

La storia si sviluppa su due piani paralleli scritti uno al passato e l’altro al presente, come la personalità di Paternò che si è evoluta su due dimensioni: quella della tragedia familiare e quella intima e personale, che si sono intrecciate fino a costruire un insieme complesso che parlando di sé descrive come ‘una casa senza finestre’. Accade così che accanto all’indagine ne origini inconsapevolmente una seconda in cuicopertina-cucsf
Paternò insegue soprattutto due cose che non ha avuto dalla vita: giustizia e amore. Le incontrerà entrambe un poco alla volta attraverso piccole conquiste e sconfitte e alla fine riuscirà, dando un contributo fondamentale, a risolvere il caso e contemporaneamente a scoprire quel sentimento che ha rappresentato la chiave nascosta della sua ricerca.

http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/296575/come-una-casa-senza-finestre/

Il senso del dovere

25 Apr

“Senza magistrati e senza forze dell’ordine con il senso del dovere, la sicurezza della persona e delle proprietà può solo degenerare nell’arbitrio dei violenti e della criminalità. Senza medici e senza personale sanitario con il senso del dovere, il diritto alla salute diventa una crudele finzione. Senza insegnanti con il senso del dovere, il diritto all’educazione e alla cultura diventa il privilegio di pochi. Senza doveri, insomma, niente libertà.
In un Paese in cui le battaglie per i diritti hanno offuscato la questione dei doveri e in cui sempre più spesso chi sceglie di opporsi alla discriminazione e all’individualismo politico e sociale viene bollato come “moralista”, la vera sfida per tutti i cittadini, ma soprattutto per le élites politiche, imprenditoriali e intellettuali, è quella di battersi con forza per una rinascita civile a partire dalla fondamentale lezione sull’equilibrio tra diritti e doveri che ci viene dal Risorgimento, dalla Resistenza e dalla nostra Costituzione.”

 

Dal risguardo di copertina de L’Italia dei doveri di Maurizio Viroli – Pagg. 175, € 12.00 – Rizzoli, 2008

Maurizio Viroli (Forlì 1952) è professore di Teoria politica all’Università di Princeton (USA). Con questo libro ha raccolto un’idea di Norberto Bobbio, con cui aveva scritto Dialogo intorno alla Repubblica. Tra le altre sue opere, Per amore della patria, Storia di Machiavelli e Il problema morale dell’Italia.

L’Italia e la Concordia

17 Set

Credo di conoscere i rischi che corro unendomi, in ritardo, a quelli che hanno visto nella storia della Concordia una metafora dell’Italia. Ma le notizie di stamattina che arrivano dal Giglio mi fanno percepire una sensazione di speranza che non voglio tenere per me.

Concordia è stata un magnifico risultato dei cantieri navali di Sestri Ponente. Il suo nome si ispirava all’unità europea, con i suoi ponti battezzati coi nomi di stati europei, ed era una nave che rappresentava un vero orgoglio nazionale in tutti i mari. Così come l’Italia, al di là di tutte le evenienze e contingenze negative che l’affliggono, rappresenta per me – e credo nonostante tutto di essere in buona e numerosa compagnia –  il più bel paese del mondo.

Ora che la nave, pur danneggiata, poggia in verticale sul fondale artificiale predisposto nel progetto, circondata da mezzi di soccorso, bettoline, vedette della Guardia Costiera, pontoni, Concordiasempre più mi torna alla mente l’immagine di questa Italia ferita ma non piegata, con la sua gente capace che ha fatto di tutto, in silenzio, umilmente, assumendosi enormi responsabilità, per portare a compimento il suo salvataggio e condurla a un nuovo destino. La demolizione? No, quello è solo un passo: si tratta di lavoro per i cantieri navali nazionali e poi dai rottami si trarrà nuovo materiale che verrà utilizzato per nuove produzioni, quindi lavoro per tanti e di lavoro si sa quanto ce ne sia oggi necessità.

 Per il delicato e apparentemente impossibile recupero c’era bisogno di qualcuno che sapesse fare il suo mestiere e soprattutto di amarlo e possedere intimamente il senso del dovere: se sulla plancia di comando, invece, siede un bellimbusto che persegue i suoi personali interessi anteponendoli alla missione affidatagli la tragedia è scontata. E lo stesso vale – purtroppo per tutti noi – per l’Italia, come gli ultimi vent’anni ci hanno dimostrato.

Ma, come in tutte le cose, da una tragedia si può risorgere: raddrizzare la Concordia è stata una splendida dimostrazione di capacità, esperienza, volontà, senso del dovere, collaborazione sia internazionale che tra pubblico e privato. Non è esagerato dire che con l’operazione di recupero della Concordia il nostro Paese era sotto gli occhi del mondo: e nessuno mi toglie dalla testa che non mancavano quelli che speravano in un fallimento. Il ristabilimento in equilibrio della nave rappresenta invece un eccezionale risultato sotto ogni punto di vista. Tecnologia, esperienza, intelligenza nelle migliori espressioni hanno portato a un successo che rappresenta, sempre seguendo questa metafora,  un’Italia nuova, che vuole risorgere  – e ha dimostrato che può farlo. Voglio dire che se tutte le parti in causa metteranno a disposizione e disinteressatamente davvero le migliori capacità, competenze, volontà  la nazione Italia potrà riemergere, pur con le sue profonde ferite.  E tutto questo non è solo un augurio, non è solo una speranza, è anche, soprattutto, una mia certezza.

 

Piccole vergogne che diventano grandi

20 Mag

Quei dieci addetti della Forestale che in Calabria si assentavano regolarmente per farsi i fatti propri, documentando però la loro presenza per riscuotere comunque lo stipendio, rappresentano una delle nostre piccole vergogne italiane. Piccola per la cosa in sé, ovviamente. Ma provate a ipotizzare a quante volte lo stesso fatto può replicarsi in – poniamo – un mese negli uffici pubblici (e, sia pure con minor frequenza, nelle aziende private) e si avrà una pallida idea del danno arrecato alla comunità.
Non solo il danno economico, beninteso: il danno maggiore è quello arrecato all’etica. E’ il cattivo esempio che contagia, è il senso del dovere deriso e svillaneggiato. E’ questo un danno storicamente perpetuatosi per decenni nel nostro Paese, quasi tramandato attraverso le generazioni: l’esempio del padre assenteista non può non aver contaminato in buona misura l’attitudine del figlio che quando diverrà adulto e abile al lavoro considererà veniale e trascurabile l’assentarsi dal lavoro per qualche giorno, magari senza neppure peritarsi di cercare un certificato medico (e qui ci sarebbe da aprire un altro discorso sui medici lassisti e conniventi, ma ci saranno occasioni per parlarne).
Per non dire poi di quei commenti paradossalmente negativi che danno anch’essi la misura del deficit di morale: parlo dei colleghi che anzichè censurare l’assenza criticano le modalità che hanno portato alla scoperta del fatto: “sono stati stupidi, dovevano fare in quest’altro modo per non farsi scoprire”.
Ecco che allora una piccola vergogna diventa grande fino a rappresentare una vergogna nazionale, una piaga che riduce la produttività, rallenta lo sviluppo, mortifica il lavoro onesto, umilia il senso del dovere.  E’ calpestando il senso del dovere che si ignora anche l’altro fondamentale caposaldo di ogni civile convivenza: il rispetto per il prossimo. Ed è allora che si apre la via del declino che porta fatalmente al degrado, a casa come a scuola, sul posto di lavoro come nelle istituzioni, allontanandocisi sempre di più dal novero delle grandi nazioni.

Doveri e diritti. Molto meglio che ‘diritti e doveri’

5 Mag

E se un bel giorno si smettesse di reclamare i nostri diritti e ci imponessimo di rispettare, prima di  tutto, i nostri doveri? ‘Doveri’ molto prima ancora di ‘diritti’. Una rivoluzione copernicana, non solo di costume, ma di mentalità, di attitudine, di approccio alla vita in comune.

Sto parlando dei diritti per cui in Italia si manifesta ad ogni piè sospinto: il diritto allo studio, al lavoro, alla salute, all’informazione, alla casa, a convivere con chi mi pare, ad accogliere civilmente perseguitati e fuggiaschi  e via cantando; per i quali – talvolta sulla base di anche labili elementi – addirittura si esige e si pretende. Ecco, se magicamente un giorno , tutti insieme, guardandoci negli occhi l’uno dell’altro ci dicessimo: “prima di tutto il mio dovere è studiare, lavorare, aver cura della mia salute, informarmi, dare un tetto alla mia famiglia, rispettare le unioni non formali, assistere gli esuli” e, a seguire “è mio dovere far studiare, far curare, far informare, far lavorare, far avere una casa a tutti e così via”, qualcosa cambierebbe, non pensate ?

Un dovere visto soggettivamente, per cui senti dentro questa forza morale che porti –  te come il tuo vicino di casa, di banco, di scrivania, di letto d’ospedale, il partner convivente – ad agire sotto l’influenza di un imperativo categorico:  il TUO dovere che diventa improvvisamente (oggi direi anche inaspettatamente) il diritto dell’altro, di tutti gli altri. Un dovere che imponga spontaneamente (non sembri un ossimoro) di darti da fare, di impegnarti con tutte le tue forze come un atleta in pista, senza scusanti (perché non puoi ingannare te stesso, vero?), senza ricerca di alibi (‘non faccio il mio dovere perché prima voglio vedere gli altri fare lo stesso’).

Il senso del dovere, in altre parole. Badate, si dice ‘senso del dovere’, mentre non si è mai (o quasi mai) sentito dire ‘senso del diritto’, perché quest’ultimo è soggettivo, sottintende cioè un atteggiamento individuale, spesso in attesa di un suo riconoscimento, mentre il primo è oggettivo, un modo di pensare e di agire che mira al benessere della collettività. E’ infatti il senso del dovere che fa scattare la molla della difesa dei diritti altrui, è ‘il senso del dovere’ che implica l’altro concetto fondamentale che deve primeggiare in una comunità e cioè il ‘rispetto’. E’ seguendo il mio senso del dovere che rispetterò anche i diritti dei miei concittadini che non saranno più obbligati a reclamarli perché vengano riconosciuti: verranno accreditati automaticamente. La difesa dei diritti come oggi intesa, come lotta di singoli o di gruppi per il loro conseguimento, non avrebbe più ragion d’essere, sparirebbe dal vocabolario.

Ecco, se tutto questo avvenisse sempre, per tutti, se questa forza positiva del “dovere” fosse dentro di noi e comune a tutti, non insufflata nel dna ma assorbita fin dai primi vagiti e poi progressivamente evoluta in  famiglia, a scuola, sul posto di lavoro, tra amici e conoscenti, da tutti praticata, irrobustita negli anni, perfezionata per approssimazioni successive fino a rendersi quasi palpabile ‘dentro’ di noi e per cui l’affermazione de ‘il mio dovere’ corrisponderebbe per default – come si dice oggi – ai diritti degli altri, se tutto questo miracolosamente un giorno avesse a verificarsi,  non si cambierebbe un po’ il mondo?

A cominciare dall’Italia, ovviamente.

“Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana.” (J. F. Kennedy).

Della ‘società civile’ e di chi non vuol capire

15 Apr

 Pare che ad alcuni questo termine, società civile, appaia alternativamente, fastidioso, incomprensibile, inadeguato o anche che rappresenti un’astrazione, se non addirittura una miope protesta fine a sé stessa. Ad altri (pochi, si spera) suona invece come un insulto o una minaccia. Non pretendo di metter fine a questa speciosa polemica, ma solo dichiarare come la vedo io e, date le mie scarse capacità, mi auguro per chi legga non sia troppo banale.

Il Devoto-Oli definisce l’aggettivo ‘civile’ – nel senso comunemente inteso quando accompagna ‘società’ –  chi è “rispettoso del decoro e delle buone maniere; che possiede un alto grado di civiltà, soprattutto sul piano sociale e del rispetto delle leggi”. Eccola quindi, la società civile: quella che si sente coinvolta nel progresso della collettività, che rispetta le leggi, che antepone il bene comune al proprio. Una corrente trasversale che comprende con diverse percentuali ogni ceto sociale e ogni credo politico. Qui, oggi, nella nostra Italia. E’ la società dei cittadini onesti (tra cui, va detto, non mancano per fortuna esempi di personaggi politici che condividono gli stessi obbiettivi e le medesime esigenze), che fronteggia a viso aperto e con decisione quella variegata minoranza  composta da adoratori del compromesso, corruttori, evasori fiscali, maneggioni, speculatori, da chi pone a capo di posti pubblici e di responsabilità individui incapaci per poterli poi manovrare come pedine, da disinvolti speculatori, da gruppi di interessi ai limiti del lecito (talvolta oltre) e via cantando.

E’, quest’ultima, la ‘società incivile’, cioè quella dei disonesti. Tutto qui, non mi pare difficile.

Il problema è che negli ultimi cinquant’anni questa società incivile è riuscita a imporsi ed oggi prospera, impera, comanda, tiene i fili delle marionette.  Ed è riuscita nel suo intento perché una buona parte della classe politica è stata complice talvolta inconsapevole ma quasi sempre artefice e protagonista della sua evoluzione in negativo. Per cui oggi quella stessa classe politica fa a buon diritto parte della società ‘incivile’, dando luogo e alimento, di converso e per reazione, a quel sentimento genericamente indicato come ‘antipolitica’ e di cui poi ipocritamente si lamenta.

Diciamola tutta: quella classe dirigente che non raccolse nel 1981 il disperato allarme di Berlinguer sul disastro già avanzato circa la questione morale, è colpevole del dramma cui assistiamo e che oggi viviamo, non solo perché vi rimase indifferente ma anche perché consentì (se addirittura non incoraggiò) che proliferassero i peggiori istinti rappresentati principalmente dal disinteresse alla cosa pubblica e dall’interesse personale. Quella politica che non solo non seppe o non volle emanare leggi contro la corruzione, per il sostegno di una scuola che formasse eticamente i cittadini di domani, che non intervenne per ripulire i partiti da personaggi indegni, che assistette incapace di opporvisi all’avanzante degrado morale, è non solo colpevole, ma è ancora viva, forte e presente.  E’ la politica che – per fare un esempio clamoroso – non volle raccogliere il significato del referendum contro il finanziamento dei partiti aggirando volpinamente l’ostacolo come sappiamo, per dare libero sfogo a insaziabili appetiti con ogni mezzo, che fece lievitare i costi della politica a livelli sconci, che contagiò la politica locale facendola divenire un’altra grande opportunità per avidi e incapaci, che estese questo modo d’agire e di pensare al mondo imprenditoriale, che sottovalutò colpevolmente il terremoto di Tangentopoli, che quotidianamente si condanna con l’ennesimo scandalo, l’ennesima ruberìa. Ed è  questa la politica che la società civile combatte, contro cui eleva la sua indignazione e la sua vibrante protesta, anche se  (purtroppo, ma ne è conseguenza), talvolta sconsideratamente e dando vita a rigurgiti di  populismo.

Si dice: la politica è bella. Vero. Ma solo se agisce per il bene della collettività, solo quando ne è guida illuminata e disinteressata. Si dice: la politica rappresenta il meglio di una nazione. Vero. Ma possiamo dirlo, in coscienza, anche nel caso della nostra Italia? Si dice: la politica è un dovere dei cittadini. Vero. Infatti, mai come ora sorgono spontaneamente movimenti, gruppi, associazioni di cittadini sull’orlo della rivolta morale, tutti con l’unico obbiettivo di ristabilire il primato della politica. Quella vera, però, quella che ha come prima e unica ispirazione il senso del dovere.  Il ‘senso del dovere’, questa bella espressione che ad alcuni appare così fuori dal nostro tempo e tuttavia è la prima e vitale esigenza della maggioranza silenziosa (ancora per quanto?) degli italiani e che in fin dei conti non è altro che una versione riveduta e aggiornata della ‘legge morale dentro di me’ di kantiana e smarrita memoria.

Per cui a coloro che non hanno ancora capito o non vogliono capire cos’è la ‘società civile’ e cosa rappresenta, che ne  parla con alterigia e  sufficienza (nel migliore dei casi) se non con disprezzo,  si può ora solo rivolgere una innocente domanda: adesso è tutto più chiaro?

Della ‘società civile’ e di chi non vuol capire

14 Apr

   Pare che ad alcuni questo termine, società civile, appaia alternativamente, fastidioso, incomprensibile, inadeguato o anche che rappresenti un’astrazione, se non addirittura una miope protesta fine a sé stessa. Ad altri (pochi, si spera) suona invece come un insulto o una minaccia. Non pretendo di metter fine a questa speciosa polemica, ma solo dichiarare come la vedo io e, date le mie scarse capacità, mi auguro per chi legga non sia troppo banale.

 

Il Devoto-Oli definisce l’aggettivo ‘civile’ – nel senso comunemente inteso quando accompagna ‘società’ –  chi è “rispettoso del decoro e delle buone maniere; che possiede un alto grado di civiltà, soprattutto sul piano sociale e del rispetto delle leggi”. Eccola quindi, la società civile: quella che si sente coinvolta nel progresso della collettività, che rispetta le leggi, che antepone il bene comune al proprio. Una corrente trasversale che comprende con diverse percentuali ogni ceto sociale e ogni credo politico. Qui, oggi, nella nostra Italia. E’ la società dei cittadini onesti (tra cui, va detto, non mancano per fortuna esempi di personaggi politici che condividono gli stessi obbiettivi e le medesime esigenze), che fronteggia a viso aperto e con decisione quella variegata minoranza  composta da adoratori del compromesso, corruttori, evasori fiscali, maneggioni, speculatori, da chi pone a capo di posti pubblici e di responsabilità individui incapaci per poterli poi manovrare come pedine, da disinvolti speculatori, da gruppi di interessi ai limiti del lecito (talvolta oltre) e via cantando.

E’, quest’ultima, la ‘società incivile’, cioè quella dei disonesti. Tutto qui, non mi pare difficile.

Il problema è che negli ultimi cinquant’anni questa società incivile è riuscita a imporsi ed oggi prospera, impera, comanda, tiene i fili delle marionette.  Ed è riuscita nel suo intento perché una buona parte della classe politica è stata complice talvolta inconsapevole ma quasi sempre artefice e protagonista della sua evoluzione in negativo. Per cui oggi quella stessa classe politica fa a buon diritto parte della società ‘incivile’, dando luogo e alimento, di converso e per reazione, a quel sentimento genericamente indicato come ‘antipolitica’ e di cui poi ipocritamente si lamenta.

Diciamola tutta: quella classe dirigente che non raccolse nel 1981 il disperato allarme di Berlinguer sul disastro già avanzato circa la questione morale, è colpevole del dramma cui assistiamo e che oggi viviamo, non solo perché vi rimase indifferente ma anche perché consentì (se addirittura non incoraggiò) che proliferassero i peggiori istinti rappresentati principalmente dal disinteresse alla cosa pubblica e dall’interesse personale. Quella politica che non solo non seppe o non volle emanare leggi contro la corruzione, per il sostegno di una scuola che formasse eticamente i cittadini di domani, che non intervenne per ripulire i partiti da personaggi indegni, che assistette incapace di opporvisi all’avanzante degrado morale, è non solo colpevole, ma è ancora viva, forte e presente.  E’ la politica che – per fare un esempio clamoroso – non volle raccogliere il significato del referendum contro il finanziamento dei partiti aggirando volpinamente l’ostacolo come sappiamo, per dare libero sfogo a insaziabili appetiti con ogni mezzo, che fece lievitare i costi della politica a livelli sconci, che contagiò la politica locale facendola divenire un’altra grande opportunità per avidi e incapaci, che estese questo modo d’agire e di pensare al mondo imprenditoriale, che sottovalutò colpevolmente il terremoto di Tangentopoli, che quotidianamente si condanna con l’ennesimo scandalo, l’ennesima ruberìa. Ed è  questa la politica che la società civile combatte, contro cui eleva la sua indignazione e la sua vibrante protesta, anche se  (purtroppo, ma ne è conseguenza), talvolta sconsideratamente e dando vita a rigurgiti di  populismo.

Si dice: la politica è bella. Vero. Ma solo se agisce per il bene della collettività, solo quando ne è guida illuminata e disinteressata. Si dice: la politica rappresenta il meglio di una nazione. Vero. Ma possiamo dirlo, in coscienza, anche nel caso della nostra Italia? Si dice: la politica è un dovere dei cittadini. Vero. Infatti, mai come ora sorgono spontaneamente movimenti, gruppi, associazioni di cittadini sull’orlo della rivolta morale, tutti con l’unico obbiettivo di ristabilire il primato della politica. Quella vera, però, quella che ha come prima e unica ispirazione il senso del dovere.  Il ‘senso del dovere’, questa bella espressione che ad alcuni appare così fuori dal nostro tempo e tuttavia è la prima e vitale esigenza della maggioranza silenziosa (ancora per quanto?) degli italiani e che in fin dei conti non è altro che una versione riveduta e aggiornata della ‘legge morale dentro di me’ di kantiana e smarrita memoria.

Per cui a coloro che non hanno ancora capito o non vogliono capire cos’è la ‘società civile’ e cosa rappresenta, che ne  parla con alterigia e  sufficienza (nel migliore dei casi) se non con disprezzo,  si può ora solo rivolgere una innocente domanda: adesso è tutto più chiaro?

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