Una confessione.

28 Gen

Scrivere mi è sempre piaciuto. Dar forma a un pensiero, descrivere uno stato d’animo, raccontare un’esperienza. Perfino nel lavoro, nella corrispondenza come nei documenti ufficiali, ho sempre cercato – per quanto possibile – di dare un’impronta diversa che donasse ai destinatari qualcosa in più, che gli facesse percepire attraverso quelle righe il calore di un dialogo.

E quando, come si diceva una volta,  mi sono ritirato a vita privata, improvvisamente mi è mancata l’opportunità quotidiana di scrivere. Non me ne sono accorto subito, però. Ogni tanto si affacciava la noia, anche se non è che stessi senza far niente: avevo ripreso a leggere come un tempo, visitavo musei e mostre,  frequentavo gruppi di discussione e associazioni di volontariato. Le giornate si riempivano, ma spesso restava la sensazione di aver occupato il tempo in modo artificioso. Ci ho messo un po’ per capire a cosa era dovuto quel vago e inspiegabile senso di privazione che si affacciava di tanto in tanto durante le mie giornate, che nonostante tutto intanto si stavano misteriosamente facendo più lunghe.

Un primo tentativo di accorciarle è stato rappresentato da facebook. Ma non mi è bastato, non poteva bastare. Ed ecco che ho aperto questo blog che va avanti, con alterne fortune, da ormai sei anni. Ma anche questo, alla lunga, si è dimostrato un banale palliativo, come un placebo. Poi un giorno, rimettendo a posto delle carte trovate in fondo a un cassetto chiuso da secoli, mi è capitato tra le mani una vecchia agenda che mi ricordava qualcosa. L’ho aperta ed è tornata alla luce una miniera dimenticata. Per diverso tempo, molti ma molti anni fa, in quell’agenda avevo appuntato pensieri, riflessioni, tentativi di poesie, abbozzi di storie, piccole cronache familiari: uno zibaldone disordinato, scritto con penne o matite diverse, quando capitava.

 È stato così che ho capito di cosa sentivo la mancanza. E subito dopo mi sono chiesto perché non provarci. A scrivere, voglio dire. Senza ambizioni da scrittore vero, ma come un pittore della domenica. Ecco, uno scrittore dilettante. Ed è uscito il primo libro, con un personaggio che mi piaceva fin dall’idea iniziale, il carabiniere Paternò. Un personaggio che un po’ mi assomiglia, per cui la questione morale è dirimente nel senso che prova le mie stesse ansie, si incazza come me per le ingiustizie, spesso antepone i suoi irrinunciabili principi a quel che converrebbe pagandone poi, ovviamente, le conseguenze.

E così, scherzando scherzando, come direbbe qualcuno di mia conoscenza, ho editato tre storie e un libro di racconti. Tutti autopubblicati: non ho idea di come si avvicini un editore (posto che ne esista uno interessato alle mie cose) e non ho neppure la voglia di cercarlo. Se poi, malauguratamente, l’ipotesi dovesse diventare concreta, ecco che scrivere diventerebbe un impegno, un lavoro, con gli inevitabili corollari, la burocrazia, gli obblighi sociali, eccetera. E io non mi divertirei più.

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Una donna barbaramente assassinata, un suicidio sospetto, una vecchia morta a seguito di un furto maldestro, una rapina di quindici anni prima.  E ancora, le ambizioni smodate della nuova politica, servitori dello Stato corrotti e la criminalità organizzata che cerca di espandersi: tutto sullo sfondo di un nord est che porta ancora le cicatrici degli anni di piombo.
Questi gli elementi – a prima vista senza connessioni tra loro – che  ruotano intorno alla figura del carabiniere Rosaria Paternò: suo malgrado, si troverà coinvolta in una storia apparentemente senza soluzioni, ma con l’aiuto di un tenace e brillante giornalista  riuscirà a dare il suo contributo per far luce su un torbido intrico di vicende.






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6 Risposte to “Una confessione.”

  1. wwayne 29/01/2019 a 12:18 am #

    Ennesimo post – capolavoro. In bocca al lupo per le vendite da un blogger che ti legge da anni, con immutata passione e ammirazione.

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